Ieri, o forse un giorno che
assomigliava terribilmente a ieri, ma che poteva essere qualsiasi
giorno degli ultimi 10-12 mesi, salendo sul solito regionale veloce
che negli ultimi 10-12 mesi, oltre che portami in Veneto, mi fa da
ufficio, da pub, da disco e da divano,
ho notato che c'era qualcosa che non andava. Non l'aria condizionata
rotta, non il macellaio (lo spero almeno, perché per venti minuti ha
parlato al telefono con sua madre di lingue, cotechini e interiora
spero di animali) con
la sindrome di Tourette che mi faceva compagnia nei posti vicino.
Niente di tutto questo. Quando mi si è avvicinato caracollando il
solito capotreno pugliese di mezz'età che non ha mai voglia di
controllare i titoli di viaggio, stavolta, invece che strizzare gli
occhi e chiedermi se il biglietto fosse già stato visto, l'ho
sentito dire: “Caro signore viaggiatore, ho ascoltato l'ultimo dei Tortoise e devo dire che nonostante le vetuste accuse di freddezza e
matematicalità che vengono rivolte all'avantjazz-postambient,
Beacons of Ancestorship
colpisce dove vuole colpire, è un disco che ti fa dire 'Pajo
chi?!'”. Io ho trasecolato e ho pensato di essermi addormentato
con la mascella ad angolo ottuso, come spesso accade in queste
situazioni, e che il capotreno pugliese di mezz'età avesse
bofonchiato come al solito qualcosa di comprensibile solamente a un'isoglossa
ben distante dalla mia.
Poi, dato che ormai, m'ero svegliato, tanto è valso per ascoltarmi l'ultimo dei uno dei miei gruppi preferiti, The Go! Team, che dal lontano 2004 fa sballare gli amanti delle cose caotiche, dolci ed adrenaliniche.
Batterie ciccionissime e distorte, wall of sound, fiati e flauti per melodie facili che sembrano venire da quando si sponsorizzava ancora il burro dicendo che lubrificava le arterie: l'effetto, come direbbero allo Zecchino d'oro, è vitamina.
Un "fffssssssss" si ode nell'intro della title track, The Scene Between, che si presenta come il pezzo più forte, coinvolgente ed emozionante del pacchetto: una lattina di soda che si apre e frizza. Se vuoi qualcosa di retrò, qualcosa di Bollywood, qualcosa di twee (ma filtrato da quel vecchio stereo che hai trovato in soffitta) , The Scene Between potrebbe funzionare alla grande. Le melodie pop erano l'obiettivo compositivo di Ian Parton e il risultato è sicuramente adeguato, anche se forse un po' troppo infantile e filastrocchico per la sensibilità contemporanea. Certo, al Go! Team non è mai interessato troppo di risultare moderno, qualsiasi cosa questo potrebbe voler significare. Ma forse questa volta il versante Sixties e oldie del progetto ha preso nettamente il sopravvento sulle altre caratteristiche che avevano reso, dal mio punto di vista, la miscela vincente. Parton ha dichiarato che si era stancato di ripetere il solito giochino, effettivamente durato 7-8 anni, che con pochissime variazioni lo aveva portato al successo planetario: questa volta il disco non è quello di una band, ma di un solista che si è appoggiato a cantanti raccattate in giro per il mondo e per il web. Non a caso chi conoscesse già i nostri eroi, rimarrebbe esterrefatto dall'assenza della voce di Ninja, la vocalist-rapper nera che è uno dei trademark di casa Go!. Uno dei brani del vecchio corso che preferisco è Voice Yr. Choice (2011), che rappresenta bene il versante energico e caciarone (ma sempre orchestrato con scienza dall'alto) della band. Il lavoro di sampling e collage di Parton questa volta voleva superare il mero mettere un rap femminile sopra a dei fiati, ecc. È tempo di darsi al pop.
Un "fffssssssss" si ode nell'intro della title track, The Scene Between, che si presenta come il pezzo più forte, coinvolgente ed emozionante del pacchetto: una lattina di soda che si apre e frizza. Se vuoi qualcosa di retrò, qualcosa di Bollywood, qualcosa di twee (ma filtrato da quel vecchio stereo che hai trovato in soffitta) , The Scene Between potrebbe funzionare alla grande. Le melodie pop erano l'obiettivo compositivo di Ian Parton e il risultato è sicuramente adeguato, anche se forse un po' troppo infantile e filastrocchico per la sensibilità contemporanea. Certo, al Go! Team non è mai interessato troppo di risultare moderno, qualsiasi cosa questo potrebbe voler significare. Ma forse questa volta il versante Sixties e oldie del progetto ha preso nettamente il sopravvento sulle altre caratteristiche che avevano reso, dal mio punto di vista, la miscela vincente. Parton ha dichiarato che si era stancato di ripetere il solito giochino, effettivamente durato 7-8 anni, che con pochissime variazioni lo aveva portato al successo planetario: questa volta il disco non è quello di una band, ma di un solista che si è appoggiato a cantanti raccattate in giro per il mondo e per il web. Non a caso chi conoscesse già i nostri eroi, rimarrebbe esterrefatto dall'assenza della voce di Ninja, la vocalist-rapper nera che è uno dei trademark di casa Go!. Uno dei brani del vecchio corso che preferisco è Voice Yr. Choice (2011), che rappresenta bene il versante energico e caciarone (ma sempre orchestrato con scienza dall'alto) della band. Il lavoro di sampling e collage di Parton questa volta voleva superare il mero mettere un rap femminile sopra a dei fiati, ecc. È tempo di darsi al pop.
Ninja, un tizio e Ian Parton che con una definizione ostensiva mostra la forma dell'India |
The art of getting by inizia come una versione più epica di Aggiungi un posto a tavola (da apprezzare le note bassissime raggiunte durante la strofa) e continua ipnotica attraverso cambi armonici che sanno di già-sentito, ma contestualizzati in modo disorientante - specialmente se si considera che il testo parla di un suicidio di massa a sfondo religioso. (a posteriori sono ancora più convinto della felicità dell'analogia con Aggiungi un posto a tavola, aka il mio nuovo progetto hardcore parallelo The Giovannini&Garinei-town Massacre).
The Scene Between è un disco che consente di entrare, a cavallo di un razzo colorato, in un mondo dipinto a secchiate e forse un po' artificiale, dove i livelli del banco di missaggio toccano il rosso e l'adrenalina giovanile si mescola a sentimentalismi vissuti con leggerezza e un tocco di nostalgia. Un paio di ascolti, si salvino le tre-quattro gemme (The Scene Between, Blowtorch, The Art of Getting By, What'd you say?) e si passi a conoscere il Team del passato: Thunder, Lightning, Strike (2004), Proof of youth (2007), Rolling Blackouts (2011) (qui il full album), anche in ordine sparso. Nel dubbio, uno short film (dieci minuti) consigliatissimo per entrare nel mondo dei calzetti arcobaleno.
@disorderlinesss
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