The Bottonomics - Dura lex sed lex: la vittoria dei tassisti nella vicenda Uber

Quanto ci piace il corporativismo eh


“Legge e buon senso prevalgono”. Così parlò Lupi. Un tweet per tutti e per nessuno. Ok, basta a scimmiottare Nietzsche e andiamo al punto. Il fatto è la sentenza dell’altro giorno del Tribunale di Milano che ha bloccato l’app di carpooling più amata dai milanesi (e non solo). Naturalmente, sto parlando di Uber, che in sostanza permette a chiunque, con la nuova versione Uber Pop, di improvvisarsi tassista. I prezzi sono stracciati e il consumatore è in estasi. Con la sentenza, la battaglia dei taxi ha ora vincitori e vinti. I vincitori sono i tassisti di professione. Già, i nostri amici a quattro ruote, quelli che si stracciano le vesti ad ogni tentativo di liberalizzazione (Bersani mi manchi) e che hanno iniziato ad esultare non appena la sentenza è stata pronunciata. Al coro, poi, si è accodato il Ministro dei Trasporti Maurizio Lupi. Per la serie “don’t touch my lobby”.  I vinti sono i consumatori, che vengono privati di un servizio economico e a portata di smartphone. Praticamente la sentenza annienta l’unica cosa simpatica della libera concorrenza: il benessere del consumatore. Certo ora la cosa più facile, se non sei un tassista, è scagliarsi contro la magistratura e tanti saluti. Tuttavia, pare evidente che, se da un lato c’è un problema bello grosso di opportunità politica delle sentenze, dall’altro è difficile dare torto al giudice di Milano. Andiamo con ordine. Gli organi giudiziari, in quanto a buon senso e opportunità politica, ultimamente non ne stanno acchiappando una. In effetti, la sentenza sulle pensioni prima e quella Uber poi, avrebbero potuto aprire la strada ad innovazioni, o per lo meno fungere da monito per spingere a cambiare il sistema italiano che è più immobile di Mexes. Quindi, a mio avviso, un concorso di colpa per la magistratura c’è eccome. Tuttavia, quello che fa il giudice è interpretare la legge e allo stato dei fatti non ha sbagliato troppo. Almeno per quanto riguarda la sentenza Uber, pare difficile contrastare l’assunto per cui Uber Pop entrasse nel mercato attraverso un sistema di concorrenza sleale. Infatti, Uber si pone(va) in una posizione di vantaggio sia dal punto di vista fiscale, che dal punto di vista della sicurezza. Fiscalmente perchè i tassisti non professionisti di Uber Pop non rilasciano alcuna ricevuta: il consumatore paga con carta di credito direttamente nella app e poi la società Uber provvede a rimborsare le spese al conducente. Ma siamo sicuri che si tratti di mero rimborso spese e non di reddito tassabile? Qualche dubbio c’è. L’altro problema è quello degli standard di sicurezza, che appaiono pressochè nulli per gli autisti non professionisti di Uber. Quindi, ripeto, difficile dare torto al giudice. Certo, sarebbe stato bello leggere una sentenza che, anzichè assoggetarsi allo status quo, spingeva per la regolamentazione del sistema di car pooling, viste le potenzialità benefiche della sharing economy. Vabbè, concorso di colpa. E il grosso della colpa? Evitando terminologie grilleggianti, qui la colpa è del legislatore. Di quel legislatore che – come molti imprenditori, ma questa è un’altra storia – è liberista col mercato degli altri. Di quel legislatore che – vedi twett di Lupi – esulta al fianco della lobby dei tassisti. Di quel legislatore che da anni parla di liberalizzazioni e ancora nel 2015 ci troviamo davanti gli occhi quell’economia corporativista nata durante il fascismo. A quanto pare l’Autorità dei Trasporti a breve si esprimerà sulla vicenda e la speranza è che da lì venga una spinta alla regolamentazione che lasci spazio all’innovazione e non si faccia custode ultima dello status quo. Poi certo, la questione sarebbe anche europea, ma intanto, per una volta, iniziamo noi. Per ora, io sto con il consumatore e, in fondo in fondo, anche con Uber.

Roberto Tubaldi
@RobertoTubaldi

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