Televisione, omosessualità e stereotipi in Italia

malgioglio

L’Italia è un paese molto particolare: agli occhi del mondo siamo “Pizza, Pasta, Mandolino, Mafia e Berlusconi”, mentre in casa nostra ci definiamo in base a dei preconcetti regionali o addirittura provinciali. Per un veronese il vicentino sarà sempre un magnagatti, per uno di Milano un pugliese sarà un terùn e per un siculo l’emiliano sarà un polenton.
Ma qual è il minimo comune denominatore del nostro paese? La televisione. Nata negli anni Cinquanta per diffondere cultura, informazione ed educare alla lingua italiana, oggi, è arrivata ad essere un mezzo che serve per pubblicizzare prodotti e lobotomizzare cervelli. Ciò che si vede in televisione si compra: dal giocattolo del bambino alle pillole che fanno dimagrire, da Mastrota che vende materassi (ultima occasione da 20 lunghi anni) allo Chef Tony che vende i coltelli (solo per oggi a 49,99 – offerta che dura da una decade). La TV non rientra più tra i media di informazione perché è talmente permeata dalle influenze politiche che fare il telegiornalista ormai significa essere il lecchino di qualcuno.
La questione che mi interessa trattare, però, è quale sia l’immagine dell’omosessualità in televisione. Per la massa noi omosessuali siamo lasfranta, la shampista, la checca, il femminiello, che dir si voglia. Non possiamo negarlo, io per primo, a volte, mi rivedo in queste definizioni. Moltissimi gay – e non solo – sono particolarmente curati nell’aspetto, amano divertirsi e parlano almeno due toni sopra l’uomo medio. Allo stesso tempo, però, ci sono anche persone dotate di un’infinita cultura, uomini impegnati e in carriera, che occupano posizioni di potere o di notorietà.
Ma quali sono gli esempi che appaiono in televisione? Faccio alcuni nomi: Cristiano Malgioglio, Enzo Miccio, Platinette, Alfonso Signorini. Ovviamente non li conosco personalmente. Ho vagamente presente Malgioglio con un completo rosa e ciuffo biondo in qualche salotto mediatico; ho presente Platinette, con tutta la sua bellezza di drag queen, che lancia opinioni; ricordo Miccio con la sua amica Gozzi in Ma come ti vesti? oppure in qualità di organizzatore di matrimoni (dopo aver scaricato la Carla) e Signorini con le sue sentenze sul pettegolezzo italiano. Questo è quello che mi è rimasto di questi attanti del piccolo schermo. Ma l’italiano medio che li vede: cosa pensa di loro? Il mondo gay, composto di almeno 6 milioni di individui nostri connazionali è rappresentato in TV da persone che hanno alcuni tratti caratteristici in comune: sono effemminati, modaioli, pettegoli e opinionisti. Con la loro stravaganza divertono chi li guarda e fanno sentire il maschio più virile.
Qual è la ripercussione che ha quest’immagine stereotipata sulla nostra società? Si può arrivare a una conclusione logica, correggetemi se sbaglio. Poniamo che io sia un bambino di 8 anni, potrei chiedere a mia madre: “Chi è quell’uomo?” riferendomi a uno qualsiasi di questi “vip” – definiamoli – sopra le righe. La mamma, un po’ in difficoltà, nella più rosea delle ipotesi, potrebbe spiegarmi che quell’uomo che vedo in TV è un signore omosessuale, un uomo che si innamora di un altro uomo. Ed ecco che il primo esempio della mia infanzia di uomo gay è proprio figlio dello stereotipo più eccentrico che la televisione poteva scovare. Altri esempi non ce ne sono. E se ci fossero dubito che la mamma in questione andrebbe ad approfondire con il figlio anche dettagli sul loro orientamento sessuale.
Quale può essere la soluzione? Di certo non eliminare la TV (rifugio di tanti bimbi, tanti genitori e tanti nonni). Tanto meno eliminare il povero e apprezzabilissimo Malgioglio. Però, proprio questo mezzo di comunicazione, che sfrutta tanto lo stereotipo gay, potrebbe sensibilizzare le persone sull’argomento, ma, ad oggi, non lo fa.
Parte della “colpa”, tuttavia, è anche nostra. Noi omosessuali non amiamo la visibilità. In pochi siamo dichiarati in famiglia, a lavoro o con gli amici. Rarissimi i casi di gay che raggiunta la notorietà condividano col grande pubblico la loro affettività o il loro orientamento.
Il film Milk di Gus Van Sant ci fornisce un importante suggerimento: in una delle sue campagne, il futuro consigliere statunitense Harvey Milk, propone alla comunità lgbt di uscire allo scoperto, di mostrare la faccia, di mettere tutto il quartiere e la città di fronte al fatto che esistono delle persone che vengono considerate diverse, ma che in realtà non lo sono.
Non è facile. Uscire dall’armadio in cui ci si nasconde non è un passo semplice e va sempre ben ponderato: bisogna scegliere gli amici su cui contare e preparargli un terreno adatto, prima di sganciargli la “novità”. Se tutti noi affermassimo di essere gay, allora sarebbero moltissime le persone che cambierebbero idea e smetterebbero di affidare il proprio giudizio sull’omosessualità agli stereotipi della TV. Chi ha fatto il suo coming out sa, che dopo il grande sforzo iniziale, si ha solo tanto da guadagnare: un’amica, un fratello, un collega.
Come possiamo generalizzare l’aspetto e il comportamento di 6 milioni di persone? È scorretto considerare il maschio gay una femmina mancata, così come sarebbe scorretto dire che gli uomini italiani sono tutti sciocchi e macisti.
Quel ragazzo carino che vedi sempre in tram, quella seducente donna che lavora nel tuo ufficio, quello zio un po’ scemo ma simpatico potrebbero essere tutti persone omosessuali.
Viviamo in un paese in cui il pensiero individuale spaventa, il pensiero stesso è pericoloso; un paese in cui il giudizio degli altri è caustico e porta alla solitudine; un paese in cui la televisione occupa troppo spazio e non riusciamo più a stenderci con un buon libro (cartaceo, non kindle). Fortuna nostra – gay intendo – è che a livello mondiale le cose stanno cambiando, i diritti aumentano e ad un certo punto, anche da noi, l’opinione pubblica smetterà di giudicare e proverà a conoscere.
A voi la riflessione.


EscoPazzoDalMazzo


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