"Un giorno questa cultura ti sarà
utile"
Accolgo con
estremo interesse un documento diffuso dal Governo riguardo alla –
vera o presunta che si dimostri – rivoluzione del sistema
scolastico italiano (scaricabile qui).
Si tratta di una – mi si passi il termine – brochure informativa
su una sorta di “patto di stabilità culturale” auspicato dal
Governo Renzi e, mi auguro, da noi tutti. Sia chiaro, non è
necessario condividerne i contenuti, ma di cambiare la scuola, in un
senso o in un altro, c’è un drammatico bisogno, occorre al più
presto provvedere a tamponare i danni creati da chi non si è mai
reso conto (o ha finto di non rendersi conto) che il ruolo della
scuola è formare cittadini: non liberare ore ai genitori, non
occupare bambini e ragazzi, non fornire posti di lavoro. Sembrano
banalità, ma ahimé non lo sono.
Non ho le
competenze per discutere l’intero documento, ma mi concentrerò sul
punto 4.1 (“Cultura in corpore sano: musica, storia dell’arte e
sport”). Precisamente a pagina 89 in qualche paragrafo vengono
delineate le linee guida che il Governo intenderebbe seguire riguardo
all’educazione musicale nelle scuole. Analizziamole nel dettaglio.
L’insegnamento
pratico della musica va riportato nelle scuole primarie attraverso
docenti qualificati, e rafforzato nelle scuole secondarie di primo
grado attraverso la formazione dei docenti di musica già in
servizio. Per quanto riguarda gli istituti comprensivi, possono
essere realizzate sinergie utilizzando i docenti già in servizio
nelle scuole secondarie per affiancare i colleghi delle primarie
nell’ora di musica.
Introdurre
“docenti qualificati” nelle scuole primarie è un’ovvietà, ma
ribadirlo fa sempre bene. Attualmente le attività musicali nelle
scuole primarie sono libera iniziativa dei singoli istituti: mancano
quindi linee guida precise sull’educazione musicale. Estenderne
l’insegnamento anche alle ultime classi della scuola primaria è un
notevole passo avanti.
Ma
– cosa anche più importante – il Governo qui dimostra di aver
(finalmente!) compreso un punto fondamentale: la verifica (e, nel
caso, l’approfondimento) delle competenze degli insegnanti di
musica della scuola secondaria di primo grado. Teniamo presente che,
per insegnare nelle ex “scuole medie” (i garbugli terminologici
tipicamente italiani non sono sradicabili, a quanto pare), fino a non
molti anni fa era richiesto un semplice diploma di Conservatorio.
Ora, per conseguire un diploma in un qualsiasi strumento era
sufficiente possedere la licenza media, facendo la formazione di
conservatorio le veci di una scuola superiore (e infatti, in questo
caso, il diploma di conservatorio legalmente ha il valore di un
diploma di maturità). Dovrebbe essere ovvio, tuttavia, che una
formazione strettamente musicale non
può in alcun modo sostituire una
formazione da scuola superiore: il risultato è che ci sono docenti
(dico “ci sono”, non che lo sono tutti, naturalmente) che
insegnano musica nella scuola secondaria di primo grado con, di
fatto, la licenza media. Certo, le competenze musicali che si suppone
debbano essere trasmesse agli allievi sono garantite dal diploma di
Conservatorio, ma che dire della didattica, della pedagogia, della
semplice (ma neanche tanto) cultura generale?
Come si può parlare di
Beethoven senza conoscere Schiller? di Strauss senza conoscere
Nietzsche? Mistero. Ma per i programmi italiani, limitati a farsi
venire mal di testa soffiando in tristi flauti di plastica, finora
era più che sufficiente.
Altra
questione è l’“insegnamento pratico”, un annoso problema.
Meglio i flauti di plastica (la “pratica”) oppure infinite ore di
storia della musica (la teoria)? La risposta dovrebbe essere, a mio
parere: nessuna delle due scelte. La pratica musicale senza storia
della musica è idiota: è saper camminare, ma poterlo fare solo in
una stanza buia piena di mobili spigolosi. La storia senza pratica
invece è semplicemente sterile. C’è un modo semplice di unire le
cose: il canto. Il canto è spontaneo, semplice, non richiede abilità
tecniche particolari, unisce, diverte e fa pure bene ai polmoni (se
praticato con coscienza). Cantando si può passare dalla musica della
Grecia antica fino a Lady Gaga, dimostrando praticamente
tutto quello che si può dire teoricamente.
Non serve parlare troppo, se interessati i ragazzi si iscriveranno al
conservatorio e lì faranno quante ore di storia della musica
vorranno. Bastano due parole per argomento, poi però si passi alla
pratica. In questo senso sarei d’accordo con il Governo; non se
“pratica” volesse dire ancora flauti. Hanno rovinato troppe
generazioni (di persone e di timpani), ottenendo a volte uno scopo
opposto a quello dell’educazione musicale: il rifiuto totale. Non
serve formare musicisti, quello è compito dei conservatori. Bisogna
educare all’ascolto.
Un’ipotesi
dell’introduzione di 2 ore a settimana di educazione musicale nelle
classi IV e V della scuola primaria, che a regime costerebbe 90
milioni di Euro (calcolati per l’assunzione di docenti a 24 ore
settimanali di insegnamento con stipendio tabellare lordo base di
insegnante di scuola primaria), potrà interamente essere coperta
dalle nuove assunzioni. Gli iscritti nelle GAE per le varie classi di
concorso afferenti all’educazione musicale (anche considerando
quelle per gli istituti di istruzione secondaria) sono infatti 5.402,
sufficienti per coprire un fabbisogno di circa 4.800 docenti per
circa 53.000 classi.
Due ore a settimana sono forse persino
troppe! Sono di parte, quindi naturalmente mi farebbe piacere. Resta
da vedere, però, come queste ore saranno organizzate. Formazione
musicale d’insieme? Corale? O – Apollo non voglia –
flautistica? Forse più che la formazione strettamente pratica
andrebbe coltivata quella ricettiva, in modo che i futuri ascoltatori
riescano a incasellare quello che sentono in categorie che la scuola
dovrebbe dare loro. Che so, saper distinguere qualcosa di simile a
Beethoven da qualcosa di simile a Mahler. Questo sarebbe già un
grosso passo avanti!
Ma
le scuole non saranno sole in questa sfida: al loro fianco sarà
importante mobilitare tutte le istituzioni musicali del Paese, in
primo luogo i conservatori ma anche gli enti lirici e sinfonici,
bande militari e civili. Per troppo tempo, su certi temi, abbiamo
improvvisato, condannando queste discipline all’estemporaneità.
Oggi è tempo di puntare sul valore della pratica e di chiedere a chi
ha consacrato la propria carriera alla musica di entrare in classe.
Questo, sia detto
senza retorica, è di vitale
importanza. Coinvolgere bambini e ragazzi nella vita pratica del
musicista è il più bel modo di farli avvicinare (spontaneamente e
senza pregiudizi) a quest’arte. Visitare teatri, assistere alla
preparazione di un’opera, alle prove di un concerto, incontrare
solisti, direttori, orchestrali, parlare, fare domande: tutto questo,
che ora alcuni istituti organizzano e altri no, è uno straordinario
strumento di conoscenza. Naturalmente nulla di tutto questo darà
frutti se da un lato i docenti non accompagneranno gradualmente gli
allievi in questo percorso, e se dall’altro gli enti musicali non
si impegneranno a fornire occasioni alla portata di questo genere di
pubblico.
Un plauso
globale, quindi, alle idee del Governo, sperando si riescano a
tradurre in pratica nel più breve tempo possibile. Ricordando
sempre, tuttavia, che l’educazione musicale nelle scuole non ha il
compito di formare musicisti, ma soltanto di avviarli a questa
carriera, mettendoli nella condizione di sperimentarne più lati
possibili. Essenziale, per noi musicisti e persino per la società
intera, è che si formino buoni ascoltatori,
capaci di riconoscere e recepire il bello nelle sue infinite
sfumature, dovunque e non soltanto dove è stato detto loro che si
può trovare.
Alessio Venier
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