In realtà anche i Lannister hanno comprato Swaps sui tassi dalla Iron Bank of Braavos |
Quando pronunci la parola “derivati”, il 99,9% delle persone inizia, nell’ordine, a guardarti storto, pensare a Giovanni Lindo Ferretti che urla “tifiamo rivolta”, mettersi la maschera di V per vendetta e scendere in piazza. L’altro 0,1% fa direttamente finta di non aver sentito. Se poi tirate fuori un discorso del genere durante un appuntamento galante - ma so che siete abbastanza svegli da non farlo - allora ciaone. Detto ciò, oggi The Bottonomics parlerà dei derivati più scomodi, ovvero quelli sul debito pubblico. Tra le altre cose, questi strumenti finanziari hanno regalato un triste momento di notorietà a Recanati, cittadina che diede i natali a Leopardi (e al sottoscritto), quando nel 2010 apparì un articolo sul Washington Post che raccontava come negli anni 2000 la giunta comunale avesse creato un discreto passivo utilizzando derivati sui tassi di interesse. Nelle settimane scorse i derivati sul debito pubblico sono tornati alla ribalta con un paio di inchieste giornalistiche (che trovate qui e qui). A quanto pare, il valore dei contratti derivati in capo alla Repubblica Italiana avrebbero un valore attuale (mark-to-market) negativo di quasi 43 miliardi di euro. Si tratta di un valore potenziale futuro (tra l’altro non messo a bilancio), però resta sempre una cifra enorme, il cui pagamento ha una probabilità maggiore di zero che si realizzi. Già a febbraio, il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) era stato chiamato a dare chiarimenti alla Commissione Finanze della Camera dei Deputati. Le audizioni hanno fatto emergere poco o nulla se non una scarsissima trasparenza nella gestione dei contratti e scuse piuttosto discutibili a giustificazione della posizione negativa attuale. Praticamente, il MEF ha comprato principalmente, a partire dal 1994, Interest Rate Swaps (IRS), ovvero contratti derivati in cui lo Stato paga un tasso di interesse fisso e la controparte paga un tasso variabile. Ciò ha, da un lato, un effetto stabilizzatore per lo Stato, che può programmare le spese future per gli interessi sul debito e, dall’altro, protegge l’Italia da un rialzo imprevisto dei tassi di interesse. In pratica con un IRS con tasso fisso al 5%, se i tassi di interesse sul mercato arrivassero, per assurdo, al 10%, l’Italia pagherebbe sempre il 5%. Quindi, in teoria, si può risparmiare. E questo è il ragionamento del MEF che, giustamente, considera tali derivati come un’assicurazione. La cosa meno convincente è quanto si legge sul sito del Ministero, in cui tengono a precisare come l’attuale mark-to-market negativo sia un valore potenziale e che “anche se si verificasse questa remota eventualità, occorre considerare che si tratta del costo di un servizio di copertura dal rischio e non di una perdita”. Con tutta sta sicurezza possiamo stare tranquilli, no? Eh mica tanto. Innanzi tutto, quando hai la posizione negativa in un derivato c’è comunque un flusso di cassa annuale da considerare. Poi, il funzionamento sopra descritto vale per un IRS semplice semplice, di quelli che ti spiegano all’Università alle prime lezioni quando di derivati non ne sai ancora nulla, ma probabilmente quelli che pesano sul nostro debito pubblico sono un po’ più complessi. Ad esempio, è noto che una clausola di estinzione anticipata, compresa in un IRS stipulato con Morgan Stanley, ci è costata qualche anno fa 2,5 miliardi. Il problema è che alla richiesta di visione di tali contratti, avanzata da alcuni deputati del Movimento 5 Stelle, il Tesoro ha risposto picche con una bella supercazzola come motivazione. Tutto ciò che abbiamo è un documento riassuntivo del “Portafogli Strumenti Derivati al 31 dicembre 2014”. Ora, sebbene il Ministero si sia apprestato a dire che “quella clausola [che ha richiesto il pagamento a favore di Morgan Stanley, ndr], risalente al 1994, era ed è unica e non esistono altri accordi quadro che contemplino una simile clausola di estinzione complessiva dei contratti”, nel documento riassuntivo si nota una tabella contenente “Contratti con clausole di estinzione anticipata con scadenza tra il 2015 e il 2038”. Quindi quella clausola non era un unicum?
Certo, i dubbi sui derivati di Stato non finiscono qui e, come è già stato detto altrove, non solo oltre ai derivati di copertura si utilizzano derivati di tipo speculativo (come le swaption, che il Direttore del Debito Pubblico ha giustificato come necessari per fare cassa), ma c’è anche una contabilizzazione anomala degli stessi IRS che pare introdurre nuovi tipi di derivati, di cui non si trova traccia in letteratura. Magia.
Allora, come si stanno chiedendo in molti, non sarebbe più facile fare completamente chiarezza sull’argomento, aprendosi alla completa trasparenza? Altrimenti, si rischia che quel 99,9%, di cui vi parlavo prima, faccia fatica a capire la sacrosanta valenza assicurativa di certi derivati, soprattutto per uno Stato come l’Italia con un debito pubblico enorme. Pubblicare sul sito del MEF una nota in cui sostanzialmente si dice “va tutto bene”, mi pare poco.
@RobertoTubaldi
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