Ammettiamolo, a ognuno capitano con
maggiore o minore frequenza dei momenti in cui non si aspetta altro
che un’iniezione di serotonina concentrata, o una torta al triplo
cioccolato, o una camminata in montagna, o un bacio, o chissà che
altro. Che so, magari siete stati appena scaricati dalla/dal vostra/o
compagna/o, magari semplicemente piove e fa freddo, o magari avete
appena preso un immeritato 18 (in questo caso spesso giova applicare
il buon vecchio rasoio di Occam: è più facile che esista un
complotto universale volto unicamente a svalutare la vostra persona,
oppure forse effettivamente quel 18 non era poi così
immeritato?). Ecco a voi qualche brano che non potrà certo risolvere la
situazione, ma potrà dare un aiutino alle nostre povere anime
smarrite.
La solita premessa: qualcuno, quando
si sente giù, non desidera altro che musica che lo porti ancora
più giù. Io preferisco evitare questa strategia, e ascoltare
qualcosa che possa aprire uno spiraglio al sole e alla gioia. Ognuno
faccia come meglio crede, ma avverto che qui elencherò soltanto
brani allegri e solari. Spesso ho notato
che brani che su alcuni hanno un certo effetto, su altri hanno non
dico l’effetto opposto, ma almeno molto diverso – e non c’è da
stupirsi, è perfettamente logico. Quindi non me ne vogliate se dopo
aver ascoltato qualche brano di questi vi verrà voglia di piangere
amare lacrime, non l’ho fatto apposta!
J.S. Bach – Giga fugata BWV 577
È inutile avviare qui un elogio
sperticato (ma che sarebbe del tutto sincero) di Johann Sebastian
Bach, uno dei più grandi musicisti di tutti i tempi. Presento in
breve questo brano, che si caratterizza per alcune singolari
caratteristiche: si tratta di una giga (una forma di danza
saltellante tipica del ‘700 e che è sopravvissuta, ad esempio,
nelle tradizioni musicali irlandesi e forse, almeno in qualche stilema, anche in certe canzoni italiane come questa)
ma anche di una fuga (una forma musicale tra le più rigide e
piene di regole rigorosissime). Riuscire a fondere i due elementi non
è in sé difficilissimo: farlo con un risultato gradevole
all’ascolto però è un’opera di altissima ingegneria musicale.
È un branetto breve, allegro,
divertente e non troppo impegnato, qualcosa all’insegna della
leggerezza che, spesso dimenticata, è a mio parere il più grande
antidoto alla tristezza (assieme alla non trascurabile cioccolata. E
al mare. E al sole. E alla cassata. E al camembert. E vabbè,
basta).
Sulla musica
dell’epoca di Bach l’esecuzione può fare molta differenza: io ho
scelto questo video di un ottimo musicista olandese, piuttosto
divertente perché permette di capire bene il motivo per cui nessun
organista si offenderà mai se lo accusate di “suonare coi piedi”.
L. van Beethoven – Symphonie n. 7 (IV, Allegro con brio)
Sinfonia definita da Wagner “apoteosi
della danza”, ma non molto amata dal suo autore, che le preferiva
l’enigmatica Ottava, è oggi una delle più celebri ed eseguite.
Questo movimento, l’ultimo della sinfonia, arriva al termine di un
vero e proprio viaggio tutto all’insegna dell’eroicità: a un
primo movimento caratterizzato dal tipico ritmo di cavalcata (o
anche, più prosaicamente, dal ritmo che fanno le casse dello stereo
quando ci avvicinate un cellulare) segue il celeberrimo ma
indubbiamente tragico secondo (qui usato in una notevole scena), mentre il terzo spezza la tensione con il suo ritmo un po’ da
giga (vedi sopra) inframmezzato da interventi che ricordano delle
scene alpestri, con corni, jodel e compagnia. Quando arriva il quarto
è l’apocalisse: bisogna pensare a come poteva reagire l’uditorio
dei primi dell’800, abituato a morigerati quartetti d’archi o, al
limite, a opere comiche discutibilmente pruriginose o a sobri
oratori (sì, sto esagerando). I sentimenti eroici in musica erano
qualcosa di molto poco praticato: in questa situazione di bonaccia
arriva Beethoven come una tempesta, scompigliando qualsiasi prassi
musicale. Le sue sinfonie sono difficili da suonare (e anche,
a dire il vero, da ascoltare) al giorno d’oggi, figuriamoci
all’epoca. Si narra di un primo violino che, dopo aver fatto notare
al compositore che un passaggio era ineseguibile –a suo dire–, si
sentì rispondere “cosa vuole che me ne importi del suo misero
violino”. Tanto per capire con chi abbiamo a che fare.
Detto questo, il quarto movimento
della Settima ha una carica di energia mostruosa, che si dipana tra
arruffate scale degli archi, accordi strappati a piena orchestra,
fanfare trionfanti dei corni (che non a caso in questa registrazione
sono 4, il doppio di quelli previsti da Beethoven: un espediente per
rendere ancora più dirompente e tonante il brano, e anche per
mettere al riparo il singolo esecutore da eventuali défaillances,
piuttosto probabili vista la difficoltà del brano). Un inno alla
vitalità e alla dinamicità, scritto da un uomo – giova ricordarlo
– che sarebbe diventato completamente sordo nel giro di poco tempo.
Riuscite a concepire una maggior disgrazia per un compositore?
Godetevi l’interpretazione (anche visiva) dello smagliante Carlos
Kleiber, un gigante forse insuperato.
Mi devo innanzitutto scusare per la non
eccelsa qualità audio di questa registrazione, ma si tratta di
un’incisione live del 1968 di uno dei più grandi violinisti
di tutti i tempi, accompagnato da uno dei più grandi pianisti di
tutti i tempi, e non ci poteva essere altra interpretazione che
questa per descrivere questo brano.
La sonata è
particolarmente amata da noi violinisti, perché non affoga la
bellezza in inutili tecnicismi, ma libera un canto semplice e
leggero, privo di particolari difficoltà che non siano di natura
strettamente musicale. È una sonata tra le poche francesi di
questo periodo (belga, per essere precisi) ed è un fulgido esempio
di “sonata ciclica”: gli stessi materiali ritornano, variati ma
sempre riconoscibili, in tutti i quattro movimenti, fondendoli in un
solo corpo: uniti seppur diversi (la forma ciclica pare abbia ispirato
Proust per la stesura della sua monumentale Recherche).
Ho scelto questo
quarto movimento, perché, analogamente a Beethoven, corona un
percorso che passa attraverso l’etereo sognare del primo, il
tempestoso dinamismo del secondo e la tragicità del terzo. Il quarto
porta un raggio di sole che spazza via tutte le inquietudini
precedenti per offrire un quadro di assoluta e completa redenzione,
come se sbucassimo dalla nebbia per trovarci in una valle fiorita. Se
avrete la pazienza di farlo, consiglio di ascoltare la sonata completa:
così si potrà apprezzare meglio il percorso progettato da Franck.
C. Debussy – Les collines d’Anacapri (Préludes, Premier
Livre, n.5)
Un breve preludio pianistico di
Debussy, ispirato, come da titolo, alle colline di Anacapri. Si
possono sentire echi di tarantelle (anche se di sapore squisitamente
debussiano) e persino un sensuale tango nella sezione intermedia, che
sembra anche ammiccare a una certa produzione pre-jazzistica
dell’epoca. Insomma, un piccolo gioiello.
Propongo l’esecuzione di uno dei più
geniali e incredibilmente dotati pianisti di tutti i tempi,
l’italiano Arturo Benedetti Michelangeli. Come si può apprezzare
nel video, il titolo viene mostrato soltanto alla fine, come da
prescrizione dell’autore: è singolarissimo infatti il trattamento
che Debussy riserva a questi titoli. Non sono programmatici, non
devono influenzare l’ascoltatore prima del brano, ma
soltanto confortarlo nel caso il brano abbia evocato esattamente le
sensazioni poi rivelate nel titolo, oppure farlo sorridere
bonariamente nel caso le sue impressioni non corrispondano a quelle
dell’autore. Ma, parliamoci chiaro, chi ascoltando questo brano
penserebbe, che so, a una tempesta? O a una tragedia, o anche solo a
una tranquilla sera in campagna? Facciamoci un esame di coscienza e
ascoltiamo a mente pura: sembra impossibile non percepire il
luccichio del mare, il cielo terso e il sole. Ecco, forse è proprio
la solarità la caratteristica principale di questo brano (è data
dall’uso della scala pentafonica, se volete saperlo), perfetto da
ascoltare nei momenti piovosi quando non volete nulla di troppo
tonante.
M. Ravel – Concerto in Sol perpianoforte (III, Presto)
Un capolavoro tra il serio e il
giocoso: Ravel era forse l’unico che poteva scrivere un concerto
per pianoforte, un brano solitamente serissimo, così pieno di
effetti comici e divertenti. Il primo movimento si apre con un colpo
di frusta, tanto per fare un esempio. Il secondo invece è uno dei
brani più struggenti della letteratura musicale mondiale, almeno a
mio parere, di un intimismo e di un’intensità quasi insostenibili
(e per questo non è assolutamente adatto a questa playlist! Ma se
volete – non dite che non vi ho avvertito! – lo trovate qui).
Il terzo movimento scioglie qualsiasi ombra in una luminosissima ma
breve cavalcata impetuosa in cui si mescolano con nonchalance
fanfarette militari ironiche, assoli di pianoforte che ricordano
decisamente il ragtime, atmosfere jazz, soli dei fiati al limite
della presa in giro (uno su tutti: i glissandi clowneschi dei
tromboni), grancasse impetuose, scrittura pianistica che richiede al
povero solista di dare zampate sulla tastiera più che di suonare (si
notino le ultime misure nel video!), il tutto condensato in neanche
quattro minuti.
Propongo l’esecuzione di Leonard
Bernstein, incredibile direttore d’orchestra del secolo scorso,
forse l’unico in grado di suonare da solista e contemporaneamente
dirigere questo difficilissimo concerto. È evidente che si sta
divertendo da matti, fatelo anche voi!
Questo brano in
realtà non è di Shostakovich, ma è parte di un musical che venne
composto da tal Vincent Youmans, dal titolo "No, no, Nanette".
Conosciuto, vero? Io ne ignoravo completamente l’esistenza, se non
fosse per questo curioso scherzo del destino che fece comparire
questo brano dalla radio di Nikolai Malko, amico di Dmitri
Shostakovich, il 1 ottobre 1927 mentre il compositore era in casa
sua. Ascoltarono “Tea for two” (qui la versione originale) e Malko scommise cento rubli con Shostakovich che quest’ultimo
non sarebbe stato in grado di riorchestrarla a memoria in meno di
un’ora (gioverà ricordarlo, il buon Dmitri non aveva mai sentito
questo brano prima). Non serve neanche dirlo, dopo tre quarti d’ora
“Shosta” uscì dalla stanza in cui si era chiuso con la nuova
orchestrazione, che prese il nome di “Tahiti Trot”, e con cento
rubli in più in tasca.
Si tratta di un branetto godibilissimo
e tipicamente da musical: pieno di educata ironia e con un tema
riconoscibilissimo (qualcuno lo noterà: è quasi lo stesso di certi
squallidi spot estivi, qui un esempio dei peggiori),
è contraddistinto dall’uso di timbri scintillanti come il
glockenspiel, la celesta, le arpe, assieme al consolidato uso degli
ottoni come richiamo delle jazz band. In tutta sincerità, in tutto
questo non so assolutamente cosa diavolo c’entri Tahiti, ma
teniamolo buono come un richiamo al sole, al mare e alla bella vita,
che il povero Shosta deve aver desiderato con non poco trasporto nel
corso della sua vita (chiuso nell’URSS, visse sempre nel terrore di
essere deportato, ma magari la sua triste storia la racconteremo
un’altra volta).
L. Bernstein – Mambo da “West Side Story”
Non amo, in generale, le manifestazioni
di entusiasmo musicale di questo tipo. Però sono consapevole di
avere il dovere morale di fare, nelle situazioni che lo richiedono,
delle eccezioni. Questa è una di quelle situazioni. È troppo bello
vedere dei musicisti divertirsi così: la maggior parte di loro sono
bambini (guardate il percussionista che suona il glockenspiel, oppure
il primo violoncello! Avranno 8 anni!): questo è il più splendente
risultato del sistema di Abreu di cui tanto si parla, un
programma per togliere i bambini dalla strada, dal degrado e da un
futuro segnato per dar loro in mano uno strumento e farli divertire
(il tutto, devo dire, con una qualità eccelsa!).
Il brano fa parte del noto musical “West Side Story”, composto dall’eclettico direttore-pianista di due video fa. Viene eseguito nel momento in cui le due fazioni in lotta, i Jets (americani) e gli Sharks (di origine portoricana) si sfidano a colpi di tacco in un ballo sfrenato che, alla fine, farà incontrare e innamorare Maria e Tony, appartenenti alle due fazioni opposte, Giulietta e Romeo in chiave moderna. Non c’è molto altro da aggiungere, buon ascolto!
Il brano fa parte del noto musical “West Side Story”, composto dall’eclettico direttore-pianista di due video fa. Viene eseguito nel momento in cui le due fazioni in lotta, i Jets (americani) e gli Sharks (di origine portoricana) si sfidano a colpi di tacco in un ballo sfrenato che, alla fine, farà incontrare e innamorare Maria e Tony, appartenenti alle due fazioni opposte, Giulietta e Romeo in chiave moderna. Non c’è molto altro da aggiungere, buon ascolto!
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