Alcune ricerche sull'omofobia in Italia e nel Mondo

Alla domanda di un giornalista che gli chiede “Cos’è per lei l’omofobia?” l’avv. Gianfranco Amato, dei Giuristi per la Vita, uno dei gruppi più attivi del movimento “no gender” risponde: “Omofobia significa, ci dice l’etimologia, paura dell’uguale. Io dico sempre: io e mio fratello siamo uguali, se avessi paura di mio fratello sarei omofobo? No [sic]. È un concetto che non esiste, è un concetto ideologico perché tutti noi siamo uguali” 1.
Per corroborare questa tesi secondo cui l’omofobia sarebbe un’invenzione senza nessun riscontro nella realtà, nelle varie conferenze anti-gender, viene spesso citato un sondaggio fatto dall’Istituto statunitense “Pew Research Center” in 39 paesi per quantificare il grado di accettazione dell’omosessualità. Dalla ricerca risulterebbe, secondo la lettura che ne fanno i movimenti “no gender”, che l’Italia è uno dei Paese più tolleranti al mondo rispetto all’omosessualità. Secondo la rivista cattolica Tempi, anch’essa in prima linea sul fronte “no gender”:

«Lo scorso 4 giugno [2013] il Pew Research Center ha pubblicato un rapporto che indica l’Italia l’ottavo paese più tollerante al mondo nei confronti dell’omosessualità, a pari merito con l’Argentina. Non solo, secondo la ricerca del think tank americano, l’Italia si piazza al quarto posto mondiale – dietro Corea del Sud, Stati Uniti e Canada – tra i paesi che hanno fatto i più grandi passi avanti nell’accettazione dell’omosessualità negli ultimi sei anni » 2.

Se questo dato fosse vero, ribadiscono i “no gender”, allora sarebbe di fatto invalidata un’altra inchiesta condotta dall’Agenzia per i Diritti Fondamentali dell’Unione Europea nel 2012 su un campione di circa 93000 persone LGBT, interrogate sulla loro percezione della discriminazione, sul modo di vivere la propria omosessualità in famiglia, sul coming out, sul lavoro ecc., secondo cui l’Italia è uno dei paesi dell’Unione Europea in cui l’omofobia è risentita in maniera più forte.





Per capire meglio la discordanza tra questi due risultati e sull’uso che ne viene fatto occorre andare a vedere più da vicino i dettagli delle ricerche. In realtà, un’analisi più attenta permette di apportare delle precisazioni che capovolgono la presentazione fatta dai “no gender”.
Sottolineiamo innanzitutto che la differenza sostanziale tra la ricerca del Pew Research Center e la ricerca dell’Agenzia per i Diritti Fondamentali dell’Unione Europea sta nel fatto che nel primo caso si tratta di un sondaggio a domanda unica, mentre nel secondo caso si tratta di un’inchiesta realizzata tramite questionario autosomministrato online che prevedeva una batteria di domande divise in dieci sezioni, a cui i partecipanti hanno consacrato in media 28 minuti 3.


Nel sondaggio “The Global Divide on Homosexuality” 4 del Pew Research Center i partecipanti (il campione nazionale per l’Italia era composto da circa 1000 persone adulte al di sopra dei 18 anni) dovevano rispondere alla domanda:

“Quale tra queste due affermazioni è più vicina alla sua opinione? La numero 1 o la numero 2?
Numero 1 – “L’omosessualità dovrebbe essere accettata dalla società” o Numero 2 – “L’omosessualità non dovrebbe essere accettata dalla società”.

A questa domanda, nel 2007, in Italia è risultato il 65% di risposte positive (quindi i due terzi del campione), mentre nel 2013, alla stessa domanda si osserva un aumento di 9 punti (uno degli aumenti più significativi tra tutti i paesi sondati): il 74% del campione italiano considera che l’omosessualità deve essere accettata nella società, rimanendo comunque all’ottavo posto dopo Francia, Gran Bretagna, Repubblica Ceca, Spagna, Germania, USA, Canada e Australia.


Questo è sufficiente per affermare che l’Italia è uno dei paesi più tolleranti al mondo rispetto all’omosessualità? È bene precisare anzitutto che solo 39 paesi (quelli elencati nella tabella) sono stati interrogati e non tutti i 205 paesi del globo, e che, per l’Europa, per esempio, solo 9 paesi sono stati inclusi nel sondaggio. Se tutti i paesi dell’Unione Europea fossero stati inseriti il risultato sarebbe stato ben diverso.

In effetti, secondo la Rainbow Map 2015 realizzata dall’associazione ILGA-Europe (associazione che difende i diritti delle persone LGBT) e che tiene conto del grado di protezione delle minoranze sessuali sulla base delle leggi e dei programmi di lotta contro le discriminazioni esistenti (quindi su basi oggettive), l’Italia si posiziona al 34° posto in Europa (perdendo due punti rispetto al 2014) con il 22%, poco dopo la Polonia (26%) e la Bulgaria (27%) e poco prima del Kosovo (18%) o della Lituania (19%) 5.


Oltre a negare il fenomeno dell’omofobia su cui esistono da almeno trent’anni numerosi studi scientifici 6, a questa lettura tendenziosa dei dati si aggiunge un’altra flagrante mistificazione. Contrariamente a quanto affermato dai movimenti che rivendicano il riconoscimento dei diritti delle persone LGBT, affermano i “no gender”, nei paesi in cui sono state adottate leggi che danno accesso al matrimonio per le coppie dello stesso sesso l’omofobia non diminuirebbe, anzi, viene talvolta avanzato, questa aumenterebbe.

Ora, se si consulta il dettaglio delle risposte fornite all’inchiesta dell’Agenzia dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, appare chiaramente la correlazione tra riconoscimento dei diritti e diminuzione della discriminazione percepita dalle persone. Se si osserva il dato che riguarda la domanda fatta ai partecipanti: “Con quanti sei aperto o dichiarato sulla tua identità lesbica, gay, bisessuale o transgender sul lavoro?”, dalle risposte si evince chiaramente che nei paesi che hanno adottato queste leggi già da alcuni anni la situazione è diversa rispetto ai paesi in cui non esistono questo tipo di leggi: in Italia, nel 2012, il 35% dei partecipanti dichiara di nascondere la propria identità lesbica, gay, bisessuale o transessuale sul lavoro e il 14 % di essere aperto con tutti, mentre nei Paesi Bassi, che è stato il primo paese ad adottare il matrimonio omosessuale nel 2001, solo il 5% si nasconde e il 43% si dichiara a tutti; nel Regno Unito (che dal 2004 prevede il civil parternship) il 9% si nasconde e il 36% si dichiara, in Belgio (dove esiste il matrimonio egualitario dal 2003) il 12% si nasconde e il 31% si dichiara. C’è quindi una correlazione evidente: nei paesi “avanzati” dal punto di vista di queste leggi le persone vivono più serenamente la loro identità e non hanno paura di fare coming out sul luogo di lavoro.

Questo permette anche di insistere sul fatto che un sondaggio a cui viene posta una sola domanda generale non indica se in un paese esiste o no l’omofobia, ma semplicemente se in un dato paese l’attitudine nei confronti dell’omosessualità propende verso l’accettazione (e accettazione non è sinonimo di riconoscimento o di integrazione, ma piuttosto di semplice tolleranza spesso espressa secondo il principiodon’t ask, don’t tell) o verso un’ostilità manifesta. Un’inchiesta che sonda l’esperienza della discriminazione vissuta dalle persone nel loro quotidiano, attraverso una serie di domande approfondite, permette, al contrario, di ribadire la persistenza in Italia e non solo di una diffusa, recalcitrante e ordinaria omofobia.


Massimo Prearo

Articolo pubblicato originariamente su iosonominoranza



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Le parole di Gianfranco Amato sono tratte dal video della conferenza tenutasi nel Comune di Noicattaro (Ba) il 28 aprile 2015, organizzata dal Movimento per la Vita di Noicattaro con il patrocinio del Comune. Video disponibile su YouTube. URL.
Ma quale “allarme omofobia”. Una ricerca prova che l’Italia è tra i paesi meno omofobi al mondo, «Tempi.it», 7 giugno 2013. URL. Tutti i dati relativi all’inchiesta sono disponibili online sul sito dell’Agenzia per i Diritti Fondamentali dell’Unione Europea. URL.
Tutti i dati relativi al sondaggio sono disponibili online sul sito del Pew Research Center. URL.
Dati disponibili sul sito di ILGA-Europe. URL.
Daniel Borrillo, Omofobia. Storia e critica di un pregiudizio, Edizioni Dedalo, Bari 2009.

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