Jeb e George W. Bush | Fonte: cnn.com |
“Suo fratello ha creato l’IS”. Questa è stata la pacata pacata affermazione con la quale una studentessa dell’Università del Nevada ha deciso di rivolgersi a Jeb Bush, candidato alle primarie repubblicane per le presidenziali del 2016. Il meccanismo che prevede come compito l’interpretazione della voce della coscienza del povero Jeb, riguardo al ricordargli: “ma ti ricordi di essere il fratello di…?” sembra fin troppo facile, come rubare una caramella al bambino. Difficile concentrarsi sui programmi elettorali, sul classico “cosa farei se fossi presidente”, se il tuo peccato originale sta nell’avere un fratello minore che ha interpretato il sogno della rivoluzione neo-conservatrice nel mondo, l’alfiere principale della “guerra globale al terrore”, degli “Stati Uniti al centro del villaggio”, a mettere in riga i super cattivi della terra, a colpi di invasioni e democrazia. Ai tempi dello Stato Islamico, poi, e del ritorno degli USA in Iraq a 12 anni dal disastro con cui il paese mediorientale venne lanciato verso il baratro, le scellerate scelte politiche di George sembrano ora riversarsi sull’ex governatore della Florida. Lo Stato Islamico del sedicente Califfo Al-Baghdadi (E’ vivo? E’ morto?) è visto a distanza di anni come il risultato finale che quella guerra contro Saddam Hussein, contro le armi di distruzione di massa, contro tutto ciò che fomentava terrorismo e autoritarismo, ha partorito. Prima ancora della studentessa, ci avevano pensato personalità più illustri e appartenenti allo Star-System americano ad esprimere il loro punto di vista su IS e George Bush: Sean Penn aveva pubblicamente ringraziato Bush e il suo ex vice-presidente Dick Cheney per la creazione dello Stato Islamico durante il talk show “Conan”.
Come ha reagito a tutti questi attacchi Jeb? Con dichiarazioni che hanno lasciato molti abbastanza confusi e disorientati riguardo il suo reale pensiero. L’origine della discordia starebbe nella risposta “Si, l’avrei fatto” ad un giornalista di Fox News (non esattamente un network sovversivo comunista) che gli chiedeva se avrebbe autorizzato l’invasione alla luce delle informazioni che oggi noi possediamo circa quella guerra. Al di la del malinteso che può esserci stato riguardo l’affermazione del candidato repubblicano (probabilmente pensando “avrei autorizzato l’attacco in base alle informazioni di cui eravamo in possesso all’epoca”), nel punto cruciale Jeb sembra non essere riuscito a liberarsi della pesante ombra del fratello, delle sue scelte, e delle conseguenze che in questo momento stiamo pagando caro. Nonostante Jeb non sembri essere George (Dio ce ne scampi!), sembra però aver apprezzato molte figure che facevano parte del gotha neo-con che dirigeva la politica estera americana durante gli anni d’oro della guerra globale al terrore e della lezione di libertà impartita alle canaglie incapaci di godersi la libertà e la democrazia. Tanto da averle inserite nello staff che coordina la campagna per le primarie. L’esempio in questione è niente di meno che Paul Wolfowitz, l’ex sottosegretario alla Difesa che insieme a Chiney e Bush contribuì a mettere in piedi uno dei più grandi inganni di tutti i tempi: Saddam Hussein che possedeva potentissime e pericolosissime armi di distruzione di massa in grado di colpire i paesi del mondo libero.
Il dibattito attorno alla guerra in Iraq, alle sue bugie, e alle conseguenze che nell’ultimo anno hanno generato, attraverso l’esplosione definitiva dello Stato Islamico, e del fallimento dell’entità statuale dell’Iraq post Saddam, un gran numero di dibattiti e discussioni. Jeb ha cercato di non indirizzare tutte le colpe del fallimento iracheno al fratello, puntando più il dito su informazioni errate che l’Intelligence statunitense aveva fornito all’Amministrazione dell’epoca delle informazioni false. Rimane abbastanza difficile credere che la presidenza più potente del mondo si sia bevuta un mare di frottole perché ingenua o male informata. Più facile pensare che la guerra in Iraq, come ha affermato l’economista Paul Krugman, non fu un errore innocente, ma un atto di guerra criminale, programmato sin dagli attentati dell’11 settembre e a cui serviva solamente un pretesto montato ad arte per attuarlo. Permettete dunque che l’affermazione di Jeb Bush faccia abbastanza ridere, ma faccia anche scattare un infinito senso di tristezza, sia che lo stia dicendo apposta per non colpire George e chi con lui aveva messo in piedi il teatrino, sia che lo dica in buona fede, convinto veramente che i poteri alti della politica americana non pressarono i vertici militari per diramare simili falsità. In questo caso sarebbe ancora più fastidioso, in quanto darebbe la dimostrazione di essere completamente fuori dalla realtà che lo circonda.
Gli Stati Uniti, e George W. Bush, hanno creato l’IS? Questa è una domanda da 1 milione di dollari, che rischierebbe di farci cadere nella più becera delle teorie del complotto americano/sionista/bildeberg/trilateral/blablabla. Sicuramente potremmo dire che l’invasione dell’Iraq ha creato una pentola a pressione azionata sin dai tempi del colonialismo e di scelte politiche delle ex potenze dominanti dell’area (Francia e Gran Bretagna) attuate attraverso accordi ben precisi. La disgregazione dello struttura statuale dell’Iraq ha avuto come conseguenza l’emergere di un caos che ha colto le truppe di occupazione americane completamente impreparate e che ha creato un vuoto di potere dove gruppi diversi, sostenuti dalle principali potenze regionali, si sono scontrate per il dominio sul Paese. La crescita del Gruppo Stato Islamico e di Al-Baghdadi sono state dovute alla debolezza del potere centrale di Baghdad e ad un’abilità nel combattimento e nella guerriglia, affinate anno dopo anno nelle fila della resistenza irachena all’esercito statunitense e ai suoi Alleati. Mettiamoci anche che molti amici dell’America hanno sostenuto economicamente e politicamente il gruppo estremista sunnita per tentare di rovesciare regimi autoritari non graditi ai più (leggasi Arabia Saudita con la Siria di Bashar Al Assad) ed il gioco è fatto. La stessa Washington aveva contribuito ad armare ed addestrare i Mujaheddin afghani nella guerriglia contro l’Unione Sovietica negli anni ’80, finendo così per creare lo zoccolo duro della futura Al-Qaeda. E anche lì sappiamo come andò a finire.
La linea adottata da Jeb Bush assomiglia di più a quella del classico scarica-barile: trovare un capro espiatorio da sacrificare, coprendo i veri colpevoli e cercando di chiudere le porte ad un dibattito serio e veritiero attraverso errori di interpretazione e personaggi influenti dello Staff che hanno creato un disastro e un mostro, con il quale oggi ci stiamo confrontando duramente.
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