“Gli unici a preoccuparsi per il miglioramento delle relazioni fra Washington e L’Avana sono stati i venezuelani”. Così John Kerry, attuale Segretario di Stato statunitense, il 24 febbraio scorso ha commentato la proclamazione della fine dell’embargo e il conseguente riavvicinamento tra Stati Uniti e Cuba che mancava dagli anni ’60.
Ma perché Caracas dovrebbe essere la più colpita?
Fidel Castro, leader maximo cubano, è sempre stato il figlio prediletto del mondo comunista, considerato un puntino fondamentale nell’oceano occidentale, ha sempre rappresentato quell’avamposto “mandato” da Mosca a spiare le trame e gli intrecci della politica americana. Ma una volta caduto il regime sovietico, Castro ha dovuto guardarsi intorno, capire di chi fidarsi, da chi ricevere le stesse cose procurate negli anni precedenti da Mosca e intrecciare con questo nuovo partner una sorta di silent agreement per potere evitare e quantomeno disturbare l’influenza e il predominio americano.
Negli anni ’90 c’era un personaggio che faceva al caso di Fidel Castro: Hugo Chavez, un fedele esponente della rivoluzione bolivariana che stava bruciando le tappe per arrivare al potere, forte di un ampio consenso e di ben chiari obiettivi. Chavez divenne per la prima volta Presidente del Venezuela nel 1999, un decennio dopo la caduta del regime sovietico, e restandoci per oltre dieci anni, fino al 2013, anno della sua morte.
Le strette relazioni tra Chavez e Castro non sono iniziate alle soglie del XXI secolo, bensì avevano gettato le loro basi già nei primi anni ’90, non potendo però mai realizzarsi pienamente.
I due leader avevano come obiettivo principale quello di costruire un sistema di scambio vantaggioso per entrambi: il petrolio, venduto dal Venezuela a Cuba, e l’invio di un numero consistente di dottori, infermieri e operatori a Caracas per sostenere i programmi sanitari del governo venezuelano. Programmi importantissimi, per non dire fondamentali e necessari al mantenimento del consenso di Chavez.
Si è trattato di una sorta di stretta e forte partnership che permetteva a Cuba di uscire da una pericolosa impasse e da un difficile isolamento, e dall’altro permetteva a Caracas di avvalersi degli strumenti per sostenere i programmi governativi. Ma entrambe, all’epoca, avevano un unico, vero obiettivo: non guardare agli Stati Uniti azzerando quasi completamenti contatti e partecipazioni commerciali.
Due anni fa, però, a causa di una terribile malattia, Chavez è morto, e il suo posto è stato preso dall’erede da lui stesso designato: Nicolas Maduro. Eletto con poco più del 50% dei consensi, il delfino di Caracas ha provato a rilanciare e riaffermare i programmi sanitari di Chavez, mantenere i rapporti commerciali e amichevoli con Cuba, e perseguire la rivoluzione bolivariana iniziata dal suo genitore politico. Ma le cose non sono andate per il meglio. Anzi.
Maduro è stato infatti costretto a dimezzare le esportazioni, ad attuare una dura spending review sul programma sanitario che negli ultimi 20 anni è stato il paradigma della collaborazione tra i due Paesi e ha visto scendere il proprio consenso fino al 20 % senza essere in grado di reagire.
Il problema principale riguarda però il petrolio. Il Venezuela è il classico Rentier State, e cioè uno di quegli Stati che deve le proprie fortune, o a volte sfortune, al petrolio nero.
Negli ultimi tempi si è assistito ad una precipitazione dei prezzi del petrolio e questa crisi petrolifera ha portato il governo di Caracas a “chiudere i rubinetti” delle esportazioni andando così a minare i buoni rapporti commerciali che Chavez aveva avviato con molta fatica. Cuba ha deciso che era arrivato il momento di fare qualcosa, e la presenza di Obama alla Casa Bianca e le trattative in corso da qualche anno a questa parte hanno reso il gioco molto più semplice.
Si, molto semplice, ma non per il Venezuela.
Oggi il Venezuela sta maledicendo gli anni di clientelismo improduttivo, di corruzione, di deficit d’investimento, di spese pubbliche pazze e infrastrutture ormai troppo vecchie. I programmi “per il popolo” avviati da Chavez non possono essere più supportati economicamente e forse anche politicamente, e Maduro ne sta pagando le conseguenze. Le proteste a Caracas e in tutto il resto del Paese sono esponenzialmente aumentate: si protesta all’ingresso degli ambulatori dove i cittadini cercano invano assistenza per le pessime condizioni in cui si trovano, davanti alle farmacie dove le persone cercano le medicine. Le proteste sono nelle strade e nelle piazze. La delinquenza ha ormai preso il sopravvento sulla civiltà con furti, sequestri e rapine. La mancanza dei beni di prima necessità, come gli alimenti ma anche come le medicine e la sicurezza sta minando il cuore e la mente dei venezuelani.
Guardando le cifre della Polizia Giudiziaria, nei primi 60 giorni del 2014 ci sono stati 2841 omicidi in tutto il Paese, quasi una media di 48 omicidi al giorno. Da questi dati si apprende che è stata superata la cifra del 2013 di 2576 omicidi, record storico per il Venezuela. La situazione è degenerata soprattutto nell’ultimo biennio, ma la colpa non può essere attribuita esclusivamente a Maduro.
Maduro ha ereditato tutto questo panorama, e a differenza di Chavez non ha avuto e non ha tuttora l’autorità per affrontare una crisi multipla, sul piano economico, su quello politico e su quello sociale. Usa la forza della polizia e dei militari senza limiti, ancor più rispetto a quanta ne usava Chavez, ma non la utilizza per fronteggiare il problema sicurezza, bensì per eliminare e tacitare i suoi oppositori. Maduro ha inoltre adottato una politica discriminatoria nei confronti della popolazione venezuelana, mettendo le risorse a servizio del debito invece che a supporto delle necessità alimentari della gente.
Infine il 9 marzo scorso, il presidente americano Barack Obama ha dato il via libera ad una serie di sanzioni nei confronti del Venezuela, con l’accusa di violazione di diritti umani e corruzione nei confronti di alcuni suoi funzionari. La situazione venezuelana si sta facendo sempre più dura e difficile, ma forse non lo è maggiormente rispetto al passato. Le uniche differenze sono gli interpreti, prima Chavez e ora Maduro, e si sa come gli interpreti possano fare la differenza.
"Hugo Chávez, un fedele esponente della rivoluzione bolivariana"?che stava bruciando le tappe per arrivare al potere"?
RispondiElimina1)La Rivoluzione Bolivariana non è altro che un costrutto di Chávez, che infatuato dai miti di Bolivar, conió il termine per dare un senso alle sue ambizioni politiche e al suo programma politico che ebbe formalmente inizio nel 1999.Non c'era mai prima di allora una corrente, se non nella testa del proprio Chávez, che si rifacesse a quella fantomatica "revolución Bolivariana"
2)Chávez non ha bruciato nessuna tappa. Fece carriera nell'esercito e il massimo rango che ha avuto è stato Tenente Colonello nella brigata paracadutisti. Forse non sai che il 4 febbraio1992 Chávez fallí nel portare a termine un colpo di stato contro il presidente Carlos Andres Perez. E' stato imprigionato e sucessivamente (due anni dopo) gli è stata concessa la grazia presidenziale da parte dell'allora Presidente Caldera. Chávez, che stupido non era, seppe abbandonare la via "golpista" e decise di partecipare nelle elezioni del 1998. Le sue doti carismatiche insieme ad un clima di antipolitica resero le condizioni fertili per la sua vittoria.
3) Castro ha sempre tenuto d'occhio il Venezuela (Il gioiello della corona, come veniva definita) sin dal 1960 anno in cui si recò nel paese e chiese all'allora Presidente(dimenticata ma fondamentale figura di riferimento dei movimenti democratici non solo venezuelani, ma anche latinoamericani) Romulo Betancourt del petrolio in cambio di niente, Betancourt si rifiutò (non tollerava i regimi militari)e Castro frustrato e offeso nel 1967 tentò, insieme a guerriglieri venezuelani, una fallita invasione militare in Venezuela.
4) Chávez è stata la fortuna di Castro che è l'unico a vantarsi di quello scambio petrolio-assistenza. Sono politiche nate dalla delirante adorazione di Chávez nei confronti di Fidel e in base a dei precetti ideologici che aboliscono la concorrenza e introducono la "cooperazione e fratellanza tra i popoli" intesa come "baratto": ti do petrolio in cambio di qualcos'altro. L'asistenza Cubana non si limita a quella sanitaria, ma abbraccia anche l'educazione, la logistica, la gestione burocratica di diverse aree, assistenza di tipo militare, ecc. E' poco saputo che il grosso degli assistenti inviati da Cuba in Venezuela, finiscono per disertare e fuggire dal paese. Se qualcuno ha mai guadagnato qualcosa da quella alleanza è stato Castro che rivendava il petrolio venezuelano a prezzo di mercato.
4)Dimezzare le esportazioni? le esportazioni di che cosa? se il Venezuela produce petrolio che spesso regala o vende al di sotto del valore di mercato, e Rum. Semmai sono diminuite le importazioni di petrolio venezuelano da parte degli USA.
5) Venezuela è sempre, purtroppo, stato un rentieer state come a cavallo tra gli anni 80/90 anche dopo la morte di Chávez si ripetono gli stessi identici effetti che un modello "rentista" provoca. Il problema non è il petrolio, ma i modelli economici. Il Venezuela di Chávez ha visto trasformare il sistema economico in qualcosa di simile a quello che c'era nella vecchia cara URSS: pianificazione della produzione, controllo dei prezzi, controllo della valuta, nazionalizzazioni..,Ecuador che produce petrolio (ma non solo) nonostante l'abbassamento del prezzo del greggio, ha aumentato le quote di produzioni, il suo PIL è in positivo, l'inflazione contenuta e non conosce crisi di tipo strutturali come quelle che stanno trasformando il Venezuela in uno Zimbabwe.
6) LE SANZIONI NON SONO CONTRO IL VENEZUELA MA CONTRO DEI FUNZIONARI DELLO STATO VENEZUELANO. Le sanzioni si limitano al congelamento dei conti miliardari (Banca de Andorra per esempio) e l'annullamento dei visti americani e la confisca di proprietà detenuti in suolo americano.
Apprezzo il tuo articolo purtroppo sembra scritto coi piedi.
Dante M.
Scusa se ti rispondo solo ora.
RispondiEliminaIn ogni caso provo ad essere il più chiaro possibile, riprendendo punto per punto il tuo commento.
1) La rivoluzione bolivariana è un mero costrutto nella testa di Chavez, vero, ma definirla in questo modo è una pura e semplice minimizzazione. Chavez è il "figlio" di Bolivar, e da lui ha preso quello spirito nazionalista che ha da sempre portato con orgoglio. Chavez, nelle sue interviste e in alcuni suoi libri si è sempre definito "figlio della rivoluzione bolivariana". Poi non so, magari tu ne sai più di lui.
2) Non metto in dubbio che Chavez abbia avuto una lunga carriera nell'esercito, difatti non ho scritto nulla in proposito. Chavez ha costituito il Movimento Quinta Repubblica nel 1997, per andare al potere dopo le elezioni del dicembre 1998. Poco più di un anno dopo. Se questo non è "bruciare le tappe" in senso politico non so proprio cosa possa essere.
3) "Le strette relazioni tra Chavez e Castro non sono iniziate alle soglie del XXI secolo."
Rileggi con maggiore attenzione: Chavez e Castro, Castro e Chavez, e non Castro e il Venezuela.
4) Regalare petrolio non rientra nella voce "esportazione", e tra le altre cose non lo regala affatto.
Tu dici "semmai sono diminuite le importazioni di petrolio venezuelano da parte degli USA". Diminuendo le importazioni degli USA, diminuiscono le esportazioni. E' una bilancia che si alza e si abbassa, e i venezuelani non regalano petrolio pur di non dimezzare le proprie esportazioni.
5) Questo punto è un tuo semplice approfondimento, col quale concordo.
6) "Infine il 9 marzo scorso, il presidente americano Barack Obama ha dato il via libera ad una serie di sanzioni nei confronti del Venezuela, con l’accusa di violazione di diritti umani e corruzione NEI CONFRONTI DI ALCUNI SUOI FUNZIONARI". Come dici tu, anche io ho scritto che le sanzioni riguardassero solo alcuni funzionari governativi.
Ultima cosa: con i piedi cammino, molto spesso corro, a volte gioco a calcio. Ma non ci scrivo articoli.
Peccato, da un nome come il tuo mi sarei aspettato di più.
Giacomo Bianchi