Irachistan: l'avanzata dell'Isis e la scomparsa di due Stati -- Pt. I

Irachistan

Questi ragazzi appartengono a una generazione che non ha mai conosciuto il proprio paese in uno stato di pace, che non sa niente di un Afghanistan che non sia in guerra contro invasori o alle prese con una guerra civile. Non hanno ricordi delle loro tribù, dei loro anziani, dei loro vicini, né della complessa mescolanza etnica della gente che compone la popolazione dei loro villaggi e della loro terra. Questi ragazzi sono ciò che la guerra ha rigettato, come relitti che il mare deposita sulla spiaggia della storia.
Ahmed Rashid, Talebani (2010) 
La sintesi più efficace di quest’articolo è un’immagine, tratta da un video che circola su YouTube da tempo: un combattente dell’Isis (acronimo inglese traducibile con Stato Islamico dell’Iraq e del Levante) che calpesta un cartello stradale. Quel cartello simboleggiava la presenza di un check-point conquistato poco prima dal movimento islamico e posto a guardia dei confini tracciati con l’accordo Sykes-Picot del 1916. Quei confini, oggi, non esistono più.
Da inizio gennaio i militanti dell’Isis hanno esteso il loro dominio dal nord della Siria (ne avevamo già parlato qui), attraversando quel confine tale solo de iure. Quindi si sono spinti fino alla provincia irachena di al Anbar conquistando Fallujah e Ramadi, i due maggiori centri urbani. E, a fine giugno, hanno proclamato il califfato.
Nel frattempo, a molti chilometri di distanza, in Afghanistan, le elezioni presidenziali si sono impantanate. È stato il primo incontro elettorale che ha visto Hamid Karzai, in carica dall’inizio dell’invasione americana, impossibilitato a ricandidarsi per un terzo mandato. Ma i due candidati giunti al ballottaggio del 14 giugno, Abdullah Abdullah e Ashraf Gani, si accusano reciprocamente di brogli e scorrettezze varie. Sullo sfondo della competizione elettorale si muove la diplomazia, all'opera per giungere alla firma dell’Accordo bilaterale di sicurezza, approvato dalla Loya Jirga1; manca solo la firma del neo Presidente, dato che Karzai si è rifiutato di apporre la propria. Nel frattempo, però, i Talebani continuano a controllare gran parte del territorio afgano, le condizioni di vita della popolazione stentano a migliorare e le vittime del conflitto fra i civili aumentano (+24% nei primi sei mesi del 2014 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno).
L’Iraq e l’Afghanistan sono paesi molto diversi fra loro, a partire dalla posizione geografica (l’uno appartenente all’area mediorientale, l’altro a quella asiatica), dai paesaggi (deserto e forti temperature da una parte, aspre montagne e rigidi inverni dall’altro) oppure dalla loro collocazione all’interno del mondo musulmano, dove Baghdad fu la grande capitale della dinastia abbaside e il centro culturale più importante dell’islam per diversi secoli. Le terre afgane hanno invece sempre rappresentato il punto di incontro di nuove idee, religioni ed etnie, eredità delle tante ondate d’invasione (e quindi anche migratorie) che si susseguirono in questi territori.
Ma, al di là delle tante differenze che li separano, questi due Stati oggi presentano anche molte somiglianze (ovviamente oltre ad avere in comune, nel loro recente passato, un’invasione ed un’occupazione statunitense prolungate). Vediamo quali sono.


NASCITA DELLO STATO
Sia l’Afghanistan che l’Iraq - come del resto la stragrande maggioranza degli Stati che dovettero subire la colonizzazione - non hanno potuto gestire in autonomia il loro processo di nation building e non hanno neppure avuto voce in capitolo sulla determinazione dei propri confini nazionali.
Come già detto in precedenza, l’Afghanistan ha rappresentato per millenni una sorta di “paese-frontiera” in cui si possono incontrare le numerose tracce e testimonianze delle tante popolazioni che si sono spinte fino a questi territori.
Tra i numerosi popoli che giunsero in Afghanistan, ci furono anche gli europei ed il paese conobbe così l’ingombrante presenza dei russi da nord e degli inglesi da est. Conseguentemente, l’Afghanistan rientrò all’interno del cosiddetto “Grande Gioco” tra le due potenze europee. Si trattava di una sorta di primigenia Guerra fredda dell’Ottocento, combattuta soprattutto nelle ambasciate e nei ministeri più che sui campi di battaglia, con un intero paese a fare da cuscinetto (oltre che da stato-vassallo, in questo caso dell’Inghilterra) alle ambizioni espansionistiche dei giocatori.
Gli inglesi indebolirono la principale tribù pashtun - i durrani - fomentandone le lotte interne e così poterono formalizzare la separazione tra i pashtun della cosiddetta India britannica (che in seguito all’indipendenza sarebbe divenuto l’odierno Pakistan) da quelli dell’Afghanistan, tracciando nel 1893 la Linea Durand.
Dopo la fine della Seconda Guerra mondiale, agli inglesi subentrarono gli americani e l’Impero russo fu sostituito da quello sovietico. L’Afghanistan divenne così uno degli innumerevoli tavoli da gioco su cui si dispiegavaa la Guerra fredda tra USA e URSS. Il paese ebbe però “l’onore” di divenire il Vietnam sovietico quando l’orso russo decise di dissanguarsi in una guerra decennale (1979 - 1989) che servì da concausa per la dissoluzione dell’URSS stessa e per lo scoppio di un conflitto interno all’Afghanistan, quello che vide poi trionfare i talebani del Mullah Omar. 
Scriveva qualche giorno fa Bernardo Valli: “Il francese François Georges-Picot e l’inglese Mark Sykes direbbero che il loro Medio Oriente è diventato un groviglio inestricabile. Sarebbero inorriditi. L’arroganza coloniale della loro epoca garantiva idee chiare.”2Questo fu il portato del crollo dell’Impero ottomano, uno dei tanti stravolgimenti post Prima Guerra mondiale: grandi estensioni territoriali da spartirsi e considerate di vitale importanza per gli interessi della Gran Bretagna e della Francia, potenze che però, nel 1918, erano a corto di uomini e mezzi per tenere sotto controllo i loro già vasti imperi. Pressata anche da una serie di rivolte di matrice nazionalista e religiosa, Londra decise di adottare la “tipica regola coloniale britannica dell’indirect rule” che “consigliò di fare della Mesopotamia un regno formalmente indipendente che avrebbe dovuto comunque rimanere sotto la stretta supervisione britannica.”3. Tale Regno fu affidato nel 1921 a Faysal Ibn Husayn (sunnita, figlio dello sharīf meccano Husayn al-Hāshimī, che faceva risalire le sue origini direttamente al Profeta Maometto) il cui potere venne però fin da subito rintuzzato dallo strapotere britannico, che si riservò il diritto di intervento nelle questioni finanziarie, di politica estera e di difesa del neonato Stato.

Inoltre, fin dalla sua nascita, l’Iraq si caratterizzò per le forti tensioni fra le tre comunità esistenti all’interno dei suoi confini: curdi al nord, sunniti al centro e sciiti al sud. A ciò si aggiunsero gli stessi problemi che oggi tormentano i sonni del Pentagono: una società divisa in segmenti e che, anche a livello politico, era incapace di esprimere un punto di vista che rompesse con gli schemi tribali, e con le reti di affiliazione e di clientela che questi creavano. Tutto ciò condizionava e rendeva fragile l’azione di qualsiasi governo centrale. Governo a sua volta dominato dalla minoranza sunnita. Questo non faceva che esacerbare i rapporti con le altre comunità presenti nel paese. Seguirono una serie di colpi di stato che presentarono sempre alcune costanti: il conflitto con i curdi, i posti di governo in mano ai militari e ai sunniti e la subordinazione alla Gran Bretagna. A ciò si devono aggiungere il crescente malumore della comunità sciita e l’inutilità delle poche riforme in campo economico, agrario e sociale che vennero varate in quel periodo.
Nel 1979 prese il potere Saddam Hussein, già segretario generale del partito Ba’th.
Questi sono i risultati dell’ “arroganza coloniale”: Stati e confini effimeri per un ancor più effimero Medio Oriente. Oggi perciò, un’intera regione si regge su confini validi solo sulla carta, abitata da popolazioni storicamente omogenee e che circa un secolo fa si ritrovarono improvvisamente ad essere cittadini (un altro termine molto occidentale e molto effimero) di nazioni diverse e, a volte, perfino ostili fra loro.
Questi sono anche i risultati dell’azione dell’Isis: la disgregazione di due Stati (tre, se vogliamo includere nel conteggio anche la Siria) disegnati artificialmente a tavolino per venire incontro alle necessità dei padroni dell’epoca.

STRUTTURA DELLO STATO E VISIONE DEL MONDO
Come già sappiamo Afghanistan e Iraq condividono la presenza, sul loro territorio, di due distinte formazioni para-militari riconosciute da molti Stati del mondo come organizzazioni terroristiche.
Con la fulminea ascesa dell’Isis nel paese mesopotamico, avvenuta proprio in questi mesi, si sta verificando un evento che ha avuto - pur con tutte le sue peculiarità - un unico precedente nelle storia contemporanea: la nascita, per mano di un’organizzazione terroristica, di uno Stato che abbia un serio riferimento alla tradizione islamica. Per l’Isis si tratta del califfato, per i talebani del mullah Omar fu l’emirato (l’altro precedente a cui facevamo riferimento poche righe sopra).
Una simile struttura politica non è nuova nel mondo arabo (basti pensare al Qatar o agli stessi Emirati arabi uniti). L’Iraq e l’Afghanistan rappresentano però gli unici due casi nei quali un gruppo armato (o appunto un’“organizzazione terroristica”, per usare l’etichetta occidentale) ha avuto successo nel sovvertire il precedente ordine costituito e addirittura, per il caso iracheno, nel cancellare i confini tracciati col righello dalle potenze coloniali.
Dal punto di vista dell’organizzazione statale, però, le similitudini fra Isis e talebani si fermano qui. Infatti l’Isis, al contrario dei talebani, si è spinta molto oltre, fino a sovvertire confini statali già esistenti e a dare inizio ad un embrionale progetto di “califfato” che coinvolga diverse nazioni (Iraq e Siria) e non un singolo Stato (l’Afghanistan). Un’altra differenza importante fra gli uomini di al-Baghdadi e i talebani afgani è che questi ultimi cercarono insistentemente il riconoscimento del loro governo da parte della comunità occidentale; elemento, questo, che i miliziani dell’Isis sembrano non prendere neanche in considerazione.

Da sempre promotore di una rivoluzione islamica, il movimento talebano si è ben presto scontrato con le tradizioni tribali del mondo afgano, causando così l’aperta ostilità dei gruppi etnici minoritari (tra i quali gli hazara sciiti) e la rottura con l’ideale storico di unità all’interno della comunità musulmana (umma) predicato fin dai tempi della Rivelazione di Maometto. La stessa ostilità ha suscitato nelle minoranze afgane Osama bin Laden e la sua organizzazione, Al Qaeda, “ospitati” in Afghanistan fin dai tempi dell’invasione sovietica del 1979 - ’89 e passati poi sotto la protezione dei talebani e del mullah Omar almeno dal 1997.
All’organizzazione afgana dell’epoca mancava quella visione di guerra globale all’Occidentale, ai regimi musulmani corrotti e alla minoranza sciita (ovunque essa si trovi) che invece l’Isis possiede e alimenta continuamente.
I talebani sono soprattutto un movimento afgano costituito prevalentemente da pashtun afgani sunniti. L’incontro con gli arabi/musulmani algerini, pachistani, filippini, ceceni wahabbiti che costituiscono quella sorta di “internazionale del terrore” che è Al Qaeda negli anni ’90 li influenza profondamente.
Scrive Ahmed Rashid: “Osama bin Laden riesce ormai [nel 1998, N.d.A.] a esercitare un influsso notevole sui talebani, anche se non sempre è stato così. Prima che i talebani prendessero Kabul nel 1996, non avevano avuto alcun contatto con gli arabo-afgani e con la loro ideologia panislamica.”4. Anche il fatto che bin Laden attinga al proprio patrimonio personale per foraggiare sia il mullah Omar sia altri leader talebani aiuta questo cambiamento di mentalità ed è così che anche il loro linguaggio cambia e gli USA, l’ONU, l’Occidente e i regimi musulmani esistenti entrano a far parte dei nemici del regime di Kabul.
A quel tempo il nome ufficiale del paese è “Emirato islamico dell’Afghanistan”. È il mullah Omar a imporre questo cambiamento dopo che, nel 1996, ha indossato il mantello del Profeta ed è stato nominato Amir-ul Momineen e cioè “Comandante dei fedeli”. I talebani, scegliendo tale denominazione per il proprio Stato e la propria guida, hanno indicato chiaramente che il movimento è circoscritto ai confini dell’Afghanistan del tempo; difatti un emirato è una precisa forma di organizzazione di un territorio ben definito e, solitamente, retto da un monarca. Inoltre da sempre in Afghanistan si vuole uno Stato “leggero”, la cui presenza sia quasi impercettibile, anche per venire incontro all’estrema frammentazione etnica, tribale e sociale che caratterizza il paese.
Ora osserviamo invece l’immagine diffusa dall’Isis a seguito della proclamazione del Califfato.




I confini di numerosissimi Stati - dall’Africa occidentale alla Cina dell’ovest e dal Kenya all’Europa centrale - sono letteralmente spariti, inglobati da una nuova unità panislamica che ricalca ed amplia il periodo d’oro dell’espansione dell’Islam, dalla Rivelazione di Dio a Maometto fino al crollo dell’Impero ottomano. Questa è la visione del mondo dell’Isis, una visione globale (dell’Islam) in un mondo globalizzato.
La stessa scelta di proclamare un califfato (e non un emirato) è un indicatore ben preciso di questa visione: il califfo è considerato un successore diretto della tribù a cui apparteneva Maometto ed egli è destinato a guidare tutte le terre ove vivono dei fedeli musulmani, non un singolo Stato.
"La visione di Isis è quindi regionale, fortemente settaria e idealmente propensa alla gestione di un conflitto continuo contro quella che ormai apertamente viene indicata come ‘l’eresia sciita’", disubbidendo così alle indicazioni di Al Qaeda, per la quale il nemico prioritario contro cui muovere guerra è il mondo occidentale in toto e qualsiasi progetto politico strutturato deve essere accantonato finché la jihad verso tale mondo non sia stata portata a termine. 


Marco Colombo

NOTE
1 Una grande assemblea tradizionale, solitamente indetta in occasioni importanti quali l’adozione della costituzione o l’elezione di un nuovo re.
2 B. Valli, L’inganno feroce del Califfato, “la Repubblica”, giovedì 21 agosto 2014.
3 M. Campanini, Storia del Medio Oriente, il Mulino, Bologna, 2006, pag. 68.
4 A. Rashid, Talebani, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano, 2010, pag. 177.




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