Non c’è pace per
coloro che tentano la traversata del Mediterraneo dalle coste
libiche. L’UNHCR, Alto Commissariato ONU per il rifugiati, ha riportato che dall’inizio dell’anno sono
470 le persone che hanno perso la vita o che sono scomparse nel mar
Mediterraneo, rispetto alle 15 dello stesso periodo dell’anno
scorso. Secondo l’Alto commissariato per i Rifugiati questi numeri
sarebbero legati al fatto che dal 1 novembre 2014 l’operazione Mare
nostrum è stata sostituita dall’operazione Triton, che possiede
capacità di ricerca e soccorso molto più limitate. L’UNCHR , il
Consiglio d’Europa e numerose ONG hanno fortemente criticato
Triton, definendola inadeguata, e fatto appello all’Unione Europea
affinché si doti di un sistema di monitoraggio e salvataggio più
efficace. Ma qual è la differenza tra le due operazioni?
Mare nostrum è
stata un’operazione, militare e umanitaria, iniziata ufficialmente
il 18 ottobre 2013. Nata dopo il tragico naufragio, al largo delle
coste di Lampedusa, che causò ben 366 morti, fu creata per
rispondere all’aumento dei flussi migratori via mare.
All’operazione partecipavano personale e mezzi navali e aerei della
Marina Militare, dell’Aeronautica Militare, dei Carabinieri, della
Guardia di Finanza e della Capitaneria di Porto. Si trattava di
un’operazione volontaria di salvataggio che superava notevolmente
gli obblighi internazionali ed europei che gravano sull’Italia. La
convenzione di Montego Bay (1982), che costituisce la fonte primaria
del diritto del mare, impone sì di prestare assistenza a chiunque si
trovi in pericolo in mare, ma certo non di inviare appositamente
delle navi, per di più in acque internazionali.
L’Italia ha invece
deciso di intervenire ovunque il centro satellitare di Roma
segnalasse un problema, coprendo ben 175 miglia (compresa la zona
maltese, arrivando fino alle acque territoriali libiche). Con Mare
Nostrum il centro satellitare di Roma non si limitava più a chiamare
le navi che durante il loro tragitto incontrassero persone da
salvare, ma segnalava direttamente alle navi militari la presenza di
un problema. L’obiettivo primario era salvare le persone e portarle
in un cosiddetto “place of safety” (il luogo sicuro più vicino).
Questa operazione unilaterale dell’Italia, che è costata circa 9
milioni di euro al mese, ha soccorso più di 150 mila migranti.
Numerose sono state però le critiche di altri paesi europei; in
particolare il Regno Unito l’ha definita un “pull factor”. Per
chi sostiene questa posizione, Mare Nostrum avrebbe avuto un effetto
boomerang incrementando l’immigrazione irregolare. La certezza di
essere salvati avrebbe spinto più migranti a prendere il largo e, se
in condizioni precarie, a buttarsi in mare piuttosto che rimanere
sulla nave, in modo da essere portati sulla terra ferma.
repubblica.it |
Quando si è deciso di
sollecitare l’intervento dell’Unione Europea, ci si è imbattuti
in un grosso equivoco. Se è vero che l’UE ha una politica in
materia di immigrazione e di asilo, non si può dire lo stesso per
quanto riguarda il salvataggio in mare. È chiaro che l’UE non
può violare i diritti umani nell’esercizio delle sue azioni, ma
tra le sue competenze non vi sono quelle di assicurare ovunque la
protezione della vita umana. Più semplicemente, c’è un obbligo,
che deriva dall’accordo di Schengen e dalla base giuridica dei
trattati, di sorvegliare la frontiera esterna comune. Questo compito
è stato attribuito all’agenzia FRONTEX, che deve coordinare, su
richiesta di uno stato membro, le politiche di controllo delle
frontiere esterne. FRONTEX però non possiede degli strumenti propri,
ma utilizza i mezzi messi volontariamente a disposizione dagli stati
membri a favore del cosiddetto paese ospite che li sollecita. Le
possibilità dell’agenzia sono quindi limitate, si tratta più che
altro di un network per facilitare lo scambio di informazioni fra gli
stati membri in materia di sicurezza esterna e per favorire la
formazione del personale addetto al controllo delle frontiere
esterne. Quando ne è stato richiesto l’intervento dal ministro
Alfano, FRONTEX ha fatto subito capire che qualunque operazione
sarebbe stata messa in atto, non sarebbe mai potuta diventare, per
deficit di competenze e mezzi, equivalente a Mare nostrum.
L’operazione Triton
è partita il 1 novembre 2014 e ha sostituito Mare Nostrum. Si tratta
di un’operazione di natura completamente diversa. In primis, a
“Triton” partecipano 19 paesi, ed è stata finanziata
dall’Unione europea con 2,9 milioni di euro al mese: circa due
terzi in meno di quanti erano destinati a Mare Nostrum. Inoltre,
Triton prevede il controllo delle acque internazionali solo fino a 30
miglia dalle coste italiane, il che vuol dire solamente 6 miglia
oltre la zona contigua: il suo scopo principale è quindi il
controllo delle frontiere e non il soccorso. Le navi hanno un raggio
di azione e un obiettivo molto limitato rispetto a Mare Nostrum. E’
chiaro che se una nave interviene nell’ambito di Triton deve
rispettare il principio di non-refoulment (divieto di respingimento
di una vittima di persecuzione) e l’obbligo di salvataggio, ma non
si tratta dell’obiettivo prioritario. Ora si interviene solo se c’è
un problema collegato al controllo delle frontiere esterne.
Il malinteso, in tutte
queste critiche a Triton, sta nel pensare che una missione dell’UE
possa essere equivalente a Mare Nostrum. Triton avrebbe dovuto essere
un’operazione di sostegno a Mare Nostrum se si fossero voluti
realizzare determinati obiettivi. Quello che è necessario è uno
sforzo in più da parte dei 28 stati membri, in modo da europeizzare
un’operazione come Mare Nostrum. L’UNHCR ha recentemente proposto
all’Unione l'istituzione di un’importante operazione di ricerca e
soccorso europea nel Mar Mediterraneo, simile a Mare Nostrum, e la
realizzazione di un sistema europeo per compensare le perdite
economiche subite dalle compagnie di navigazione coinvolte nel
salvataggio in mare di persone in pericolo. Non resta che aspettare e
vedere se questo suggerimento sarà colto.
Nessun commento:
Posta un commento