Nel cinema non si butta via niente, le idee di un tempo spesso vengono rispolverate, lustrate e messe sullo schermo per portare in sala spettatori vecchi e nuovi. Spesso, però, la qualità di queste operazioni lascia a desiderare e si rischia di andare al cinema solo per effetto della nostalgia.
Il film di cui parliamo oggi, invece, è un dannato capolavoro.
Mad Max: Fury Road non è
semplicemente il remake della mitica trilogia action degli anni
Ottanta, è un elogio del caos, un tripudio di esplosioni e calamità
naturali con sottofondo di Giuseppe Verdi, un’opera matura e ben
orchestrata, insomma, la prova lampante che si può tornare sulle
buone idee del passato e rielaborarle alla luce di esperienze nuove.
George Miller ci catapulta in una
desolata terra post-apocalittica, nella quale non esiste praticamente
più nulla del vecchio mondo e il potere è in mano a chi possiede
l’acqua: Immortan Joe, uno che è vestito come Darth Vader se
avesse assunto Skeletor come stilista e arredatore d’interni, uno
malvagio fino all’osso ma con dei princìpi a suo modo coerenti e
profondi.
A fronteggiare questo villain di
qualità c’è lui, Mad Max, un “uomo che fugge sia dai vivi che
dai morti”, tormentato da un passato oscuro che, tenetelo a mente,
non è raccontato nei precedenti episodi, e poi c’è una lei,
Furiosa, una donna forte e determinata, guerriera esperta e scaltra
che è il motore stesso dell’azione, non una semplice comprimaria.
Contro di loro un esercito di esaltati Figli di Guerra con un credo
misto di mitologia norrena e giapponese che sembra costruito sulle
ceneri della cultura pop pre-apocalisse.
Ho detto fin troppo, perché in questo
film si parla solo se è necessario: si guida, si spara, si esplode,
ma non si parla, non ci sono spiegoni da film fantasy o di
supereroi: le immagini e i rapidi scambi di battute sono sufficienti
a definire il contesto nel quale agiscono i personaggi, rapide
sequenze che spiazzano lo spettatore (per la loro mancanza di
spiegazione) lasciano intuire che nel mondo di Max c’è un oltre,
qualcosa che passa di sfuggita mentre si sfreccia per la Fury Road, e
che conferisce alla pellicola un senso di profondità che è la vera
sorpresa in una pellicola d’azione adrenalinica come questa.
George Miller arriva al successo nel
1979 con il primo capitolo della saga, uscito in Italia col titolo
Interceptor, un successo planetario confermato da due sequel
in cui, con l’aumentare del budget, diminuivano le “strade
lastricate” e scomparivano le tracce della nostra società, finché
con questo quarto capitolo a distanza di trent’anni dal precedente
(ma ambientato, ancora una volta, chissà quando rispetto a esso) non
sono rimasti che uomini e auto costruite con i rottami: per costruire
questo mondo selvaggio e desolato la CGI è stata largamente
utilizzata, tuttavia, ciò che vediamo non appare mai artificioso,
questo grazie ad una troupe con più di un migliaio di elementi tra
tecnici e stuntmen.
Come sempre, per i prodotti di
entertainment di largo consumo, si prevedono già due sequel e
diverse opere collaterali quali fumetti e un videogioco - tutto nel
cinema di oggi è fatto per generare quanto più profitto possibile. Tuttavia Mad Max è la prova che si può fare del cinema di buona
qualità anche in un prodotto di consumo.
Matteo Cutrì
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