Immaginate di vivere in un piccolo villaggio del passato, di quelli al di fuori della civiltà, dove vi dovete spaccare la schiena per tirare avanti. Nonostante le difficoltà siete però riusciti a consolidare la vostra comunità, garantendone la sopravvivenza, e la vostra esistenza si può dipanare nella tranquilla quotidianità del duro lavoro. Un tarlo però vi assilla: le pecore del vostro vicino, che sono più delle vostre, mangiano troppa di quella che è l’erba di tutti. Che fare? La comunità ne risentirà a lungo andare, ma il buon vicino sta solo provvedendo alla propria sopravvivenza e a quella del suo bestiame.
Passiamo ora ai giorni nostri, solo per scoprire che non è cambiato nulla, lo stesso identico problema di prima ci affligge. Solo che non si parla più di pecore ma di gigabyte, e il tutto ricade sotto il nome di “net neutrality”.
Internet rappresenta senza dubbio il più grande common della storia dell’umanità: esso fornisce la capacità di interagire continuamente, muovendo un enorme numero di informazioni in tempo quasi reale. Proprio per questo sono state ideate incredibili innovazioni, il tutto in un ambiente tutto sommato poco regolamentato dall’alto. Tuttavia anche in questo caso, come nel nostro villaggio, ci si sta progressivamente scontrando con un limite: la capacità delle infrastrutture fisiche della Rete di caricare dati non è infinita, e sono richiesti enormi investimenti per migliorarla, provenienti in buona parte da capitali privati. Ecco quindi riproporsi la famosa “Tragedy of the commons” in salsa 2.0.
La questione è salita agli onori delle cronache nel Febbraio di quest’anno, quando la Commissione Federale per le Comunicazioni americana ha deliberato in merito, seguita dal Consiglio Europeo dello scorso 27 Ottobre. In generale è stata descritta come un grande contrasto tra i provider (ISP), che vorrebbero segmentare la Rete con delle “corsie preferenziali”, e gli attivisti, che vedono in questo provvedimento un attentato alla libertà di informazione. La situazione è però più complessa di quanto sembri.
In realtà i provider sono in guerra con i giganti della Rete (Google, Netflix, Facebook, …), non con il singolo internauta, che è paragonabile piuttosto a una vittima fortuita. Gli ISP accusano queste corporation di trarre degli incredibili profitti tramite la movimentazione di una gigantesca quantità di dati sulla Rete, senza contribuire al suo miglioramento. Con il sistema delle corsie preferenziali a pagamento i loro contenuti viaggerebbero più veloci, la Rete sarebbe più leggera e ci sarebbero più fondi da investire. Senza contare che in via di principio è giusto che i più grandi paghino di più.
Le corporation, spaventate dal dover pagare ogni provider, rispondono con l’etica. Secondo loro la continua segmentazione della Rete porterà a un futuro dove alcuni servizi saranno disponibili solo tramite certi ISP. In tal modo Internet perderebbe così la sua funzione primaria di permettere di comunicare liberamente con tutti. Certo, bisogna anche dire questi giganti sono in una posizione da cui possono trarre un profitto comunque vada. Qualora i provider la spuntassero, le corporation potrebbero, semplicemente pagando, rendere la vita impossibile ai concorrenti più piccoli e alle start up. In caso contrario, si troverebbero comunque in una posizione “politicamente” dominante rispetto ai provider sulle tematiche della gestione di Internet ( e non dovrebbero sganciare un soldo).
Gli attivisti si ritrovano, loro malgrado, a condividere l’opinione delle corporation. I provider, potendo decidere i contenuti “prioritari”, potrebbero mettere un pedaggio per accedervi. Chi non può, o non vuole, pagare questo balzello sarebbe quindi escluso da certi servizi e non potrebbe comunicare con i network che invece offrono questi servizi. Come ha detto Tim Berners Lee, uno dei progettisti di Internet, non si tratta di avere Internet gratis, ma di far sì che la Rete resti tale, e quindi pienamente interconnessa. Per farvi un’idea più chiara, invito tutti a dare un’occhiata a questo video preso dal loro sito.
Ultimi vengono i liberisti, contrari all’idea di una net neutrality mantenuta artificialmente contro le spinte del mercato. Nella loro ipotesi, non c’è rischio di esclusione: il cliente potrà accedere alle "corsie preferenziali" tra i diversi pacchetti offerti dai provider, progettati per venire incontro alle preferenze di ognuno. Non sarebbe nell’interesse dei provider escludere alcuni utenti, perché perderebbero dei profitti. Più o meno la stessa cosa è accaduta con gli abbonamenti flat, discriminatori ma paradossalmente utili per favorire la diffusione di Internet (qui il ragionamento completo).
La questione ha dunque un certo peso, e i governi stanno deliberando a proposito. Gli Stati Uniti sono più vicini alla concezione di una net neutrality “integrale”, l’Unione Europea si è dimostrata possibilista verso una segmentazione della Rete. Vista l’enorme quantità di reazioni (ad esempio qui, quo e qua), ne sentiremo ancora parlare.
Roberto Mantero
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