La parabola di Ignazio Marino

Alla fine Ignazio Marino, non irrevocabilmente, si è dimesso.
A due mesi dall’inizio del Giubileo straordinario, Roma si ritrova senza una guida, senza un rappresentante, senza un qualcuno a cui possa legare il proprio nome. 
Marino, nato a Genova ma romano d’adozione, fino a pochi anni fa era una delle speranze del Partito Democratico. 

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Ignazio Marino durante le comunali del 2013 - Fonte: Il Tempo
Di professione chirurgo, dopo aver studiato e lavorato a Cambridge, Pittsburgh e Filadelfia, è entrato in politica nel 2006, trasmettendo un’immagine diversa rispetto ai classici politici di professione, e cioè quella di una persona già affermata nel proprio lavoro che ha deciso di accantonare la propria brillante carriera da medico per servire la res publica.

In seguito alla sconfitta nelle primarie per la segreteria del PD nel 2009, decide di candidarsi a quelle per il Sindaco di Roma in cui corrono sia David Sassoli, capo gruppo democratico al Parlamento europeo e Paolo Gentiloni, attuale Ministro degli Esteri. 

Il 7 aprile stravince le primarie democratiche con il 55% dei consensi, staccando gli altri due candidati di oltre il 30%, ed è dunque lui il prescelto a sfidare il sindaco uscente Gianni Alemanno, esponente del centro-destra romano. Ma anche per Alemanno non ci sono speranze: il 10 giugno, al ballottaggio, vince le elezioni con il 64% delle preferenze e diventa Sindaco di Roma grazie a tutti quei romani che hanno riposto in lui la speranza di una svolta dopo i cinque anni di malgoverno di destra, un malgoverno che ha lasciato Roma con le casse vuote e i servizi sempre più inefficienti.

Da qui, da questo preciso momento, è finita la carriera politica di Ignazio Marino. 


Il chirurgo che parlava di testamento biologico e di unioni civili, di diritti per gli omosessuali nonostante fosse un cattolico praticante, che aveva il coraggio di esprimere i propri pareri e le proprie opinioni si è spento, entrato in un vortice dal quale non è più riuscito ad uscire.
Da sindaco ha disposto subito la chiusura al traffico di Via dei Fori Imperiali, scatenando polemiche tra i commercianti ma ottenendo il sostegno dei cittadini, ha chiuso la discarica di Malagrotta, da anni al centro di polemiche.

È passato indenne dallo “scandalo della Panda rossa”, e cioè quello riguardante alcune multe prese, e poi pagate, per essere entrato con la sua macchina, appunto una Fiat Panda rossa, nelle zone a traffico limitato, ma soprattutto è passato dallo scandalo di Mafia Capitale del 2 dicembre scorso, l’inchiesta che ha portato a numerosi arresti tra imprenditori, politici e commercianti e ha mostrato un intreccio stretto e pericoloso tra la politica e il malaffare romano. 

Alcuni assessori della sua giunta si sono dimessi poiché collusi con lo scandalo e le intercettazioni telefoniche hanno portato alla luce un sistema malavitoso che spaziava dal Campidoglio fino alle magistrature, per passare ai palazzi del potere fino alla più profonda periferia. 

Marino è stato uno dei pochi ad uscirne completamente indenne e a conservare il posto e la dignità, costruendo intorno a sé barricate sempre più alte e inaccessibili.

Le iniziali sconfitte politiche da Sindaco venivano improvvisamente contro-bilanciate dal suo senso di onestà e di condanna al crimine organizzato, facendo capire al popolo romano qual era realmente la differenza tra lui ed Alemanno.
Ma Marino, pur essendo politicamente molto migliore (non che ci volesse poi molto), a differenza di Alemanno, non è riuscito a trasformare quel consenso enorme che aveva ottenuto durante le elezioni in un sostegno duraturo, quello che sarebbe stato necessario a ridare una sufficiente credibilità a lui stesso e di conseguenza alla Città Eterna.

E per questo motivo è stato etichettato come “Incapace ma almeno onesto”.
Il chirurgo è passato anche dallo scandalo dei funerali dei Casamonica il 20 agosto scorso, quando si trovava in vacanza ai Caraibi, o alle critiche per essere andato a Filadelfia il 21 settembre per incontrare il Papa che era negli States, senza neppur esser stato invitato. 
E infine la punta dell’iceberg, lo scandalo delle spese fatte con la carta di credito del Comune, 20 mila euro di “spese pazze” che saranno però rimborsate.


La parabola di Marino ha toccato il punto più basso, e si è arrivati a questa situazione sostanzialmente per due motivi. 

Il primo riguarda il fatto che non sia riuscito a mettere davvero le mani nel caos di Roma, una confusione burocratica ed amministrativa che da sempre non aiuta i sindaci della Capitale.

Marino ci ha provato in tutti i modi, denunciando a destra e a sinistra, facendo cose che nessuno mai aveva fatto a Roma. Ma alla fine non ci è riuscito anche perché Roma è da molti anni in condizioni tali che chiunque, seppur dotato di volontà e fermezza, farebbe fatica a cambiare. Ma un candidato Sindaco dovrebbe conoscere la situazione della città che intende governare, e candidandosi, e in un secondo momento accettando l’incarico, si assume le responsabilità del caso. 

Il secondo motivo per il quale si è arrivati a questa situazione è stata la totale mancanza di razionalità nel governare la propria immagine. 
Dopo il primo giorno di insediamento in Campidoglio, è stato criticato sia da destra che da sinistra, e non è mai stato in grado di cambiare la propria immagine pubblica, la comunicazione delle cose che faceva e di quelle che non faceva e la risposta alle accuse che l’hanno visto protagonista. 

Ha puntato tutto sull’onestà della persona, una cosa apprezzabile ma non sufficiente se vuoi fare il Sindaco di Roma. 
Ha esagerato nei viaggi, quello ai Caraibi e quello a Filadelfia, ma non perché il sindaco di Roma non deve farli, ma perché in una situazione tesa, come quella che c’è ora, le vacanze possono anche aspettare. 
L’ex sindaco è stato un suicida politico che è riuscito perfettamente nel suo intento, a pochissimo tempo dal Giubileo straordinario.

Ma Marino non ha perso da solo. Anche Matteo Renzi esce con le ossa rotte, non essendosi mai occupato in prima persona di Roma e che così facendo rischia di perdere. 
E già a maggio del prossimo anno probabilmente ci saranno le elezioni per il Campidoglio, e si prevede una sfida a due: da una parte Alfio Marchini o Giorgia Meloni, esponenti del centro-destra, dall’altra molto probabilmente Alessandro Di Battista per il Movimento 5 Stelle. 
Ieri sera hanno esultato tutti per le dimissioni di Marino, sia davanti al Campidoglio come Di Battista e la Meloni, che da casa, come Matteo Salvini. 
Ma c’è poco da esultare, perché ora che Marino se n’è andato, si dovrà seriamente ragionare su cosa sta realmente succedendo a Roma.

Giacomo Bianchi 


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