“La democrazia distorta”, questo è il tema centrale del numero di maggio di Limes, la rivista italiana di geopolitica diretta da Lucio Caracciolo e da diversi anni un imprescindibile punto di riferimento per gli appassionati di politica internazionale.
Martedì 12 maggio ai Giardini Margherita si è parlato proprio di oligarchi, di falsi miti, di lobby e di rappresentatività durante la presentazione bolognese del nuovo numero del mensile che mette al centro della sua analisi la più grande e la più discussa democrazia del mondo: gli Stati Uniti d’America.
Dario Fabbri e Fabrizio Maronta, consiglieri e collaboratori di questo numero primaverile di Limes dal titolo “U.S Confidential”, insieme a Federico Petroni hanno spiegato alla vasta platea bolognese perché quella statunitense può essere definita una democrazia degli oligarchi e dunque una democrazia distorta.
Come primo punto bisogna ricordare che la democrazia americana è stata volutamente pensata dai padri fondatori con una rappresentatività per censo in modo da limitare il più possibile la democrazia diretta, oggi questo sistema democratico datato appare sempre più lontano agli elettori e sempre più “schizofrenico”. Fare politica, infatti, negli States è un vero lavoro e le campagne elettorali muovono ingenti capitali spesso pari ai PIL di paesi come la Nigeria. C’è bisogno di finanziatori dunque, di persone che decidano di investire parte dei loro proventi su un candidato e questi sono gli Oligarchi. I magnati statunitensi appartengono a tutti gli schieramenti politici, a diverse religioni tra quelle presenti nel paese e a svariate minoranze etniche, sono un gruppo ristretto di non più di 400 imprenditori che, finanziando i partiti e i leader politici, dettano, di fatto, l’agenda della politica statunitense.
Gli Oligarchi americani si stanno comprando il sistema politico americano, possono incidere sulla vittoria di un candidato o sulla sua ricandidatura come nel caso della Clinton attraverso sistemi più o meno flessibili di estinzione dei debiti. Perché anche in politica gli Stati Uniti funzionano con il sistema dei debiti che abbiamo imparato a conoscere nel campo sanitario e in quello universitario.
Gli Stati Uniti possono essere definiti una democrazia distorta anche per via del sistema di lobby che è un’attività legale ed altamente regolamentata ma che ci fa capire meglio come il sistema politico americano sia fortemente deviato. La società americana è nata su base volontaristica, da parte di coloni che hanno decidono di affrancarsi dalla madre patria creando così un sistema politico attivo e partecipato, diverso dal modello westfaliano europeo, ed il lobbismo trova le sue radici proprio in questo suo iperattivismo. Il lobbista porta interessi particolari al Congresso e cerca di creare una massa critica per generare una domanda di cambiamento, ma oggi più che mai il lobbismo è diventato il potere dei soldi e di chi con i soldi può influenzare le scelte politiche.
Gli osservatori di Limes, però, sottolineano un altro aspetto che incide nella distorsione del sistema americano ovvero le oligarchie delle grandi famiglie. Negli USA si sono create delle vere e proprie dinastie parlamentari che ricordano i casati nobiliari della vecchia Europa. Dai Kennedy ai Bush passando per i Clinton, quello che nasceva come un paese di parvenu e di self-made man invece sta sperimentando una distorsione in senso di vere e proprie monarchie famigliari. Tutto questo concorre nel distorcere la competizione elettorale, nella quale solo Barack Obama sembra essere stato il vero homo novus, e nello sfociare così in una competizione schizofrenica fatta di oligarchi che sostengono candidati che sono legati per vie più o meno dirette a storiche famiglie americane.
La distorsione della democrazia statunitense si riflette, come è facile immaginare, anche in politica estera; sono infatti i “megadonors” che portano il loro candidato a diventare presidente, insieme ai lobbisti che incidono nelle decisioni del Congresso e alle potenti famiglie politiche che incidono nelle scelte di alleanze internazionali o semplicemente sulle visioni del mondo Statunitense. Oggi, dopo due mandati targati Obama, possiamo concludere che la visione estera del presidente sia stata quella di creare un vero equilibrio di potenza in Medio Oriente senza sbilanciamenti pro Israele come in passato, nel contenere Cina e Russia con strumenti che prescindessero l’intervento armato e costruire buoni rapporti personali con il Leader indiano Modi. Il Congresso, invece, ha dimostrato di avere un visione più “d’antan” del ruolo che gli USA hanno nel mondo, di potenza imperiale minacciata dalla Cina vista ancora come paese comunista e dalla Russia e nell’impedire di creare veri e propri equilibri in Medio Oriente. Questo ci fa capire come il ruolo hollywoodiano del presidente americano visto come capo del mondo, uomo muscolare che tiene in mano le redini della politica internazionale sia stato ben ridimensionato in un sistema che si discosta dal vero modello democratico occidentale del quale, forse, noi europei siamo veramente gli unici rappresentanti.
Photo credits: Limes Club Bologna
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