Fonte: Skytg24 |
“Il
mondo è quello che è, cioè poca cosa. È ciò che ciascuno sa dopo
ieri, grazie al formidabile concerto che la radio, i giornali e le
agenzie di stampa stanno scatenando”. Con queste parole, l’8
agosto 1945, Albert Camus cominciava l’editoriale del giornale
della Resistenza francese Combat, a commento del bombardamento su
Hiroshima. Un simile “formidabile concerto” ha avuto luogo dopo
gli attacchi del 13 novembre a Parigi. I media non ci hanno
risparmato nessun tipo di commento. Siamo stati sommersi da un
diluvio di informazioni in cui e’ facile annegare. È stato
scritto e detto cosi’ tanto che la quantità degli argomenti è andata a detrimento della qualità degli stessi.
C’e’
molto poco da aggiungere alla massa di informazioni su quello che è successo a Parigi. Tuttavia, nella speranza di contribuire ad un
dibattito informato, abbiamo contattato James Strong, fellow in
Relazioni Internazionali, il quale è stato intervistato in precedenza dal
New
York Times
e da Al
Jazeera.
Gli
attacchi di Parigi hanno sconvolto il mondo occidentale solo pochi
mesi dopo gli attentati di gennaio 2015. Siamo stati testimoni di
reazioni internazionali profondamente emotive, dai social media alle
dichiarazioni dei più importanti uomini e donne del pianeta. Il
presidente Holland ha definito l’attacco come un “atto di
guerra”. Lei ha scritto che “la logica dei media (…) colonizza
i processi decisionali della politica estera”. Potrebbe spiegare
cosa significa e come ciò si inserisce nel contesto post-attacchi di
Parigi?
In
situazioni come queste, c’è il rischio che il desiderio dei media
di avere una reazione immediata, dichiarazioni semplici e una linea
politica chiara renda affrontare la situazione siriana estremamente
difficile. I media vogliono sapere SUBITO le intenzioni dei governi.
Non c’è tempo per riflettere o pianificare, ci vuole una reazione
immediata. Analogamente, la natura fortemente emotiva e scioccante di
questi attacchi genera una copertura massiccia da parte dei media che
forza i governi a focalizzarsi su Parigi, escludendo ad esempio
situazioni simili in Libano o Nigeria. Infine, è difficile far
emergere una risposta politica temperata e bilanciata. Il presidente
Hollande ha dichiarato lo stato d’emergenza e inviato una portaerei
per unirsi alla battaglia in Sira. Molte più persone parlano di
mantenere i rifugiati al di fuori dell’Europea occidentale (e
degli USA) piuttosto che di proteggere i civili siriani affinché
questi non sentano affatto il bisogno di diventare rifugiati. In
parte questo rispecchia l’immediata reazione dell’opinione
pubblica. Sono però i media ad amplificarla ed esasperarla.
Pensa
che il tipo di linguaggio usato dai leader politici internazionali
suggerisca che sta per avvenire un importante cambiamento nella
politica estera europea e statunitense in Medio Oriente?
Penso
che un cambiamento di un qualche tipo fosse già in corso, vista la
crescente consapevolezza che gli USA e la Russia dovranno collaborare
per affrontare la minaccia comune dell’ISIS. Dopo il bombardamento
del Metrojet di qualche settimana fa, questo processo sta avvenendo a
Mosca tanto quanto a Washington. Allo stesso tempo, è tutt’altro
che chiaro che ci sia un vero desiderio di un coinvolgimento su larga
scala in Siria da parte del pubblico occidentale, o persino su quello
diportata limitata che la Russia ha lanciato per conto del regime di
Assad. Sicuramente l’occidente rinuncerà alle proprie obiezioni
sulla permanenza di Assad al potere, almeno nel breve-medio termine.
E
a proposito del Regno Unito?
In
Gran Bretagna l’aritmetica parlamentare milita ancora contro una
risposta militare all’ISIS. Il leader laburista Jeremy Corbyn si
oppone all’uso della forza per principio. Se però il governo
proponesse una strategia comprensiva per affrontare i problemi di
cooperazione multilaterale, diritto internazionale, protezione
umanitaria e diplomazia, esso potrebbe ottenere il supporto
parlamentare per ulteriori attacchi militari.
Alcuni
commentatori discutono sul fatto che la strategia dello stato
islamico sia di incitare i civili europei a provare più odio nei
confronti dei “mussulmani”, indiscriminatamente. Gli stessi
invitano a essere più cauti ed evitare l’uso di frasi quali
“scontro di civiltà”. Altri, invece, vedono gli attacchi come
un’opportunità da cogliere al fine di prendere provvedimenti
concreti per eliminare la minaccia e garantire sicurezza ai cittadini
europei. Quale pensa sia il ruolo che dell’opinione pubblica
giocherà ora nel condizionare la politica estera europea nei
confronti dello Stato Islamico?
”Opinione
pubblica” è un concetto difficile. Per esempio, quando si parla
dell’opinione pubblica francese, bisogna tener conto dell’opinione
dei mussulmani francesi, la maggior parte del quali predilige un
approccio bilanciato che da un lato li protegga dall’ISIS senza
però far del male ai civili. L’ISIS potrebbe benissimo puntare
provocare uno scontro di civiltà. In un certo però senso la
tradizione pluralista delle democrazie occidentali dovrebbe
proteggerli. Se emergeranno delle reazioni anti-immigrati ciò avrà
delle conseguenze dannose. Comunque ci sono buone ragioni per sperare
che saranno opinioni più razionali a prevalere.
I
mussulmani sono il 4,5% della popolazione inglese, rispetto al 7,5%
di quella francese. L’opinione pubblica britannica si comporterà
in maniera diversa rispetto a quella degli altri paesi europei?
James Strong |
Probabilmente
no, in generale in Gran Bretagna si tende a essere più propensi
all’uso della forza all’estero e all’intervento in altri stati.
E’ anche vero che è molto diffusa una mentalità“da isola”,
soprattutto su temi quali immigrazione e coordinamento europeo. Le
minoranze sicuramente prenderanno parte al dibattito pubblico, in
particolare sottolineando due aspetti. Primo, le persone che portano
avanti questo genere di attacchi, sono le stesse persone da cui i
rifugiati stanno fuggendo. Secondo, le minoranze da sole non possono
sconfiggere l’ISIS. Ho apprezzato particolarmente il tweet di un
mussulmano britannico che ha detto “Non riesco nemmeno a ricevere
una risposta dalla ragazza che mi piace, e tu ti aspetti che io
sconfigga un gruppo terroristico?!”. Adesso, la tradizione
occidentale del pluralismo e della tolleranza che tanto offende
l’ISIS gioca un ruolo specifico nel proteggere le minoranze
all’interno degli stati occidentali. La maggior parte degli
appartenenti a un qualsiasi gruppo minoritario crede fortemente in
questi valori. E’ da un po’ che sostengo che l’occidente
batterà l’ISIS per un semplice fatto: le persone fuggono
terrorizzate dall’ISIS a milioni e cercano di venire qui, dove quei
valori sono rispettati. Nel lungo periodo, purché non dimentichiamo
ciò, l’occidente prevarrà.
Luigi Lonardo
Traduzione di Sabrina Mansutti
L'articolo in lingua originale lo potete trovare qui
Nessun commento:
Posta un commento