Sabato 30 maggio mi
trovavo a Trento per il festival dell'economia. Non essendo
esattamente un fine conoscitore della materia, appena ho notato nel
programma l'intervista di Lilli Gruber al presidente del consiglio
Matteo Renzi e al primo ministro francese Manuel Valls, mi ci sono
fiondato immediatamente, per sfuggire a incomprensibili modelli e
statistiche.
Si è parlato di tutto
ciò che concerne l'attualità politica europea, italiana, e in
minima parte, transalpina. Argomento tabù le elezioni regionali che
incombevano. Insomma, in parole povere, è stata un'edizione dal vivo
e prolungata di “otto e mezzo”, il programma di approfondimento
quotidiano condotto dalla Gruber su “la 7”. Renzi non ha perso
occasione per far bella mostra del suo umorismo toscano e delle sue
doti da intrattenitore di masse. Valls invece personalmente mi ha
stupito per carisma e decisione, non evitando mai di rispondere alle
domande, anche quelle più maliziose.
Matteo Renzi attento ad ascoltare Manuel Valls - Fonte: Ansa |
Gli elementi più
interessanti di questo incontro sono emersi, a mio avviso, nella
parte iniziale. Matteo Renzi e Manuel Valls si sono espressi sulla
loro idea di sinistra contemporanea. Idea totalmente condivisa dai
due che, al momento, rappresentano gli esponenti più di successo di
quel modo maggioritario e post-ideologico di concepire la sinistra,
lanciato sul finire del secolo scorso da Tony Blair in Gran Bretagna
e da Bill Clinton negli Stati Uniti. Il primo ministro francese ha,
per esempio, affermato senza mezzi termini che oggi “la sinistra
europea deve essere necessariamente riformista”. La parola d'ordine
per Valls è dunque “riformista”. E il nostro premier non poteva
fare altro che annuire compiaciuto, dato che la missione principale
del suo esecutivo ruota appunto attorno alle riforme. Riforme
all'interno dei singoli stati ma anche nell'Unione Europea, frenata
dall'eccessiva austerità. In questo contesto il compito delle
principali forze di centro sinistra, come il PS francese e il PD
italiano, consiste in definitiva nello stimolare una crescita
sostenibile nei propri paesi, supportata da politiche più espansive
a Bruxelles, e, contemporaneamente, ammodernare le istituzioni e il
sistema di welfare.
Sfatiamo un paio di miti
rispetto a questa presunta “sinistra riformista”.
Alexis Tsipras e Pablo Iglesias - Fonte: TheGuardian.com |
Sul fronte interno vale
più o meno lo stesso discorso. Riforme istituzionali come
l'abolizione del bicameralismo perfetto o di quell'aborto di sistema elettorale chiamato Porcellum erano da tempo in agenda come priorità,
reclamate da chiunque si ponesse come innovatore rispetto ad uno
status quo che ci ha portato vicino al baratro. Le avrebbero potute
pensare anche Oscar Giannino e Mario Monti, tanto per citare due nomi
di personalità non proprio di sinistra. Ora però Renzi, consapevole
di dover produrre in fretta risultati da vendere all'opinione
pubblica, non si vuole fermare, volgendo lo sguardo alla scuola, alla
pubblica amministrazione e magari infine alla giustizia. Ma ancora
investire (poco ma meglio che niente) nell'istruzione, rendere le
amministrazioni più efficienti e la giustizia più celere sono
iniziative sacrosante in Italia, a prescindere dal colore politico.
Come sembra prescindere dai partiti al governo nei paesi del vecchio
continente la liberalizzazione del mercato del lavoro e la congiunta
revisione degli ammortizzatori sociali. Si procede per imitazione di
un modello tedesco e, più in generale, nordeuropeo, che, pur nelle
sue contraddizioni, si è adattato meglio alle sfide poste dalla
competizione globale. Una sorta di mainstream di stampo neo-liberista
che fa storcere il naso per la sua precarietà ma che si presuppone
conduca alla drastica diminuzione della disoccupazione, una delle
maggiori criticità nell'eurozona. Insomma nulla di particolarmente
inedito. Si copia ciò che già esiste, con meno risorse da mettere
sul piatto e l'approssimazione di chi tedesco non è. Ancora di buon
senso anche se poco di sinistra sarebbe seguire le indicazioni
dell'economista Carlo Cottarelli sulla spending review e tagliare
l'imposizione fiscale sulle imprese in maniera significativa. Due
cose davvero “riformiste” ma che toccano interessi sensibili e tremendamente poco spendibili nelle
urne.
Ecco allora gettiamo la
maschera sulla “sinistra riformista”, svelandone la reale
identità. Secondo me sotto questa etichetta non si cela altro che
una politicamente legittima macchina per conquistare voti, un partito pigliatutto. Le
riforme, a livello nazionale e sovranazionale, per la loro natura
condivisa e, per lo più, condivisibile non distinguono una certa
sinistra dalla destra. E tutto sommato accomunano più di quanto si
possa immaginare anche centro-sinistra e sinistra radicale. L'unica
vera linea di confine che segnano è quella con i populismi dalle
semplici(stiche) risposte ad oltremodo complesse problematiche.
In conclusione la
sinistra di Renzi e Valls ha poco o nulla di particolarmente
riformista. Ma lungi da me demonizzarla in sé e per sé. Basterebbe
chiamarla per quello che è: una formazione nazionale di governo al
tempo di una crisi che di nazionale ha ben poco.
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