La House of Cards di Hillary Clinton

Lo scorso 27 febbraio Netflix, l’emergente casa di produzione e distribuzione di serie tv online, ha messo in rete l’attesissima terza stagione di House of Cards, per la gioia dei numerosi fan sparsi per il mondo. La nuova stagione, senza fare uno spoiler clamoroso, entra nelle pieghe del rapporto tra Frank Underwood e sua moglie Claire, seguendoli nella loro vita di coppia tra le mura della Casa Bianca e nella loro solita lotta senza scrupoli per il successo. In particolare i nuovi episodi si concentrano maggiormente sulla figura della nuova First Lady, sospesa tra aspri litigi e tentativi di preservare il matrimonio, esigenze di realizzare le proprie ambizioni ed obblighi a stare sempre un passo indietro ad un marito così ingombrante, attimi di comprensibile emotività e necessità di mantenere una freddezza degna di una carica ufficiale. È fondamentalmente Claire il personaggio più enigmatico della serie. Infatti, mentre Frank è un rullo compressore, alimentato da un’inesauribile sete di potere, la sua inseparabile compagna, complice di mille trame, ha contorni decisamente più sfumati.

Robin Wright e Hillary Clinton
La storia recente degli Stati Uniti è costellata di “grandi donne dietro grandi uomini”: Eleanor Roosevelt, Jacqueline Kennedy, Nancy Reagan. Ma nessuna di queste si avvicina al personaggio di Claire Underwood tanto quanto Hillary Rodham (questo il cognome da nubile) Clinton, moglie dell’ex presidente Bill e lei stessa probabile candidata democratica alla presidenza nel 2016. Addirittura all’attrice Robin Wright è stato in passato chiesto se si fosse ispirata alla Clinton nell’interpretazione del suo ruolo. La Wright ha naturalmente negato. Hillary ha scherzato sul paragone attraverso un divertente video per il sessantottesimo compleanno del marito, che vede la partecipazione dell’altro attore principale della serie, ovvero Kevin Spacey.

I punti di contatto tuttavia sono numerosi. A partire da un’influenza straordinaria nella carriera politica del consorte,  al punto che i loro oppositori avevano coniato per deriderli  l’appellativo “Billary”. Ascendenza che si è palesata quando Hillary divenne la prima First Lady della storia ad avere un suo ufficio nella West Wing della Casa Bianca: il luogo in cui di solito il Presidente, insieme ai suoi più stretti collaboratori, prende  le decisioni che contano. In pratica la Clinton è sempre stata materialmente coinvolta nelle attività pubbliche del marito durante quegli otto anni. Molto meno lo è stata in quelle private. In molti ricordano il “Sexgate”, in cui furono trovate  prove incontrovertibili riguardo a ripetuti tradimenti da parte di Bill con la stagista Monica Lewinsky. Hillary in quell’occasione scelse di passarci sopra, anteponendo, esattamente come Claire Underwood, gli interessi materiali della coppia (e magari pure quelli personali) al proprio orgoglio ferito di moglie e di donna. Con i protagonisti di House of Cards, i Clinton hanno condiviso anche una discreta quantità di scheletri nell’armadio. Il primo in ordine di importanza è chiamato “ControversiaWhitewater”. La vicenda, che risale ai tempi in cui Bill era governatore in Arkansas, aveva a che fare con un presunto conflitto di interessi riguardante Hillary. Quest’ultima avrebbe approfittato della sua posizione dell’epoca per finanziare illegalmente una compagnia di credito di proprietà di amici dei Clinton. Il caso esplose durante la campagna elettorale del 1992 e si protrasse per svariati anni. A contrario di quasi tutte le altre persone coinvolte nell’inchiesta, i Clinton ne uscirono puliti. Grazie anche a dei documenti misteriosamente scomparsi durante il trasferimento dall’Arkansas a Washington. Inoltre Hillary, come First Lady, è stata sospettata, all’interno del cosiddetto “Travelgate”, di aver licenziato membri dello staff della Casa Bianca, per rimpiazzarli con suoi conoscenti, adducendo false motivazioni. Last but not least, è stata anche accusata di aver spinto il direttore dell’Ufficio del Personale di Sicurezza, da lei nominato nonostante le scarse qualifiche, ad ottenere file segreti dell’FBI che lei avrebbe letto. Tuttavia non è stata riconosciuta colpevole di illeciti in entrambi i casi.



Dopo gli anni alle spalle di Bill, Hillary si è lanciata nella sua carriera politica. Senatrice per lo stato di New York nel 2000, è stata rieletta nel 2006. Da deputata ha appoggiato sia la missione in Afghanistan nel 2001 che quella in Iraq nel 2003. Nel 2008 ha partecipato alle primarie democratiche per scegliere il candidato presidente, perdendo contro Barack Obama, al termine di una campagna elettorale estremamente combattuta. Proprio il primo presidente afroamericano della storia l’ha nominata subito Segretario di Stato, per tenersela vicina e non inimicarsela ulteriormente, oltre che per sfruttare le sue competenze e la sua esperienza.  Nel 2012, scaduto il suo mandato, Hillary si è dichiarata disinteressata a ricoprire per altri quattro anni la carica, che è finita in mano a John Kerry. Era già evidentemente proiettata verso il 2016.
Nella lotta interna al partito democratico la Clinton dovrebbe avere gioco facile per assenza di altri avversari di spessore. Elizabeth Warren, senatrice per il Massachusetts, esponente dell’area più liberal del partito e accreditata come unica potenziale minaccia nella competizione, ha più volte ribadito la sua intenzione di non voler correre. Tuttavia le cose potranno farsi più dure quando la posta in palio sarà la poltrona dello Studio Ovale.

In questi giorni si sta consumando lo scandalo delle email, nel quale si è venuto a sapere che Hillary utilizzava il suo account personale invece che quello ufficiale negli anni da Segretario di Stato (pratica concessa ma abbastanza inusuale), evitando l’archiviazione di molte conversazioni. La sua giustificazione ha lasciato a dir poco perplessa l’opinione pubblica statunitense. Viene quindi spontanea una considerazione:  se i Repubblicani impostassero la campagna elettorale sulla questione della trasparenza, magari presentando un candidato giovane ed estraneo ai giochi di potere di regola nella capitale, come riuscirebbe la moglie di Bill a convincere gli americani, stanchi di una politica lontana dalla gente comune, a votarla?  A quel punto il castello di carte (la “House of Cards” per dirla in inglese), costruito tanto faticosamente dalla Clinton negli ultimi vent’anni  e più, rischierebbe davvero di crollare nel giro di pochi mesi.




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