Dante, Frederik Chopin, Albert Einstein, ma anche Milan Kundera, Isabel Allende, Marc Chagall, Rita Levi Montalcini, Pablo Neruda: cosa accomuna scrittori, musicisti, scienziati tanto da ritrovarli qui, uno dopo l'altro, nell'incipit di questo articolo? Basta spostare la polvere dalla superficie per scoprire che si tratta di persone in fuga, non i contemporanei cervelli vagabondi in cerca di fortuna lavorativa lontano dall'Italia, ma rifugiati costretti ad abbandonare la propria casa, alcuni anche più e più volte, con la sola speranza di sopravvivere.
Quando il 20 giugno dello scorso anno ho provato a descrivere cosa significa essere un rifugiato, le procedure e i diritti che gli spettano erano in pochi ad aver anche solo percepito che quando si parla di immigrazione si dice tutto e niente e che alcune distinzioni sono necessarie. Oggi, a distanza di un solo anno, non si contano più gli esperti sul tema e tutti si sentono in grado di poter esprimere la loro opinione ponderata sulla questione. Peccato che, spesso, disinformazione, populismo e militanza condizionino la razionalità offuscando l'empatia, il rispetto delle leggi o anche la semplice osservazione dell'altro.
Perché, dunque, richiamare alla memoria il genio di Dante o il talento di Chopin? Perché evocare alcune storie individuali nella Giornata mondiale del rifugiato? Ci siamo forse resi conto che di fronte alle immagini delle centinaia e migliaia di uomini, donne e bambini che raggiungono l'Europa notiamo solamente una massa deforme ed indefinita? Come facciamo a sapere se tra i migranti si nasconde il nuovo Steve Jobs?
Assuefatti ad immagini di violenza e di dolore, non ci fa più male vedere un ragazzino siriano soffrire. Non ci chiediamo più quale sia la sua storia, quale sia un suo talento, quale sia il suo sogno. Così facendo rubiamo loro il futuro, che già era stato danneggiato da bombe, attentati, povertà e morte. Chi siamo noi per arrogarci il diritto di decidere, per di più in maniera così sommaria, che ne sarà domani delle vite altrui?
Come ricorda Rizard Kapuscinski in uno dei suo saggi, ogni volta che l'uomo incontra l'altro ha davanti a sé tre possibilità: fargli la guerra, isolarsi dietro ad un muro o stabilire un dialogo. E in questo tempo in cui di guerre ce ne sono già tante e, sebbene ci sia chi ne vuole costruire ancora, i muri hanno dimostrato la loro fallibilità, non resta alternativa al dialogo e all'intesa. È l'unica via per far vibrare insieme le corde dell'umanità.
"Mare di mezzo", la chitarra simbolo del World Refugee Day Live 2015 |
Ecco che campagne come Bologna cares! 2015 promossa dallo SPRAR del capoluogo emiliano assumono valore: grazie a manifesti e spot nei quali gli ospiti della struttura impersonano i rifugiati del passato si stabilisce un contatto con l'immaginario socio-culturale occidentale. Il concerto organizzato dall'UNHCR a Firenze, invece, permette di fornire acqua potabile per un mese ad un rifugiato in un campo ad ogni biglietto venduto, ricordando che non è sufficiente occuparsi degli sbarchi per affrontare il problema. “Mare di mezzo”, la chitarra simbolo del concerto realizzata con il legno dei barconi, ha già cominciato il suo viaggio, passando di mano in mano a ricordare che anche dalle peggiori tragedie può nascere qualcosa di bello. Come è successo a Cosenza dove rifugiati e richiedenti asilo hanno organizzato corsi di inglese gratuiti aperti a tutti oppure all'altro capo dell'Italia, a Udine, dove i rifugiati afgani, insieme all'associazione Ospiti in arrivo, costruiscono aquiloni per i bambini nelle piazze del centro. A Milano e a Roma la popolazione continua a distribuire cibo, coperte e beni di prima necessità ai richiedenti asilo anche quando le telecamere sono ormai lontane. A Ventimiglia una bimba, per nulla spaventata o arrabbiata come è naturale che sia, distribuisce caramelle ai migranti durante lo sgombero.
Sono soltanto una manciata di esempi di una via solidale alla relazione con l'altro. Forse, in questo momento, non è più troppo importante ribadire quali siano le leggi che regolano i permessi di soggiorno, oppure stabilire le responsabilità politiche dell'accoglienza; oggi è più importante raccontare quello che perdiamo a farci trascinare dal flusso dell'emergenza, della massa indifferenziata, della paura mescolata alla rabbia dei commenti su Facebook. Raccontiamoci delle storie diverse, raccontiamoci la storia del nostro vicino di casa che dona quello che può, raccontiamoci la storia di chi se non fosse stato accolto lontano dal proprio paese non sarebbe stato capace di comporre Valzer e Notturni, di dipingere “La passeggiata”, di scrivere “L'insostenibile leggerezza dell'essere”.
Soffermiamoci sulla distruzione, fuori e dentro, che richiedenti asilo e rifugiati si sono lasciati alle spalle, ricordandoci che chi arriva in Europa è un privilegiato, un sopravvissuto e che sta a noi rimanere umani e donare ciò che sentiamo di poter donare. La storia è dalla nostra parte, non ce ne pentiremo.
Angela Caporale
@puntoevirgola_
Angela Caporale
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