Sopravvissuti all’estinzione massiccia della scena disco-punk, gioiosamente rinata negli Usa durante gli anni Novanta e nota principalmente per aver dato i natali ai newyorkesi LCD Soundsystem, i !!! hanno ostinatamente resistito nella loro nicchia ecologica per 19 anni, attaccandosi alle risorse che potevano reperire in un ecosistema in rapidissimo cambiamento come quello del mercato musicale dell’ultimo ventennio. Hanno resistito lavorando sull’adattività, cambiando qualcosa di sé stessi per conquistare nuovi territori ed abituarsi a nuove forme di sostentamento, ma – e questo va loro riconosciuto – senza mai abbandonare alcuni loro tratti caratteristici, senza mai abbandonare quella vena autoironica e quell’attitudine da kings of the dancefloor che li ha contraddistinti fin dall’inizio, e che ha loro permesso di coltivare ed estendere negli anni una fan base affezionata e costante.
!!! (Chk Chk Chk) |
Formatisi a Sacramento (CA) dalla fusione delle band Black Liquorice e Popesmashers, alle quali si aggiunse il cantante degli Yah Mos Nic Offer, i !!! – o “Chk Chk Chk”, o “la ripetizione per tre volte di un qualsiasi suono monosillabico” – shakerano insieme una discodance d’ispirazione vagamente Eighties e un’anima punk devota al caos e al fare le cose sbagliate. Partendo dal nome: i tre punti esclamativi non sono indicizzati su Google, e la band è quindi irrintracciabile se non cercando appunto “Chk Chk Chk”. È probabilmente dovuto a questo se il loro discreto successo di pubblico non è corrisposto da pari entusiasmo online, indicatore che pare ormai quasi altrettanto importante delle presenze ai concerti: su Facebook la pagina !!! (Chk Chk Chk) ha meno di 60mila pollicioni (per fare un paragone, la pagina di Lorenzo Fragola ne ha 335mila), mentre su Youtube le visualizzazioni dei loro video ufficiali vanno da un massimo di 85mila a un minimo di SEICENTOUNDICI (al momento in cui scrivo) per la clip di Californyeah, uno dei pezzi più belli del loro precedente album Thr!!!er, che ha tra l’altro goduto di un discreto successo di pubblico.
Ma i ragazzi non sembrano farsi fermare da questo scarso apprezzamento della rete per il loro sound. Il 16 ottobre corrente anno hanno infatti rilasciato, come sempre via Warp Records, il loro sesto disco in studio, As If, undici tracce di quelle che è meglio non mettere su a una cena di gala, perché quando partono non puoi fare a meno di agitare il bacino come un macaco in amore.
Per l’occasione Nic Offer ha sperimentato un nuovo approccio alla scrittura dell’album. Rinchiuso nella sua camera con il bassista Rafael Cohen, il leader della band di Sacramento ha prodotto quaranta demo che sono state poi ridotte a venti, poi votate dagli altri membri della band e da “un bel gruppo di amici” per decidere quali sarebbero entrate nel disco. La lavorazione del disco ha visto impegnati il produttore storico Jim Eno ma anche Patrick Ford (Tanlines, Richard Hell, Marianne Faithfull) e Chris Coady (Beach House, Future Islands); mai nella loro storia, però, i tre punti esclamativi avevano fatto uscire un lavoro così auto-prodotto, così personale.
Il titolo stesso del disco è un manifesto in questo senso. Come ha dichiarato Offer, As If nasce dalla curiosità di immaginarsi nei panni di altri musicisti, che il leader della band ha ascoltato massicciamente durante la scrittura dei brani: “E se fossimo Nina Kraviz? E se fossimo una band Motown degli anni Sessanta? E se fossimo Dj Rashad? E se fossimo un pezzo di Traxx degli anni Novanta?”. È un rielaborare stili e immaginari musicali della dance storica attraverso le lenti dei !!!, la ricerca di un’evoluzione nello stile della band facendosi guidare dagli spunti offerti dai grandi del passato.
Ma i ragazzi non sembrano farsi fermare da questo scarso apprezzamento della rete per il loro sound. Il 16 ottobre corrente anno hanno infatti rilasciato, come sempre via Warp Records, il loro sesto disco in studio, As If, undici tracce di quelle che è meglio non mettere su a una cena di gala, perché quando partono non puoi fare a meno di agitare il bacino come un macaco in amore.
Per l’occasione Nic Offer ha sperimentato un nuovo approccio alla scrittura dell’album. Rinchiuso nella sua camera con il bassista Rafael Cohen, il leader della band di Sacramento ha prodotto quaranta demo che sono state poi ridotte a venti, poi votate dagli altri membri della band e da “un bel gruppo di amici” per decidere quali sarebbero entrate nel disco. La lavorazione del disco ha visto impegnati il produttore storico Jim Eno ma anche Patrick Ford (Tanlines, Richard Hell, Marianne Faithfull) e Chris Coady (Beach House, Future Islands); mai nella loro storia, però, i tre punti esclamativi avevano fatto uscire un lavoro così auto-prodotto, così personale.
Il titolo stesso del disco è un manifesto in questo senso. Come ha dichiarato Offer, As If nasce dalla curiosità di immaginarsi nei panni di altri musicisti, che il leader della band ha ascoltato massicciamente durante la scrittura dei brani: “E se fossimo Nina Kraviz? E se fossimo una band Motown degli anni Sessanta? E se fossimo Dj Rashad? E se fossimo un pezzo di Traxx degli anni Novanta?”. È un rielaborare stili e immaginari musicali della dance storica attraverso le lenti dei !!!, la ricerca di un’evoluzione nello stile della band facendosi guidare dagli spunti offerti dai grandi del passato.
!!! (Chk Chk Chk) - As If |
Il disco si apre con All you writers, le cui atmosfere da dark room vengono accentuate dalla voce di Offer, alternativamente in falsetto e pesantemente de-tunata verso le ottave basse. Nonostante non sia il pezzo più riuscito del disco, è magnifico il crescendo del ponte che, sempre più infiorettato di sintetizzatori e improvvise schitarrate acide, costruisce un momento di tensione che poi si risolve non in un drop di bassi da EDM scadente, ma in un raffinatissimo svuotarsi di dinamiche che lascia solo basso e batteria. Il pensiero corre automatico allo splendido remix di Opus di Eric Prids eseguito da Four Tet, che tanto scorno ha fatto pigliare ai frequentatori dell’Amnesia di Ibiza.
A seguire Sick Ass Moon, che prosegue sulle atmosfere della precedente ma senza riuscire altrettanto bene, finendo in un nulla di fatto dove ci si aspetterebbe qualcosa in più. Purtroppo di questo disco bisogna dire che è piuttosto altalenante, alternando brani davvero splendidi ad altri che vanno bene come sottofondo, ma niente più.
Ecco però che arriva l’infilata giusta, inaugurata da Every Little Bit Counts, scatenato discofunky guidato da una chitarra saltellante che mette l’argento vivo addosso. Non è uno di quei pezzi che ricorderai per sempre, ma la metterei volentieri in macchina a volume friggi-casse prima di una serata.
Dopo il funky old-style, è finalmente il turno dei Daft Punk, che trapelano chiari tra le righe di Freedom! ’15, uno dei punti forti di tutto il disco. I bassoni elettronici che si inabissano e poi risalgono alla fine della strofa, l’inarrestabile giro del ritornello, con quella grana deliziosa data dal doppiaggio di basso e lead di tastiera, il groove che ti fa scuotere le spalle: tutto concorre a costruire un pezzo che, quando mi riciclerò come dj vecchio e senza speranze nei baretti di provincia, non potrò non proporre ogni maledetta serata.
Il terzetto è chiuso da Ooo, il cui video ufficiale è uscito cinque giorni fa, ambientato in un succosissimo scenario Star Trek-inspired. Gli effetti speciali volutamente farlocchi, uniti all’immaginario sexy-fantasy e alla struggente melodia del refrain, fanno amare subito uno dei brani meno acidi dell’album.
Tanto che il successivo All The Way rimane poco impresso, sfuggendo tra i neuroni come la musica ambient-dance nei negozi di H&M: uno sfondo che non si registra veramente finché non cambia o non si spegne. Anche Til The Money Runs Out e Bam City non sono particolarmente significative, anche se sono degne di nota le pesanti incursioni del sintetizzatore saturato nella seconda. Entrambe rimangono comunque piacevolmente danzerecce; se la principale cifra del disco – e dell’intera produzione dei sei di Sacramento – è quella di divertire, le due tracce non stonano affatto.
L’acidità torna a gamba tesa con Funk (I Got This), la traccia numero 9. La title line, ripetuta ossessivamente dalla voce effettata di Offer che a tratti ricorda il funk-soul brother del maestro Fatboy Slim, si stende a dare unità al sottostante marasma da dancefloor e spedisce l’ascoltatore in un brutto trip, di quelli che vengono proiettati dietro gli occhi chiusi dell’ultimo ballerino che, alle sei di mattina, barcolla ancora da solo in mezzo alla pista, rifiutandosi di tornare alla realtà.
A seguire Sick Ass Moon, che prosegue sulle atmosfere della precedente ma senza riuscire altrettanto bene, finendo in un nulla di fatto dove ci si aspetterebbe qualcosa in più. Purtroppo di questo disco bisogna dire che è piuttosto altalenante, alternando brani davvero splendidi ad altri che vanno bene come sottofondo, ma niente più.
Ecco però che arriva l’infilata giusta, inaugurata da Every Little Bit Counts, scatenato discofunky guidato da una chitarra saltellante che mette l’argento vivo addosso. Non è uno di quei pezzi che ricorderai per sempre, ma la metterei volentieri in macchina a volume friggi-casse prima di una serata.
Dopo il funky old-style, è finalmente il turno dei Daft Punk, che trapelano chiari tra le righe di Freedom! ’15, uno dei punti forti di tutto il disco. I bassoni elettronici che si inabissano e poi risalgono alla fine della strofa, l’inarrestabile giro del ritornello, con quella grana deliziosa data dal doppiaggio di basso e lead di tastiera, il groove che ti fa scuotere le spalle: tutto concorre a costruire un pezzo che, quando mi riciclerò come dj vecchio e senza speranze nei baretti di provincia, non potrò non proporre ogni maledetta serata.
Il terzetto è chiuso da Ooo, il cui video ufficiale è uscito cinque giorni fa, ambientato in un succosissimo scenario Star Trek-inspired. Gli effetti speciali volutamente farlocchi, uniti all’immaginario sexy-fantasy e alla struggente melodia del refrain, fanno amare subito uno dei brani meno acidi dell’album.
Tanto che il successivo All The Way rimane poco impresso, sfuggendo tra i neuroni come la musica ambient-dance nei negozi di H&M: uno sfondo che non si registra veramente finché non cambia o non si spegne. Anche Til The Money Runs Out e Bam City non sono particolarmente significative, anche se sono degne di nota le pesanti incursioni del sintetizzatore saturato nella seconda. Entrambe rimangono comunque piacevolmente danzerecce; se la principale cifra del disco – e dell’intera produzione dei sei di Sacramento – è quella di divertire, le due tracce non stonano affatto.
L’acidità torna a gamba tesa con Funk (I Got This), la traccia numero 9. La title line, ripetuta ossessivamente dalla voce effettata di Offer che a tratti ricorda il funk-soul brother del maestro Fatboy Slim, si stende a dare unità al sottostante marasma da dancefloor e spedisce l’ascoltatore in un brutto trip, di quelli che vengono proiettati dietro gli occhi chiusi dell’ultimo ballerino che, alle sei di mattina, barcolla ancora da solo in mezzo alla pista, rifiutandosi di tornare alla realtà.
!!! (Chk Chk Chk) |
Realtà che non arriva nemmeno con la traccia successiva. Lucy Mongoosey è una mosca bianca, un unicum nel tessuto tutto sommato piuttosto omogeneo del disco. La batteria compressa la fa rotolare via soave, mentre la voce dolce e strozzata, rinforzata dai cori quasi gospel del ritornello, rende il decimo brano una zolletta di zucchero nel bicchiere di limone che è As If. Se gli altri pezzi sono adatti a carburare un pre-serata in una New York dalle tinte lisergiche, Lucy la ascolterei volentieri in viaggio, in quel mood un po’ malinconico di quando torni da una vacanza e sei in treno da solo e il tramonto rende tutto il mondo davanti stranamente bello e rosadorato.
Per questo I Feel So Free (Citation Needed), l’ultimo e forse il più straniante brano del disco, stacca in maniera molto brusca. La cassa brutale che entra lapalissianamente dopo “Damn, it’s quiet around here without the kick drum” è uno schiaffo in faccia, e la voglia di ballare dando i pugni all’aria rimane intatta per tutti i quasi nove minuti del pezzo. Così As If finisce com’è iniziato, con un brivido scuro che ti porta nella parte più buia del locale, dove le coppiette che limonano ti guardano preoccupate cercando di capire se sei un guardone o solo l’ennesimo ubriaco che cerca il bagno.
NON CONSIGLIATO SE: La visione di un uomo alto due metri in braghini inguinali che balla come se non ci fosse nessuno intorno vi turba.
CONSIGLIATO SE: Per ballare non avete bisogno di un drop violento di Avicii, ma apprezzate anche le dinamiche più raffinate e vintage. O, più semplicemente, se siete di quelli a cui piace guardare le coppiette che si strusciano.
Per questo I Feel So Free (Citation Needed), l’ultimo e forse il più straniante brano del disco, stacca in maniera molto brusca. La cassa brutale che entra lapalissianamente dopo “Damn, it’s quiet around here without the kick drum” è uno schiaffo in faccia, e la voglia di ballare dando i pugni all’aria rimane intatta per tutti i quasi nove minuti del pezzo. Così As If finisce com’è iniziato, con un brivido scuro che ti porta nella parte più buia del locale, dove le coppiette che limonano ti guardano preoccupate cercando di capire se sei un guardone o solo l’ennesimo ubriaco che cerca il bagno.
NON CONSIGLIATO SE: La visione di un uomo alto due metri in braghini inguinali che balla come se non ci fosse nessuno intorno vi turba.
CONSIGLIATO SE: Per ballare non avete bisogno di un drop violento di Avicii, ma apprezzate anche le dinamiche più raffinate e vintage. O, più semplicemente, se siete di quelli a cui piace guardare le coppiette che si strusciano.
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