Bologna
è stata testimone, domenica 8 novembre, degli scontri verificatisi
tra forze dell'ordine e manifestanti, scesi in piazza per protestare
contro la presenza della Lega Nord in Piazza Maggiore. Il capoluogo
dell'Emilia-Romagna è stato scelto da Matteo Salvini
come
vetrina per l'imminente campagna elettorale in vista delle
amministrative che si terranno in primavera in diverse città
d'Italia, tra le quali Roma e Milano. Il leader della Lega e
Berlusconi sono tornati poi nuovamente a Bologna venerdì 20
novembre, in occasione della 5^ Convention nazionale di Confabitare.
Ulteriori
episodi di violenza
si sono consumati durante la contestazione: i dimostranti sono stati
colpevoli di aver bloccato il traffico in via del Pilastro.
Domenica
8 novembre i
bolognesi sono stati più o meno tutti svegliati dalle pale degli
elicotteri che hanno iniziato a sorvolare la città di prima mattina,
in un clima che ha probabilmente risvegliato sentimenti Viet Cong in
ognuno di noi. C'era chi si apprestava a scendere in strada e chi
stava nel frattempo attraversando il Po, con l'obiettivo di
cambiare colore a Piazza Maggiore, tinteggiandola di verde. I
manifestanti, intenzionati ad unirsi ai cortei organizzati dai
diversi collettivi e centri sociali di Bologna, avrebbero dovuto
decidere dove recarsi. Per i due raggruppamenti principali (su
quattro complessivi) l’appuntamento era: o in Piazza
XX Settembre
(TPO, Hobo, Làbas…), oppure in via
Stalingrado
(Crash, Asia, Noi Restiamo, Social log…).
Foto di Marco Colombo - Il corteo sul ponte di via Stalingrado |
Non
si sapeva chiaramente quale percorso avrebbero effettuato perché
entrambi i cortei non erano stati autorizzati dal Comune. Proprio
il loro smembramento è stato uno dei motivi di delusione che ha
portato molte persone a non presentarsi.
«Una
frammentazione di questo tipo riflette quella dei movimenti oggi in
Italia
— spiega Marco,
un
attivista della campagna Noi Restiamo
— ma anche diverse
interpretazioni sul ruolo politico che sta assumendo la Lega di
Salvini,
e quindi ne
conseguono idee diverse su come agire politicamente per opporvisi».
L’obiettivo comune era però unico e chiaro: contestare il razzismo
di Salvini, in veste da “corsa alle amministrative”, i leghisti
tutti e gli aderenti dell’ultima ora, Berlusconi e la Meloni.
L’evento
di portata nazionale ha visto la cittadinanza bolognese fronteggiare
una situazione inedita: per i più è stato difficile anche solo
capire il motivo per cui sia stato concesso il permesso alla Lega di
tenere una manifestazione in una delle roccaforti — almeno fino a
poco tempo fa — rosse d’Italia.
Foto di Marco Colombo |
A
non presentarsi sono stati anche tutti coloro che hanno temuto una
possibile deriva violenta della contestazione. Secondo
Vincenzo, un attivista di Bologna presente l’8 novembre, «i più
imperdonabili» sono proprio loro, «quelli rimasti a casa sperando
che la giornata fosse solo una brutta parentesi». Il
clima di terrore diffuso nei confronti degli episodi di violenza è
però diventato una delle principali cause di abbandono della piazza.
Si
potrebbe azzardare che in parte la colpa sia dei media e della
manipolazione delle notizie, dell’effetto black bloc. Marco di Noi
Restiamo spiega: «I media senz'altro non aiutano. Il tipo di
comunicazione che precede eventi di questo tipo si mantiene sempre su
toni apocalittici. È un meccanismo abbastanza rodato, dove il
sensazionalismo per vendere la notizia va a braccetto con esigenze
politiche».
A questa osservazione aggiunge qualcos’altro: «Non è solo però
responsabilità dei media. Sul caso specifico di Bologna, negli
ultimi mesi si è instaurato un clima abbastanza pesante (che è
collegato in parte alle prossime elezioni cittadine), tra sgomberi a
getto continuo, pesanti misure cautelari per molti militanti,
dispiegamenti di forze dell'ordine spropositati anche per cortei del
tutto pacifici... Mi pare si tratti di un segnale politico che
riguarda l'Italia in generale:
le proteste non sono gradite».
Foto di Marco Colombo - I manifestanti fronteggiano le forze dell'ordine |
Per
chi si è recato in via Stalingrado e in Piazza XX Settembre è stato
subito evidente come, infatti, sarebbe stato pressoché impossibile
realizzare anche il semplice obiettivo di far camminare i cortei,
proprio a causa del massiccio
dispiegamento di forze dell’ordine.
La procura ha disposto una copertura certosina per tutelare coloro
che accorrevano nella — frattanto semivuota — Piazza Maggiore ed
impedire ai manifestanti di metter piede dentro il centro. Anche il
corteo lungo i viali non ha avuto vita facile. Dopo oltre tre ore di
testa a testa con le forze dell’ordine, lo
scontro è stato inevitabile.
Foto di Marco Colombo - Scontri sul ponte di via Stalingrado |
L’imbottigliamento
dei manifestanti sul ponte di Stalingrado ha esposto tutti ad un alto
tasso di rischio: gli spazi erano molto stretti e durante le cariche,
avvenute per altro in modo improvviso, le prime file di manifestanti
sono corse all’indietro verso l’unica via di fuga possibile,
rischiando di travolgere chi si trovava dietro di loro. Nonostante
tutto, un nucleo di ragazzi è riuscito a portare avanti la protesta
durante il pomeriggio, attraversando i viali, entrando in centro e
concludendo il percorso in zona universitaria. Il bilancio del TG
Regione di domenica è stato: un agente colpito al torace da una
bomba carta. In
realtà sono stati diversi i ragazzi a loro volta colpiti e feriti.
Verrebbe
forse da chiedersi se non sia il caso di ripensare le possibili forme
di protesta, in un momento storico e sociale in cui i giovani e le
famiglie, compresi gli inquilini delle occupazioni abitative, sono
visti con diffidenza, una diffidenza piena di pregiudizi.
Foto di Marco Colombo - Il corteo respinto dall'altro lato del ponte |
Come puntualizza Vincenzo: «Io penso che non sia tanto e solo un problema
di forma, quanto di composizione della piazza. Chi si oppone al
razzismo di Salvini e i suoi, deve puntare ad una composizione non
solo militante ma anche popolare».
È questo quindi il punto di partenza per un cambiamento: il
coinvolgimento popolare,
come quello raccolto nella «grande manifestazione di qualche mese fa
a Roma», che fu a sua volta un flop per la Lega, ma che soprattutto
ha potuto contare su un corteo di contro manifestazione più numeroso
del loro.
C’è
stato anche chi ha cercato di scavalcare queste classiche dinamiche,
proponendo una protesta
alternativa,
nella quale invece sono stati proprio i classici metodi ad essere
messi in discussione: «Pur condividendo spesso e volentieri i nobili
fini perseguiti dai centri sociali — spiega Giovanni
Modica Scala, membro di Arte Migrante
— riteniamo che in certe occasioni i metodi attraverso i quali
vengono espresse determinate idee siano inadeguati ed inefficaci. Per
questo abbiamo
tentato di improvvisare una manifestazione diversa, priva di corteo,
non-violenta
e meno avulsa dai luoghi in cui i seguaci di Salvini & co. erano
radunati».
Piazza Maggiore |
Senza
nessun tipo di esperienza pregressa in ambito politico, un gruppo di
ragazzi («un numero davvero sparuto, circa 15») si sono dati
appuntamento sotto le due torri, muniti di strumenti musicali e
colori. Raggiunta la piazza, sono
riusciti a contagiare più di 300 persone al grido "Bologna
meticcia" e a loro si sono aggiunti anche i membri della
compagnia teatrale Cantieri Meticci.
Se è vero che le informazioni che passano per i principali mezzi di
informazione sono lacunose, questo è dimostrato dal fatto che si sia
dato «ampissimo spazio agli scontri occorsi negli altri cortei,
censurando o mistificando quanto accaduto tra Piazza Maggiore e
Piazza Re Enzo. Alcuni ci hanno definiti, ad esempio “i giovani dei
più agguerriti centri sociali bolognesi”, citando episodi non
verificatisi per nulla o del tutto circoscritti e marginali». Anche
in questo caso, «purtroppo
ciò che fa notizia, come sappiamo, è la violenza».
Piazza Maggiore |
Le
proteste colorate e non-violente non sono una novità in Italia ma
spesso non fanno notizia proprio perché non interessanti agli occhi
dei media e perché il messaggio politico che veicolano è più
difficilmente trattabile con l’obiettivo di “demonizzare” la
protesta.
Rimangono però forme di dissenso spoliticizzate, i ragazzi di Arte
Migrante vogliono «essere protagonisti più che antagonisti», ma in
realtà a parte l’antirazzismo, di quale progetto si fanno
portavoce? D'altra parte, tornare ad essere più numerosi passa
proprio attraverso l’abbattimento di quel clima di terrore che
vedono i movimenti non-violenti in prima linea. Se
noi siamo “violenti” ma proponiamo un’alternativa veniamo
additati dalle istituzioni come sovversivi, se invece siamo
“non-violenti” e ci facciamo portavoce di grandi questioni
sociali come l’antirazzismo, per i media ci trasformiamo in
stereotipi fricchettoni senza possibilità di replica.
Ripensare
dunque le forme o la composizione? Senza suddividere nettamente
l’opposizione politica a metà (violenti/non-violenti), sarebbe
possibile estrapolare gli elementi migliori di queste diverse forme
di dissenso e farle dialogare?
A voi la parola.
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