Il Cavaliere disarcionato: la deriva politica di Silvio Berlusconi

Nel mio pagellone politico di fine anno avevo assegnato una piena sufficienza a Silvio Berlusconi. Questa valutazione era giustificata dalla stupefacente abilità dimostrata dall'ex Presidente del Consiglio e attuale leader di Forza Italia di rimanere protagonista nella scena politica italiana, nonostante una serie oggettiva di impedimenti e circostanze sfavorevoli. In parole povere, l'anno scorso Berlusconi aveva galleggiato. Ma questo galleggiamento non costituiva una fase provvisoria in attesa dell'ennesimo rilancio. Rappresentava piuttosto un graduale avvicinamento all'inesorabile deriva.
In questi primi due mesi del 2015, i nodi sono venuti al pettine. La debolezza del Berlusconi statista, una figura sempre meno popolare e dalla narrativa sempre meno credibile, è innegabile. Le fragilità della sua compagine, Forzi Italia, che una volta si presentava come un blocco compatto intorno alla figura del leader carismatico e onnipotente, sono lampanti. Anche il più scettico elettore di sinistra, abituato alle miracolose resurrezioni del suo nemico giurato, presumo che abbia cominciato a pensare che l'incubo è davvero finito.
Andiamo però con ordine nell'analizzare le prove inconfutabili del declino berlusconiano che questi due mesi ci hanno portato.



L'elezione di Sergio Mattarella

Praticamente tutti i commentatori politici della penisola, me compreso, si aspettavano che il nuovo Presidente della Repubblica uscisse da una rosa di nomi stilata da Renzi e concordata con Berlusconi. Ma non è andata così. Per quanto Sergio Mattarella non fosse un candidato inviso al cavaliere, probabilmente non era ciò che si aspettava dal Premier. La dimostrazione è stato il mancato apporto di Forza Italia nella sua elezione e le minacce di rompere l'asse con il governo sulle riforme, ovvero il famoso “Patto del Nazareno”. In molti hanno pensato che le lamentele di Forza Italia sul “metodo” fossero parte di una pantomima, orchestrata da Renzi e da Berlusconi, ad uso e consumo dei media. Questa tesi era avvalorata, secondo i suoi esponenti, dal fatto che l'ex sindaco di Firenze avesse inserito una norma “salva-Berlusconi” nel decreto fiscale, approvato quasi in contemporanea dal Consiglio dei Ministri. A mio avviso, invece, l'episodio del Presidente della Repubblica è stato rivelatore degli equilibri interni al patto. È il leader di Forza Italia ad essere aggrappato al salvagente Renzi e non il contrario. Se non vuole affogare deve starci. Altrimenti fa niente. “Si va avanti da soli” come piace dire a Matteo. E quando c'è da tutelare risorse più importanti (come la reputazione del PD in quella circostanza), è l'alleanza con Silvio ad essere sacrificata. La tesi complottista viene smontata dal fatto che Berlusconi stesso si stia sganciando dall’asse, conscio di essere nulla se non uno strumento per raggiungere altri scopi, agli occhi del segretario Dem.

La questione Fitto e altri malumori.

“Ma chi è Raffaele Fitto?”. Penso che in molti se lo siano chiesti quando si è iniziato a parlare di lui come principale “dissidente” all'interno di Forza Italia. Fitto è un europarlamentare eletto tra le file del fu PdL, salentino, classe 1969, democristiano di seconda generazione, ex presidente della regione Puglia poi sconfitto da Nichi Vendola. Il solo fatto che un individuo dal curriculum politico così “modesto” riesca a mettere in subbuglio il partito di Berlusconi la dice lunga sullo stato di salute parlamentare ed extraparlamentare dell'ex Premier. Il tema del contendere è l'alleanza con Renzi. L'accusa di Fitto al suo leader è di non fare abbastanza opposizione e di essere assoggettato al volere del Presidente del Consiglio. Le prese di posizione sue e dei suoi (pochi e dir la verità) seguaci a mezzo stampa sono state in questi mesi esplicite e dirette. Hanno talvolta assunto i contorni di reali affronti. Eppure il pugliese è ancora lì, dentro il partito. Probabilmente perché rappresenta uno degli uomini di riferimento nel meridione, l'unica parte di penisola in cui FI tiene ancora. Se ci si aggiunge anche un inaspettato screzio con il fedelissimo Renato Brunetta si comprende come l’indisciplina e le iniziative personali siano ormai all’ordine del giorno tra le truppe di Silvio. Sono lontani anni luce i tempi in cui la contestazione quasi non esisteva e, quando si verificava, non ci si ponevano remore a cacciare figure di alto profilo come Gianfranco Fini.

Quale strategia?

L’ultima prova a riguardo del declino politico dell’imprenditore di Arcore è la sua apparente assenza di strategia politica al momento. Berlusconi sembra in questo inizio di 2015 letteralmente brancolare nel buio: Matteo Renzi o Matteo Salvini? Governo o opposizione? In attesa di risolvere i dilemmi cerca di barcamenarsi, di vivere alla giornata, senza un vero e proprio piano. Da una parte si ricuciono i rapporti con il nuovo che avanza (Salvini) e con il figliol prodigo fuggito dall’ovile (Alfano) per ricostruire un’ipotetica coalizione di centrodestra, che, secondo i sondaggi, sarebbe testa a testa con il PD. L’ostacolo in quest’operazione politica risiede proprio nel coinvolgimento dell’arrembante leader leghista. Salvini non vuole (e l’ha ribadito spesso) aver nulla a che fare con l’NCD di Alfano e non ha intenzione (ciò è più implicito) di macchiare la sua fresca immagine da alfiere del populismo di estrema destra con personaggi legati alla “casta”. Insomma la ricostruzione del polo di centrodestra si presenta come un’ardua impresa, in cui Berlusconi peraltro può al massimo ricoprire il ruolo del federatore. Dall’altra parte mantenersi in buoni rapporti con Renzi è fondamentale per ottenere una “fetta di torta” nella riforma del sistema elettorale ed, eventualmente (anche se ne dubito), qualche piccola tutela personale e/o aziendale. Insomma staccarsi dal “Patto del Nazareno” in maniera definitiva significherebbe per Berlusconi non avere nulla da guadagnare nell’immediato, l’unico orizzonte temporale a cui si può permettere di guardare ora come ora.

Come si suole dire, tre indizi fanno una prova. Lo affermo con nettezza: Berlusconi è politicamente finito. Tuttavia temo che il suo impatto sulla nostra cultura, sulla nostra società e, quindi, inevitabilmente, anche sulla nostra futura politica sopravvivrà alla sua uscita di scena. Sarà questa la sua nefasta eredità. Non un partito moderato di centro-destra. Non un paese con una pressione fiscale inferiore e una burocrazia più efficiente. Non un’economia più dinamica e competitiva.




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