Era
tanto che non recensivo un disco nuovo.
Cioè,
era tanto che non recensivo una COSA nuova.
Non
troppo nuova, comunque, ma abbastanza nuova.
Qualche
sera fa sono stato a un mini festival prog organizzato da una specie
di taverna nella profonda provincia di Treviso, a Zero Branco. Dico
“mini” perché la dimensione della faccenda era ridotta: ma in
realtà era una superbomba. L’headliner era Fabio
Zuffanti con la sua ZBand
(e io trovo meraviglioso che suonassero a Zero Branco), una specie di
eminenza grigia (dico “una specie” perché in realtà tra gli
esperti del campo è piuttosto conosciuto, ma dato che ha fatto parte
dei Finisterre si ricorda più il lavoro del gruppo in sé del suo
nome) del progressive italiano dagli anni ’90 in poi, e attualmente
uno dei più raffinati autori post-prog: bassista e cantante, membro
dei Finisterre
e degli Hostsonaten,
fondatore dei Maschera di
Cera e anche scrittore
(recentemente). L’ho anche citato nella recensione dell’ultimo
degli Elii qui, tempo fa.
In
apertura c’erano i miei amici Quarto Vuoto, di Treviso, che ho
inserito con la loro opera prima al secondo posto nella mia classifica sui 5 migliori dischi del 2014, che suonano un post-prog in cui
le influenze del progressive sia classico che moderno sono chiare ma
non ne intaccano l’identità e la personalità (hanno anche un
cantante che sa cantare, diversamente da una larga porzione del prog
italiano).
In
mezzo c’era IL DELIRIO
PIU’ ASSOLUTO
ovvero
i feat. Esserelà! Già amici di The Bottom Up dai tempi del primo evento organizzato da noi a Bologna, in cui suonarono.
Intendiamoci:
con tutto il bene, non fanno musica particolarmente innovativa. Si
sente molto Zappa, e ciò è bene, si sente un po’ dei Genesis di
Duke (soprattutto su “No ()”), si sente (anche se penso sia
assolutamente non voluto) LMR, ovvero il progetto di Tony Levin (dei
King Crimson), Marco Minnemann e Jordan Rudess (dei Dream Theater), e
già visti i paragoni direi che, pur sentendosi molto chiaramente, le
influenze sono di tutto rispetto.
Fine
dei lati negativi.
Il
punto è che il trio è assolutamente
divertente. E non
intendo divertente tipo
“cacca”
“ahahahahaha”,
intendo
divertente tipo “inizio
a ballare e non mi fermo più”.
Il
trio regge il palco notevolmente, con un tessuto sonoro meraviglioso
e spesso (nel senso di spessore, non nel senso di tante volte nel
tempo), dove chitarra, tastiera (predominante) e batteria (già,
niente basso: e, cosa ancora più stupefacente, non se ne sente
affatto la mancanza) si incastrano a creare un colorato collage
funkeggiante senza diventare ridondanti o seriosi. In pratica,
riescono a far fluire nel pubblico tutto il divertimento che c’è
sul palco, nelle loro dita, corde, tasti e bacchette.
Ma
veniamo alla ragione per cui ho deciso di recensire questo disco:
IL
MIGLIOR TITOLO DEGLI ULTIMI VENTICINQUE ANNI.
“Tuorl”.
Capito?
Ve
lo spiego.
È
un album.
Capito?
“album”…
“Tuorl”.
E i titoli delle canzoni sono tutti dei meravigliosi e divertentissimi nonsense.
“Don't leave your dinosauri at home”, “Canguros de la ventana”,
“Stichituffelpa rampa eserelà tum perugià”, tra gli altri.
I
feat. Esserelà sono grandiosi
perché riescono a raccontare
delle storie nuove,
anche se sono storie da un mondo folle e stupefacente, pur
utilizzando un linguaggio (il genere che fanno, qualunque esso sia)
che nuovo non è.
Bene,
bravi, Bisio, come dicevano quelli.
Guglielmo
De Monte
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