Quando qualcuno domanda per quale
motivo l’11 settembre è ricordato tragicamente, giustamente, noi
rispondiamo che è ricordato per l’attacco terroristico nei
confronti del World Trade Center di New York, in cui persero la vita
2 749 persone.
Correva l’anno 2001.
Io, come la maggior parte di voi, lo
ricordo per lo stesso, tragico avvenimento, anche se, l’11
settembre di molti anni prima, per la precisione quarantuno, è
ricordato come l’anniversario, anche in questo caso in modo
negativo, della morte di Salvador Allende, politico cileno ma
soprattutto socialista e marxista, ed uno dei personaggi più
importanti ed emozionanti dal secondo dopoguerra ad oggi.
Salvador Allende è stato infatti il
primo marxista democraticamente eletto e, a mio parere, l’unico e
forse l’ultimo. Purtroppo.
Nacque a Valparaiso nel 1908 Salvador
Isabelino del Sagrado Corazón de Jesus Allende Gossens,
figlio di Salvador Allende Castro, un avvocato cileno
di origini basche, e di Laura Gossens Uribe. Entrambi i genitori
appartenevano ad abbienti famiglie borghesi di tradizioni
progressiste.
Dopo esseri laureato in medicina presso
la “Universidad de Chile” esercitò la professione di medico,
senza però mai allontanarsi dal mondo della politica, un mondo che
amò e che frequentò grazie e non solo alle influenze del padre.
Nel 1940 sposò la bella Hortensia
Bussi, soprannominata “Tencha”, dalla quale ebbe tre figlie:
Carmen Paz, Isabel e Beatriz
L’impegno politico, con il passare
degli anni, si fece sempre più forte, e si trasformò da hobby a
vera e propria missione di vita.
Divenne così ministro della Sanità e
delle politiche sociali, e decise di incrementare il sistema pubblico
in favore delle classi povere, affiancando una vasta gamma di riforme
sociali progressiste: aumento delle pensioni per le vedove, leggi
sulla maternità, leggi sulla sicurezza e la protezione dei
lavoratori.
Divenne anche Presidente del Senato nel
1966, dopo aver deciso di candidarsi come Capo del Governo sia nel
1952 che nel 1958, uscendo però sconfitto in entrambe le tornate
elettorali.
Nel 1970 decise, per la terza volta, di
candidarsi Presidente come leader della coalizione Unidad Popolar, e
il 5 settembre dello stesso anno ottenne il primo posto al voto con
il 36% dei consensi, e seppur non ottenendo la maggioranza assoluta
dei voti (ne dovevano servire almeno il 50%), venne nominato dal
Congresso Presidente del Cile.
A causa delle sue
idee socialiste, si cominciò a temere che ben presto il Cile sarebbe
diventato una nazione comunista e sarebbe entrato nella sfera
d'influenza dell'Unione Sovietica, e per questo motivo Allende attirò
rapidamente su di sé le preoccupazioni dell’establishment politico
statunitense.
Per di più gli
USA avevano cospicui interessi economici in Cile, con società come
ITT, Anaconda, Kennecott. L'amministrazione Nixon in particolare, fu
la più strenua oppositrice di Allende, per il quale nutriva
un'ostilità che il Presidente ammetteva apertamente. Durante la
presidenza Nixon, i cosiddetti "consiglieri" statunitensi
(che avrebbero imperversato in buona parte dell'America Latina per
tutti gli anni settanta e ottanta) tentarono di impedire l'elezione
di Allende tramite il finanziamento dei partiti politici avversari.
Si sostiene che lo stesso Allende abbia ricevuto finanziamenti da
movimenti politici comunisti esteri, ma tale ipotesi rimane
ufficialmente non confermata, ed in ogni caso la portata degli
eventuali contributi sarebbe stata ben minore rispetto alle
possibilità di "investimento" statunitensi.
Una volta insediato il governo di
Unidad Popolar, Allende iniziò ad operare per realizzare la sua
"piattaforma" di riforma socialista della società cilena.
Le riforme socialiste presero il nome di "rivoluzione con
empanadas e vino rosso", a
sottolinearne il carattere pacifico.
Per prima cosa avviò il processo di
nazionalizzazione delle principali industrie private, delle banche e
delle più importanti compagnie assicurative, introdusse la legge sul
divorzio, e diede mano alla riforma agraria, annunciando anche la
sospensione del pagamento del debito estero.
Allende, da Primo
Ministro, decise di usare la mano pesante nell’aiutare le classi
meno abbienti.
Introdusse la
garanzia di mezzo litro di latte per ogni bambino, incentivò
l’alfabetizzazione, fissò un tetto al prezzo del pane e aumentò i
salari. Al tempo stesso decise di lanciare un intenso programma di
lavori pubblici, come la costruzione della metro a Santiago del Cile,
e l’annullamento delle sovvenzioni statali alle scuole private.
La spesa sociale
però, per forza di cose, crebbe fortemente.
Dopo soli tre
anni dall’insediamento, il governo presieduto da Allende si ritrovò
debole, non maggioritario in seno al Congresso, e il 29 giugno 1973,
il colonnello Robert Souper, circondò con il suo reggimento La
Moneda, il palazzo del Governo, con l'intento di deporre l’esecutivo
in carica. Il
fallito colpo di stato
è conosciuto come “Tanquetazo” o
“Golpe dei carri armati”,
e fu organizzato dal gruppo paramilitare “Patria y Libertad”, ma
fallì grazie all'intervento del generale Carlos Prats, fedele di
Allende.
Ma il colpo di
Stato vero e proprio, quello che determinò la caduta e la fine del
Marxista d’occidente eletto democraticamente, avvenne l’11
settembre di quello stesso anno.
Quel
giorno tutto cambiò. Il cielo di Santiago sopra il palazzo della
Moneda si fece nero, gonfio di nuvole spesse e di bombe. Gli aerei
comandati dai traditori in alta uniforme, con a capo il futuro
dittatore Augusto Pinochet, cominciarono a bombardare: ma Allende,
con i suoi uomini, non alzarono le mani, non chinarono la testa, non
si arresero. Restarono in quelle stanze a difendere un Ideale, una
conquista, quella che ormai si era trasformata in una utopia bagnato
dal sangue innocente.
Allende, prima di suicidarsi, parlò
a radio Magallanes. Al suo popolo. Frasi di un uomo che, sino
all'ultimo respiro, non cedette alla viltà, non cercò una via di
salvezza. Parlava del futuro del Cile, lui che non aveva più un
presente.
Quell'11 settembre 1973 la
violenza, il terrore, lo scempio si impadronirono del Cile. Venne
cancellata una generazione e tante ossa ancora sono in attesa di un
nome, per un ultimo saluto. Oggi, lo sappiamo: Allende vive nel cuore
di tutti i sognatori, di tutti i ribelli, di tutti gli
onesti.
Salvador Allende morì, o si suicidò, questo è
ancora un mistero, ma nonostante ciò generazioni di giovani vivono
nel suo ricordo, nelle sue parole, nei suoi atteggiamenti, e
soprattutto, prima di andarsene, riuscì a regalare ancora un sogno,
un ideale, un’immagine alle generazioni future, cilene e
non:
“Lavoratori della mia patria, ho fede
nel Cile e nel suo destino. Altri uomini supereranno questo momento
grigio e amaro, in cui il tradimento ha la pretesa di imporsi.
Continuate a esser certi che, più presto che tardi, riapriranno le
grandi strade per le quali passerà l'uomo libero, per costruire una
società migliore. Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori!
Queste sono le mie ultime parole e sono certo che il mio sacrificio
non sarà inutile. Sono certo che, perlomeno, sarà una lezione
morale che castigherà la slealtà, la vigliaccheria e il tradimento.
È possibile che ci annientino, ma il domani apparterrà al popolo,
apparterrà ai lavoratori. L’umanità avanza verso la conquista di
una vita migliore.”
Giacomo Bianchi
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