Cividale del Friuli
(Cividât/Sividât/Zividât in friulano, Čedad in sloveno, e – se
proprio vogliamo – Forum Iulii in latino) è un’antica cittadina
romana e poi longobarda, adagiata in quella specie di prua di
territorio italiano che dal Friuli si protende verso la Slovenia.
Di Cividale (oltre alla nostra Angela) è Irma Saldutti, studentessa friulana trapiantata a
Bologna a studiare legge. La incontriamo tornata a casa per il
funerale del suo migliore amico, grande amore mai sbocciato e quasi
fratello maggiore, Alfredo. Dal suo funerale sembrano dipanarsi
ragnatele di mistero, che in breve avvolgono tutta la cittadina con
una serie di delitti inspiegabili, ciascuno sottolineato
pubblicamente con diabolica lucidità dalle filastrocche di Nostromo,
il pazzo del paese che, come nella migliore tradizione, pare dotato
di una vista ben più lunga di tanti suoi concittadini.
Sembra delinearsi
l’ombra del satanismo, legato alla zona dalla leggenda del Ponte
del Diavolo, che si ritrova simile a proposito di molti ponti
d’Europa: non riuscendo in nessun modo a edificare un ponte a
campata unica per collegare le due scoscese sponde del Natisone, su
cui sorge Cividale, gli abitanti avrebbero chiesto aiuto al diavolo,
che costruì il ponte ma pretese, come pagamento, l’anima del primo
che l’avesse attraversato. I cividalesi, terminato il ponte, lo
fecero attraversare da un cane, facendo così infuriare il diavolo,
che lanciò un enorme masso che distrusse il ponte a campata unica,
ma che si fermò sul letto del Natisone e diventò la base del pilone
centrale dell’attuale ponte a due campate.
Il ponte del diavolo a Cividale |
L’aura diabolica pare circondare in
particolare quattro notabili della cittadina, contraddistinti
dall’uso di ampie mantelle nere, quasi un segno di riconoscimento
in mezzo a una popolazione che sembra, dalla narrazione, fossilizzata
su categorie irrimediabilmente passate. La vecchia osteria dei
comunisti, il trio di anziane pettegole, vecchi partigiani
simpatizzanti di Tito e auto-esiliatisi in Slovenia. Su tutti grava
una pesante cappa di pioggia autunnale, che copre proprio come un
mantello persone e luoghi.
Una narrazione di fantasmi, dunque,
come se in questo estremo lembo d’Italia le cose si fossero fermate
all’inquieta epoca della Cortina di Ferro, greve presenza ormai
innocua ma ancora vivissima nella memoria delle persone. Il
territorio oltrecortina tuttavia non rappresenta una minaccia, ma
possiede soltanto, sembra di intuire tra le righe, la curiosa
capacità di evocare e manifestare fantasmi che sono già dentro
ognuno dei personaggi (come le misteriose krivapete,
leggendari personaggi mitologici della zona).
Lo stile narrativo è anch’esso
“spettrale”: possiede una sottigliezza indagatrice nella
psicologia dei personaggi che sembra davvero diabolica, con sprazzi
di realtà onirica che fanno improvvisamente breccia nella narrazione
reale, rendendo a volte difficile seguire il filo del romanzo. Questo
perché “seguire il filo” non è in realtà così importante
quanto il mutamento costante delle singole atmosfere, a volte legate
dalla logica e a volte no, più o meno come accade in un sogno.
L’immagine del Friuli (e in
particolare di quel microcosmo che è la fascia sul confine est) che
esce da questo romanzo è decisamente azzeccata: ci sono lievi
esagerazioni da romanzo, limitate in realtà alla sola escalation
di delitti, più vicina a Detroit che a un’innocua cittadina di
provincia (Cabot Cove a parte). Ma al di là di questo, se in un primo momento il romanzo
può sembrare tutto un’esagerazione, uno sguardo più attento
rivela che moltissimi dei personaggi sono anche più che verosimili.
Certo, sono tutti personaggi evidentemente fuori tempo massimo: le
tre pettegole sono immancabilmente molto anziane; i vecchi comunisti
all’osteria hanno ormai fatto il loro tempo (visto che il romanzo
sembra ambientato tra gli anni ’90 e i primi 2000); la stessa cosa
si può dire dei quattro notabili mantellati, che sembrano
spadroneggiare in stile feudale.
In realtà proprio questo sembra
essere il cuore della narrazione: il racconto di una terra in cui il
tempo è andato avanti per conto suo, lasciandosi dietro tutti gli
abitanti, invischiati in tradizioni passate o in anacronismi vari. È
proprio questo conflitto a degenerare in quella violenza animalesca e
ancestrale che permea tutti gli omicidi. In tutto ciò Irma Saldutti
viene vista come un’estranea, perché grazie alla sua fuga
bolognese è riuscita a “salvarsi” dalla maledizione che sembra
attanagliare chi invece è rimasto. È diventata estranea, e quindi
nel momento di difficoltà della comunità, come quello degli omicidi
in serie, deve andarsene, per non incrinare con la sua presenza un
mondo che altrimenti sarebbe in sé perfettamente coerente.
Se volete sapere com’è oggi il
Friuli questo bel romanzo può aiutare o non aiutare, ma basta
ricordare che dopotutto si tratta di letteratura, e che la
letteratura, per quanto ispirata, non è quasi mai la realtà.
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