Cari lettori, questa settimana, dal 1 all'8 di novembre, The Bottom Up parlerà di cibo, in occasione della chiusura di EXPO 2015. Non parleremo solo di quello, anzi, sarà più che altro una scusa per far affrontare questo tema ai nostri autori, dal punto di vista dell'economia, della cultura e della politica. E non rinunceremo a provare a rispondere, a modo nostro, alla domanda posta da EXPO:come nutrire il pianeta?
Buon appetito! #TBUtalksaboutFOOD
Ah, viaggiare… Cosa c’è
di più bello che preparare la valigia, svegliarsi presto la mattina
con quel senso di eccitazione e attesa allo stomaco, salire
sull’aereo pregustando gli orridi ma golosissimi snack serviti ogni
tre ore? Cosa ti arricchisce di più che atterrare dall’altra parte
del mondo e camminare tra persone di un altro colore, di un altro
odore, di un altro rumore? Un po’ di sano shock culturale fa sempre
bene, non foss’altro che per acchiapparci per la collottola e
sollevarci un secondo da una quotidianità che, è bene ricordarlo,
non rappresenta che uno spicchio di tutti gli orizzonti possibili.
Diciamoci la verità, per
cosa lavoriamo nella vita? Certo, l’affitto, le bollette, le
crocchette del gatto, le sigarette e i gin tonic del venerdì sera,
ma poi? Se dovessi fare una classifica dei modi migliori per spendere
i soldi, sarei tentato di mettere quelli usati per i viaggi al primo
posto… Se non fosse che così non saprei dove mettere quelli spesi
mangiando.
Ah, mangiare… Cosa c’è
di più bello che uscire di casa in fretta e furia, già con
l’acquolina in bocca, arrivare davanti al ristorante e assaporare i
profumi che escono dalla cucina, poi immaginare le pietanze sul menu
e infine avventarsi sul proprio piatto fumante (con la consapevolezza
che non dovrai lavare né sistemare niente dopo)? Cosa può darti una
soddisfazione più grande che girare per le bancarelle di una fiera
di paese, chiedere spiegazioni sui prodotti che non conosci, magari
osare qualcosa di mai sperimentato prima e magari scoprire che ti
piace da morire?
Diciamoci la verità, il
cibo non rappresenta solo la soddisfazione di un bisogno primario, ma
una forma di cultura, di arte e di scienza tra le più alte prodotte
dal genus Homo. Ora, nella vita ho pochissime certezze; ma due
di queste, incrollabili e già chiare fin dalla tenera età, sono la
passione per il cibo e quella per il viaggio. Per questo, fin da
piccolo, cerco di metterle insieme ogni volta che posso.
La cosa mi ha portato,
negli anni, a considerare il cibo come parte integrante delle
attrattive di ogni possibile meta turistica. Se non vedo l’ora di
visitare Cambogia e Thailandia e, al contrario, la Norvegia mi attira
molto poco, è anche dovuto al fatto che le mille spezie del sud est
asiatico mi chiamano con il canto irresistibile delle sirene di
Ulisse, mentre una volta assaggiata la carne secca di un mammifero
artico, per quanto buona, le hai assaggiate un po’ tutte.
Bisogna poi contare che,
essendo un amante non solo delle raffinatezze della haute cuisine,
ma anche della cucina popolare più unta ed epatica, spesso scelgo i
locali dove mangiare in base allo strato di vapori di frittura che si
condensano sulle superfici di metallo all’esterno. Per questo
motivo ho deciso di stilare la mia personale Top 5 dei piatti più
pesanti con cui mi è capitato di lottare in viaggio, ad uso e
consumo dei lettori che più disprezzano i propri organi interni.
Buon appetito!
5 – LA PASTA AL FORNO
NAPOLETANA (IT)
Si
possono vedere le polpettine in umido che occhieggiano malevole tra
la pasta
Il fatto che un piatto
napoletano sia solo al quinto posto di questa classifica la dice
lunga sulle altre quattro posizioni. Voi direte cosa sarà mai, è
una semplice pasta al forno! NO.
All’interno della base
di pasta e ragù napoletano si possono trovare, in frequenza
variabile e random come pallottole impazzite dirette verso il vostro
fegato: polpettine di carne in umido, polpettine di carne fritte,
prosciutto cotto, tocchetti di provola, uova sode e pezzi di
salsiccia napoletana a grana fine.
Mi è capitato di
mangiarla una sera a casa di amici. Eravamo in una decina, lavoravano
in quattro e gli ingredienti erano sufficienti per 30/40 persone: la
preparazione ha richiesto due ore e mezza abbondanti, ma per mangiare
quel fuoco artificiale di grasso e goduria ce ne sono volute
altrettante, senza contare l’intervallo per chiamare l’ambulanza
per i due infartati e il leggero ictus.
4 – ENTRECÔTE AVEC
SAUCE AU ROQUEFORT (FR)
MUUU! Scordati di riuscire a dormire stanotte. |
Sei in Erasmus nel sud
della Francia, la borsa copre sì e no la retta mensile del cadente
dormitorio dove vivi e spendi tutti i tuoi soldi in sbronze
collettive e regali per amici che se ne vanno. Quando vengono a
trovarti i tuoi genitori è normale accettare con entusiasmo il loro
invito a cena, come è normale prendere la cosa più costosa sul
menu. Salvo poi scoprire che la cosa più costosa è una bistecca che
ancora muggisce, generosamente circondata da patatine fritte e
coperta da tre dita di densa salsa al Roquefort. Per chi non lo
sapesse, il Roquefort è un celebre formaggio erborinato francese,
simile al nostro gorgonzola ma un po’ più forte e stagionato.
L’aroma è soave e dolce, quel tipico profumo di formaggino che
risveglia i morti e uccide i vivi. Fortemente consigliato.
3 – DEEP-FRIED HAGGIS
(UK)
"Guarda,
un pezzo di polmone!"
In Scozia, Paese notoriamente raffinato
e dedito alla contemplazione estetica dell’esistenza, fanno questa
cosa che si chiama haggis, ovvero fondamentalmente interiora
di pecora soffritte nello strutto con cipolla, avena e aromi, poi
ficcate nello stomaco dell’animale medesimo. Visto che agli
scozzesi questo piatto je risurtava ancora ‘n po’ light,
hanno deciso di impastellarlo e friggerlo, per poi servirlo – e
come se no? – accompagnato da un bicchierino di whisky.
Vi giuro, è buonissimo.
2 – FRANCESINHA (PT)
Riesci
a sentire il rumore delle arterie che si occludono?
Sul secondo gradino del podio vi
presentiamo la regina di tutti i panini. Pensate che il panozzo
mortadella e gorgonzola sia pesante? Che la cotoletta con la maionese
sia difficile da digerire? PIVELLI. A Oporto, per una cifra ridicola,
quasi ogni bar e ristorante ti dà la possibilità di ucciderti
lentamente mangiando questa cosa deliziosa, che si narra sia stata
creata da un emigrato portoghese di ritorno dalla Francia ed
evidentemente sotto l’influsso psicotropico di qualcosa di serio.
Probabilmente la sua stessa creatura. La francesinha consiste
di due fette di pane fritto, in mezzo alle quali vengono stipati più
strati di fettine di vitello, salame, prosciutto cotto, chouriço
(tipica salsiccia portoghese) e formaggio. Il tutto si erge come un
atollo, circondato da un mare di patatine fritte bisunte, annegato in
una salsa alla birra composta di burro per un buon 20%, e – dulcis
in fundo – sormontato da un uovo fritto, come una ciliegina
malvagia che ti parla di doppio bypass, come la corona
dell’imperatore della sugna. Vietata ai minori di anni 14 e,
soprattutto, ai deboli di cuore.
1 – BETH’S
BREAKFAST (US)
Chi
sta per mangiare chi?
Al primo posto, ovviamente, non
potevano che esserci gli Usa. Esagerati in tutto, nel bene come nel
male, forse è proprio in campo culinario che gli statunitensi
registrano i record più assurdi. E questo era esattamente quello che
cercavo quando sono entrato da Beth’s Cafe, bettola di Seattle
aperta 24/7 incastrata tra un pub e un negozio di tosaerba:
un’esperienza estrema.
Beth’s, aperto da 60 anni e con un
consumo annuo di 450000 uova, è famoso per servire dei brunch
leggendari, abbastanza calorici da sostenere un branco di
velociraptor per qualche giorno e abbastanza unti da farvi
vedere attraverso le pareti (fidatevi, è un superpotere a caro
prezzo). Oltre ai pezzi forti della cucina nordamericana come burgers
e panini di varie forme, dimensioni e colori, la specialità di
questo adorabile cimitero delle buone intenzioni sono le omelette. Da
quella “veggie” alla “Triple Bypass” (salsiccia, bacon,
prosciutto, doppio formaggio svizzero e doppio formaggio americano,
qualsiasi cosa sia), l’ampia scelta è uno dei punti di forza del
locale; ma il vero motivo per cui la gente si affolla qui da tutta la
città sono le dimensioni dei piatti. Le omelette vengono servite in
due size, una regular da sei uova e una large, ve lo assicuro,
da DODICI UOVA. Come se non bastasse, questi deliri di onnipotenza
vengono serviti su un letto “all you can eat” (così dice il
menu, poi si capisce perché) di hash browns, ovvero un mezzo
chilo di patate truciolate e saltate in padella nel burro, e
accompagnati da qualche fetta di toast.
Consapevole delle mie potenzialità, ma
conoscendo i miei limiti di capienza in quanto essere umano, ho
ripiegato sulla versione “piccola” da sei uova. Ma credetemi
quando vi dico che, dopo aver mangiato un’omelette del genere con
chili, panna acida e cheddar alle 11 del mattino, sarete a posto
almeno fino a cena. Non per niente il menu di Beth recita: “Scusate,
ma non è previsto un premio per chi finisce un’omelette da dodici
uova, se non la consapevolezza di un lavoro fatto bene”.
Giovanni Ruggeri
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