Sono ormai trascorsi quattro anni dallo
scoppio della “crisi siriana”, come alcuni report socioeconomici
di istituti di ricerca evidentemente legati al governo siriano hanno
definito, ma che di fatto è una vera e propria guerra civile.
In concomitanza con questa drammatica
ricorrenza, l'associazione Panthéon Sorbonne Monde Arabe ha invitato
Fadwa Suleiman, attrice e poetessa siriana, tratti dolci e sguardo
segnato di chi ha vissuto e vive l'orrore di una guerra civile nel
proprio paese, a tenere una conferenza per raccontare un lato della
ribellione poco riportato dai media occidentali, ovvero quello
dell'arte come strumento d'opposizione al regime. In Siria, l'arte,
sottoforma di murales, satira, poesia o musica, è diventata il
respiro che mantiene sveglia la mente e ricorda al corpo di non
soccombere.
Nel 2011 Fadwa Suleiman diresse alcune
tra le prime manifestazioni contro il regime di Bashar al-Assad a
Homs. Nel 2012, ricercata dalle forze di sicurezza del regime, la
“pasionaria di Homs”, come è stata definita da Libération, si
rasò i capelli e riuscì a fuggire attraverso il Libano con il
marito e da allora, costretta allo sradicamento, vive a Parigi.
Fadwa parla arabo con interprete
francese e noi, per il piacevole suono della lingua, la ringraziamo
tacitamente per questa scelta. Fadwa ripercorre la genesi delle
contestazioni, dai primi sitting in solidarietà alla rivoluzione
egiziana, alla prima manifestazione spontanea del 17 febbraio 2011 a
Damasco al grido di “il popolo siriano non si lascia umiliare”,
all'assembramento di fronte all'ambasciata della Libia per protestare
contro il massacro perché “colui che spara al suo popolo è un
traditore”, fino all'arresto di 15 bambini a cui vengono staccate
le unghie perché hanno osato scrivere sul muro di una scuola
elementare di Deera quello che fino a poco tempo prima non avrebbero
osato pronunciare nemmeno al riparo delle loro case: “Dottore,
verrà presto il tuo turno” (Bashar al-Assad è infatti medico oftalmologo).
Così iniziava la rivoluzione, con dei
graffiti e per i diritti dei bambini. 15 marzo 2011: Homs, Damasco,
Aleppo si sollevano, lo slogan, mantra della Primavera Araba, è “il
popolo vuole la caduta del governo!”, il regime spara sugli insorti
che impugnano rami d'ulivo e fanno cadere la statua di Hafez
al-Assad, atto simbolico che rappresenta un grande passo in avanti
per la rivoluzione, mentre il 30 marzo 2011 Bashar al-Assad tenne il
suo primo discorso davanti al Parlamento attraverso il quale dichiarò
guerra al popolo siriano, definendo gli attori della rivoluzione una
banda di persone che complottano contro il paese.
L'arte come veicolo di idee
rivoluzionarie e di protesta è una costante nella storia: il teatro
durante la Rivoluzione Francese, il romanzo di Tolstoj durante la
rivoluzione russa, i disegni di Goya e Picasso contro la dittatura di
Franco. L'arte del graffito, della scritta sui muri, era già apparsa
a Parigi nel '68, qundo gli studenti scrivevano “La noia è il
nemico della Rivoluzione”; negli anni '70 a New York i poeti
usavano i muri per esprimersi, quello di Berlino e quello in
Palestina sono l'esempio di muri che pur rappresentando una prigione
diventano spazio di libertà. Allo stesso modo in Siria, quel
“Dottore, verrà presto il tuo turno” non è stato che il prologo
di un processo di liberazione e riappropriazione dei muri e quindi
dello spazio pubblico: in contrasto con i ritratti del dittatore
disseminati in tutte le città sono apparsi i “Bashar, vattene!”,
“La Siria sarà presto libera!”, frasi semplici per una realtà
complessa, che hanno continuato ad apparire anche quando i muri
crollavano a causa dei bombardamenti. Frasi scritte di notte, alle quali le
forze di sicurezza rispondono così la mattina, tramutando il muro
stesso in campo di battaglia tra forze pro e anti-regime: “Il tuo
Dio cadrà ma non Assad”.
L'arte d'opposizione è anche satirica,
come dimostrano gli abitanti di Kafrankabel, una città nel
nord-ovest siriano che è diventato il centro creativo delle rivolte
contro il Presidente Bashar Al-Assad. Sin dall'inizio, hanno
disegnato ritratti caricaturali del presidente, vignette, scritto
frasi coraggiose contro il regime, spesso in inglese perchè “è
importante mandare un messaggio a tutto il mondo”, a una comunità
internazionale inerte alla quale gli attivisti di Kafrankabel si
rivolgono, uniti, in un grido misto di amarezza, rabbia,
esasperazione e disperazione.
La rivoluzione ha trovato espressione
anche nella musica, le canzoni Freedom Qashoush Symphony
e Watani Ana ovvero “Io sono la mia patria” del pianista e compositore Malek
Jandali ne sono un esempio. “O patria quando mai ti vedrò libera?”
“Tu che sei figlio di questo paese eppure uccidi i miei bambini”
non sono stati versi graditi al partito Ba'ath e il cantante e la sua
famiglia sono riusciti a fuggire e a rifugiarsi ad Atlanta, dopo
essere stati vittime di dure percosse. Fadwa Sulemain ci mostra un video a
tratti esilarante in cui alcuni uomini recuperano proiettili e creano
con essi strumenti musicali, e i missili diventano contenitori
d'acqua. Il domani quasi non esiste, ma a
significare che il popolo siriano, nonostante tutto, crea la vita.
A volte meglio della geopolitica dura e
pura, un fenomeno sociale di questo tipo può spiegarci - o forse
rendere ancora più assurda e inspiegabile- una realtà e gli enjeux
politici che permettono che il
massacro di una popolazione perduri da quattro anni.
Il
2015 è iniziato con un attacco alla libertà d'espressione, uno
mnemocidio si sta realizzando ai danni dello stesso patrimonio
culturale millenario siriano ed iracheno ed abbiamo recentemente
visto immagini di strumenti musicali bruciati dai jihadisti dell'Isis
perchè ritenuti non conformi alla Shari'a. Nulla di nuovo, se si
pensa che il nazismo proibì la diffusione del jazz.
La potenza comunicativa della cultura e
dell'espressione artistica fa di queste ultime veicoli di protesta e
allo stesso tempo bersagli più sensibili, più simbolicamente ed
emotivamente forti.
Fadwa Suleiman conclude la conferenza
affermando : “Il popolo siriano sa che il regime cadrà, quello che
non sa è a che prezzo”. Proprio in questi giorni, agenzie e ong tra cui Save the Children e Oxfam hanno presentato il rapporto
Failing Syria, che denuncia
le perdite tra i civili e l'inefficacia degli interventi del
Consiglio di Sicurezza dell'Onu nel paese. Il prezzo che alcuni di questi artisti
attivisti, come lo sprayman Nūr
Hatem Zahra che, a soli 23 anni ha perso la vita per aver dato voce
ai muri di Damasco, insieme ad altri migliaia di civili senza
nome stanno pagando ci sembra aver raggiunto già vette troppo alte
da non risvegliare le coscienze.
Marta Brero
@MartaBrero
@MartaBrero
Nessun commento:
Posta un commento