Jean-Claude Juncker è presidente della Commissione Europea dal 1 novembre 2014. Ma chi è l’uomo che sta dando grande centralità alla Commissione nel dibattito politico? Entrato nel parlamento lussemburghese a soli 28 anni tra le file del Partito Popolare Cristiano Sociale, da allora la sua carriera è stata in continua ascesa. Diventato Primo Ministro per la prima volta nel 1995, ha guidato il Lussemburgo per quasi vent’anni. Nel 2005 è stato eletto Presidente dell’Eurogruppo, istituzione che unisce i ministri delle Finanze della zona Euro e che ha guidato fino al 2013, essendo quindi in prima linea durante il grande periodo di crisi che ha sconvolto l’Europa. Se il 2013 sembrava l’anno conclusivo per la carriera di questo veterano della politica in seguito alla fine del mandato come presidente dell’Eurogruppo, alle dimissioni da Primo Ministro e allo scandalo riguardante i servizi di intelligence lussemburghesi, il 2014 è stato un anno di svolta. Come l’araba fenice che risorge dalle proprie ceneri, Juncker il 15 luglio 2014 è stato eletto dal Parlamento Europeo successore di José Manuel Barroso alla presidenza della Commissione Europea (CE).
Jean-Claude Juncker | Fonte: scmp.com |
Certo non è passato molto tempo dall’insediamento della nuova Commissione, ma si può già fare un bilancio sul percorso intrapreso da Juncker. Innanzitutto, il neo Presidente ha optato per un cambiamento sul piano istituzionale, reso possibile anche dal fatto che Juncker ha una maggiore legittimità politica rispetto ai suoi predecessori. Quest’ultima deriva dal Trattato di Lisbona, che prevede che il Consiglio Europeo debba proporre un candidato alla presidenza della CE tenendo conto dei risultati delle elezioni del Parlamento Europeo. Il Parlamento ha poi deciso di interpretare questa disposizione dichiarando che il Presidente della CE sarebbe dovuto essere lo Spitzenkandidat del partito vincente, che in questa tornata elettorale era appunto il Partito Popolare Europeo.
Cos’è cambiato quindi all’interno della Commissione? Se prima c’era una struttura orizzontale, con ogni commissario a capo di un DG (directorate-general, i dipartimenti che coprono le diverse politiche dell’UE), ora si è preferita una struttura verticale. Juncker ha creato una sorta di “gabinetto”, con un gruppo di vicepresidenti (per l’esattezza un “primo” vicepresidente, Frans Timmermans, e sei vicepresidenti, compresa Federica Mogherini) che coordinano aree tematiche, ai quali i commissari non vicepresidenti devono fare riferimento. Juncker è riuscito, pur mantenendo i 28 commissari, ad eliminare alcuni DG e a dare una struttura alla Commissione che dovrebbe renderla più pronta a rispondere repentinamente alle esigenze dell’UE. Il Presidente non si è fermato qui e ha voluto osare, scegliendo come membri del suo “gabinetto” solo rappresentanti di Paesi piccoli, tranne l’Italia ovviamente. Juncker sembra voler dimostrare che la Commissione è veramente il cuore pulsante del metodo comunitario, mettendo i “piccoli” in prima linea perché ciò che conta non è chi sta al vertice ma la collaborazione tra tutti gli stati.
Analizzata questa parte prettamente tecnica, passiamo ora ai fatti. I valori chiave di Juncker sono: leadership efficiente, solidarietà tra i popoli e le nazioni e una forte visione del futuro. Riguardo all’efficienza della leadership si è già detto sopra, riguardo alla solidarietà tra i popoli…ci si può anche provare, ma se poi gli stati membri continuano a essere restii e ad adottare la politica del “ciascuno faccia da sé” c’è poco da fare. Esempio emblematico la proposta della Commissione sulla questione della ricollocazione dei migranti tra gli stati UE, che ha creato parecchi malumori (si è parlato di quote e di un'operazione militare). “L’Ue è stata giudicata negativamente in passato per non avere fatto nulla o non avere fatto abbastanza”, sottolinea il commissario all’Immigrazione Avramopoulos. Ora, “in soli cinque mesi siamo riusciti a scrivere e iniziare la procedura per adottare una politica Ue sull’immigrazione. Per una volta non si può accusare la Commissione di avere preferito l’inerzia”. Non si può che dare ragione ad Avramopoulos, vedremo se il 16 giugno i ministri dell’interno (voto a maggioranza qualificata) sapranno cogliere la palla al balzo, riuscendo a mettere da parte gli interessi nazionali e a fare proprio il principio di solidarietà.
E per quanto riguarda la visione del futuro? Juncker sembrava avere le idee chiare quando ormai sette mesi fa annunciò l’urgenza di una svolta nella politica economica dell’unione con l’avvio di un programma d’investimenti da 315 miliardi nel triennio 2015-2017. Se questa notizia, vista come l’attesa inversione di rotta dopo il lungo periodo all’insegna dell’austerity, è stata accolta da tutti con molto entusiasmo, ci si è subito accorti di quanto fosse fin troppo ambiziosa. Ma proprio ora che il piano sembrava essere quasi sparito dall’agenda europea, sembrano esserci stati significativi progressi. Il 28 maggio, i legislatori dell’UE hanno raggiunto un accordo sul regolamento relativo al Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS), il fulcro del piano di investimenti per l’Europa. Il Fondo, secondo quanto affermato dalla CE, potrà entrare in funzione alla fine dell’estate. L’esecutivo europeo, rappresentato dai vicepresidenti Kristalina Georgieva e Jyrki Katainen, ha avuto il ruolo di mediatore dell’intero negoziato con il Parlamento europeo e il Consiglio. I colegislatori hanno raggiunto un accordo sulle ultime questioni in sospeso, tra cui le dotazioni di bilancio per il Fondo di garanzia del FEIS. I ministri delle Finanze dovrebbero ora approvare il regolamento in sede di Consiglio ECOFIN il 19 giugno, e il voto del Parlamento europeo in seduta plenaria è previsto per il 24 giugno, per consentire al FEIS di essere operativo entro il mese di settembre. Il FEIS dovrà essere di almeno 21 miliardi di euro, di cui 5 miliardi a carico della Banca europea per gli investimenti (Bei), e 16 miliardi dal bilancio Ue. Se ciò possa essere sufficiente a mobilitare i 315 miliardi d’investimenti sarà il tempo a dirlo, anche se, volendo essere critici, in un paese sviluppato è difficile credere che ci possa essere un effetto trascinatore di capitali da 1 a 15. Ad ogni modo è troppo presto per trarre delle conclusioni sull’operato della Commissione, ma non si può negare che Juncker sia decisamente più carismatico e deciso ad agire del suo predecessore.
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