Le
cause delle migrazioni sono molteplici. In particolare, di recente è
aumentato in tutta Europa il numero dei richiedenti asilo: persone
che cercano di ottenere lo status di rifugiato, riconosciuto a chi è
costretto a emigrare perché vittima di conflitti e persecuzioni. È
però necessario analizzare le migrazioni anche dal punto di vista
della mobilità internazionale della
forza lavoro. Tra i fattori che
costringono, o quantomeno incentivano i migranti a spostarsi troviamo
la povertà e la mancanza di opportunità di vita e di lavoro nei
loro Paesi di origine, ma cosa accade
nei Paesi che sono meta delle migrazioni?
Per quale motivo qui c'era e c'è tuttora, per citare lo scrittore
svizzero Max Frisch, qualcuno che “cerca braccia”?
Fonte: Corbisimages.com |
Per
molti Paesi dell'Europa occidentale la risposta è semplice: per via
del boom economico del
secondo dopoguerra. Nonostante l'aumento della popolazione registrato
in quel periodo, la ricostruzione postbellica e l'incremento della
crescita economica resero necessaria la ricerca di lavoratori
stranieri, reclutati tramite accordi bilaterali con i Paesi d'origine
o sfruttando l'immigrazione proveniente dalle ex-colonie.
A
causa della crisi petrolifera del 1973, accompagnata dalla recessione
e dall'aumento della disoccupazione, in molti Paesi europei si decise
di non fare più ricorso al reclutamento di quelli che in tedesco
erano chiamati Gastarbeiter,
ovvero lavoratori ospiti. Tuttavia,
lo stop ai nuovi ingressi non fu implementato completamente. Alcuni
lavoratori stranieri tornarono nei Paesi d'origine, ma molti altri
furono riassunti dai datori di lavoro anziché essere sostituiti,
vedendo ampliati i loro diritti e liberalizzate le prestazioni
sociali in caso di ricongiungimento familiare. In seguito furono
varate nuove politiche dedicate all'integrazione degli immigrati,
nonché ad attrarre determinate categorie di lavoratori qualificati.
Negli
ultimi anni, infine, è diventato un tema caldo il cosiddetto
“turismo del welfare”,
ovvero la possibilità che alcuni immigrati possano decidere di
stabilirsi nei Paesi europei soprattutto per usufruire dei loro
sistemi di welfare. Per questo motivo, nel settembre dell'anno scorso
la Germania ha introdotto delle
restrizioni all'accesso alle prestazioni sociali per gli immigrati,
non soltanto quelli originari di Paesi terzi ma anche quelli
provenienti da altri Stati membri dell'UE.
L'Italia
è invece diventata per la prima volta terra d'immigrazione soltanto
a metà degli anni Settanta. Per lungo tempo nella storia del nostro
Paese si è fatto ricorso alle migrazioni interne (dal Sud al Nord e
dalle campagne alle città) per rispondere alla domanda di lavoro di
numerosi settori dell'economia. Tuttavia, diversi fattori incentivano
l'impiego dei lavoratori immigrati. Fattori
non contingenti,
come il boom economico postbellico, ma
strutturali,
quali: la diminuzione della popolazione in età lavorativa; la
presenza di una forte domanda di lavoro irregolare, soprattutto in
settori quali l'agricoltura e l'edilizia; un sistema di welfare che
vede nella famiglia un ammortizzatore sociale, per cui quando i suoi
membri non riescono a proteggersi da soli dalle contingenze sociali
attraverso il lavoro di cura e la redistribuzione dei redditi, sono
spesso costretti a rivolgersi al mercato dei servizi domestici, uno
dei settori dove i lavoratori stranieri sono più numerosi.
Da
noi, insomma, la struttura dell'economia e dello stato sociale
contribuisce a generare una domanda di lavoro che si ritiene possa
essere soddisfatta facendo ricorso soprattutto alla manodopera
straniera, impiegata prevalentemente in professioni non qualificate.
Prova ne sono le sanatorie:
frequenti regolarizzazioni di lavoratori stranieri irregolari,
susseguitesi dalla fine degli anni Settanta a oggi e adottate anche
in periodi in cui la politica nazionale sembrava intenzionata a voler
contrastare l'immigrazione irregolare e a ridurre il numero di
ingressi per motivi di lavoro tramite il sistema delle quote.
Per
lungo tempo in Italia abbiamo accettato gli immigrati in quanto
lavoratori flessibili e a basso costo,
considerandoli “compatibili” con la forza lavoro autoctona. Dire
che “svolgono lavori che gli italiani non vogliono più fare” è
diventato un luogo comune, che presentava però un fondo di verità:
in alcuni settori dell'economia nazionale la presenza dei lavoratori
italiani è andata diminuendo nel tempo, non solo perché non ne
accettavano i bassi salari ma anche, come si è accennato in
precedenza, per ragioni demografiche e socio-economiche.
La
crisi economica ha messo in discussione questo modello.
Il suo impatto è stato tanto forte da riportare al lavoro di cura
anche manodopera italiana femminile. Ed è aumentato costantemente
anche l'impiego di lavoratrici italiane in agricoltura, spesso
vittime dei terribili abusi che avvengono col fenomeno del
caporalato. Oggi insomma non esiste più una separazione molto netta
tra gli impieghi che gli italiani non accettano e quelli che sono
invece disposti a svolgere. Nel frattempo prosegue lo sfruttamento
dei lavoratori stranieri, pur con un elevato tasso di rotazione:
infatti, anche a causa della crisi è frequente il loro ritorno in
patria. Le loro condizioni di vita e di lavoro non migliorano di
certo; allo stesso tempo, però, peggiorano quelle di molti italiani,
e le loro situazioni finiscono così per convergere e assomigliarsi.
L'immigrazione
presenta una dimensione socio-economica di
fondamentale importanza.
Pertanto, la politica nazionale è chiamata a confrontarsi con temi
molto delicati quali la normativa del mercato del lavoro e la riforma
del welfare, che esulano dalla gestione delle politiche migratorie in
senso stretto. Questo, per giunta, in un contesto di gravissima crisi
in cui sempre più spesso italiani e stranieri si trovano a competere
per l'accesso a posti di lavoro analoghi. Attenzione, quindi, ad
accusare il politico di turno di fomentare la “guerra
tra poveri” con
la sua propaganda. Questo è solo l'ultimo di una lunga serie di
fenomeni di ordine politico, economico e sociale: alcuni sono emersi
con la crisi, altri la precedono. Hanno radici profonde e non sarà
facile risolverli.
Lorenzo
Pedretti
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