Come in molti sanno, di
recente la corte costituzionale ha emesso una sentenza che boccia il
blocco dell'adeguamento all'inflazione delle pensioni dai 1443 euro
netti al mese in su, inserito nel pacchetto “Salva Italia”
dal governo Monti nel 2011. L'impatto sui conti pubblici della
restituzione totale della somma dovuto da parte dello stato è stato
inizialmente stimato in un buco di bilancio tra i 13 e i 19 miliardi,
poco compatibile con la disciplina fiscale impostaci dall'Unione
Europea. Nei giorni scorsi il Presidente del Consiglio Matteo Renzi e
i suoi collaboratori hanno cercato la soluzione più giusta e più
sostenibile possibile per rimborsare almeno alcuni dei
pensionati coinvolti dal pronunciamento della Consulta. Alla fine si è deciso di procedere attraverso la restituzione di un bonus "una tantum" per una platea che esclude 650mila pensionati che avrebbero potuto accedere al rimborso, ma che ricevono più di 3.200 euro lordi come pensione mensile. Il meccanismo è quello di una restituzione a scalare con il crescere del reddito pensionistico. La scelta del bonus una tantum e dell'esclusione di una parte di aventi diritto permette al Tesoro di limitare l'impatto della manovra sui conti pubblici.
Matteo Renzi e il Ministro Padoan in conferenza stampa // ilfattoquotidiano.it |
La sentenza ha scatenato molte critiche, riuscendo a suscitare la disapprovazione di economisti, esperti di politica e perfino giuristi, oltre che l'indignazione di una discreta fetta di opinione pubblica. I pronipoti di Adam Smith e Karl Marx hanno accusato la Corte di non attribuire benché minima importanza alla situazione finanziaria dello stato e di non prendere in considerazione a sufficienza le conseguenze delle loro decisioni. Personalità come l'ex premier Romano Prodi (non di certo uno sfrontato oppositore dello status quo istituzionale) hanno lamentato l'invasione di campo da parte dei giudici su una materia come la gestione delle risorse pubbliche, che dovrebbe essere di competenza esclusiva degli organi politici. Uno degli stessi giudici della corte costituzionale, Sabino Cassese, ha messo in discussione sul Corriere della Sera il tipo di sentenza, ritenendola eccessivamente vincolante per l'esecutivo. Infine molti cittadini suppongo si siano un po' corrucciati di fronte alla tutela di una fascia di persone che probabilmente non sono tra le più in difficoltà in questo momento.
Io vorrei però evidenziare una questione che prescinde dalla circostanza specifica: da diversi punti di vista noi viviamo in una realtà dei fatti chiaramente incostituzionale.
Esulando dal discorso dai toni vagamente complottistici sulla sovranità nazionale in mano ai “poteri forti” globali, sono in particolare i diritti economici e sociali disegnati nella nostre fonte di diritto primaria a non esistere più nella quotidianità. Pur non essendo un grande esegeta delle costituzione talvolta le contraddizioni sono inequivocabili. Contraddizioni tra una repubblica che dovrebbe “rimuovere gli ostacoli […] che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il peno sviluppo della persona umana” e una diseguaglianza galoppante. Contraddizioni tra uno stato che dovrebbe tutelare il lavoro “in tutte le sue forme” e che invece abdica alle leggi del mercato. Tra un presunto diritto ad una retribuzione “sufficiente ad assicurare a sé e alla propria famiglia un'esistenza libera e dignitosa”e forme di contratto precarie e sottopagate.
Qualcuno mi potrebbe ribattere che tanti elementi enunciati nella costituzione non erano, non sono e forse mai saranno, rispettati pedissequamente nella realtà. Beh, allora così il documento non diventa altro che una sorta di lista dei desideri, una serie di principi limite a cui si dovrebbe tendere nella costruzione di una società esemplare. Non mi pare che sia questa la funzione della Costituzione. La stessa Consulta serve a sanzionare le leggi e gli atti incostituzionali e non ad applaudire occasionalmente l'effettiva realizzazione delle norme nella prassi.
Quindi la realtà dei fatti non è costituzionale e dovrebbe teoricamente esserlo.
Ma anche la Costituzione è stata scritta in una realtà ben precisa e temporalmente lontana da noi. Una realtà appena uscita da una opprimente dittatura fascista e da una guerra devastante e mortifera. Una realtà che allo stesso tempo però offriva spazio di immaginazione (ed economico grazie anche al Piano Marshall statunitense) per realizzare una società equa, attraverso uno stato sociale ampio, ricompensando così tutti coloro che avevano pagato il prezzo del conflitto militare ed assicurando un futuro migliore alle nuove generazioni. Una realtà complicata ma sicuramente molto diversa da quella attuale, condizionata da un quadro politico, economico e sociale radicalmente mutato rispetto ad allora, tanto a livello domestico quanto a livello internazionale.
E questo è il rovescio della medaglia: una costituzione che non può che diventare sempre più datata. Ormai l'interpretazione ortodossa e letterale di alcuni dei suoi principi, invece di essere ritenuta inoppugnabile viene, con anche qualche ragione, contestata, con la motivazione che i nostri padri costituenti (che in fondo non erano altro che uomini e, soprattutto, politici) vivevano in un'altra epoca.
Tra difese aprioristiche della assoluta sacralità e inviolabilità del documento costituzionale e riformismi a tutti i costi la verità sta forse nel mezzo, come sempre. La Costituzione è fondamento necessario dei nostri valori e della nostra storia ma dovrebbe essere letta costantemente e senza preclusioni ideologiche alla luce degli sviluppi della società italiana. Per farla incontrare con una realtà completamente differente ed intrinsecamente in cambiamento.
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