Nelle intenzioni, questo articolo doveva parlare della stupefacente
capacità delle istituzioni dell’ Unione Europea di fare apparentemente di tutto
per peggiorare la propria reputazione nei confronti dei suoi cittadini.
Josè Manuel Barroso |
Le elezioni per il Parlamento dello scorso maggio, che hanno visto
l'affermazione di partiti euroscettici in gran parte del continente, sarebbero
dovute fungere da grande incentivo a Bruxelles al fine di sembrare più vicina
alla gente comune. Invece sono arrivati una serie di scivoloni impressionanti e
sconcertanti in questo senso. L’ultimo in ordine di tempo è rappresentato dalla
reazione inferocita del Presidente uscente della Commissione, Josè Manuel
Barroso, di fronte alla pubblicazione da parte del governo italiano della
lettera (confidenziale) in cui si chiedono chiarimenti riguardo allo
scostamento dell’ultima legge di stabilità con gli obbiettivi di bilancio
fissati nella scorsa finanziaria. Il Primo Ministro Matteo Renzi ha teso un
tranello all’Europa, sfidandola sul campo della trasparenza per poi
eventualmente presentarla come l’ennesimo nemico del suo esecutivo riformista.
Bruxelles ci è cascata. In pieno, oserei dire.
Già in altre circostanze comunque negli ultimi mesi la UE non ha
dimostrato grande impegno per svestirsi di quell’immagine di regno di
trattative oscure e accordi politici sottobanco che le viene additata dai suoi
detrattori. Dapprima attraverso la fin troppo lunga trattativa per la nomina di
Jean Claude Juncker come Presidente della Commissione, quando, teoricamente, la
carica gli doveva essere conferita automaticamente in quanto candidato
sostenuto dal partito di maggioranza del Parlamento. Poi è toccato decidere il
nuovo Presidente del Consiglio Europeo.
Tusk, Van Rompuy e Mogherini |
La scelta è ricaduta su Donald Tusk, ex
Primo Ministro polacco, fedele alleato della Germania e della Cancelliera
Angela Merkel. Poco è importato, in barba ad una certa meritocrazia, che il
signor Tusk non sappia una parola di francese e il suo inglese sia a dir poco
stentato. Cosa dire inoltre della conclamata pressione da parte di Socialisti e
Popolari sulla deputata lettone Iveta Grigule affinché lasciasse gli
euroscettici di EFDD (Europe of Freedom and Direct Democracy, il gruppo a cui
appartiene l’M5S tanto per intenderci), facendoli così perdere lo status (e i
fondi) di gruppo a Strasburgo? Nigel Farage è andato su tutte le furie e, con i
soliti toni coloriti, ha accusato il presidente dell’Eurocamera Schulz di
essere “più adatto a presiedere il parlamento di una repubblica delle banane”.
Anche le inedite audizioni dei candidati ai posti di membri della Commissione
di fronte agli eurodeputati, che servivano a dimostrare l’impegno da parte
della UE per ridurre il cosiddetto “deficit democratico”, si sono trasformate
in una sorta di ridicola partita a scacchi tra PSE e PPE. Ciò è stato evidente
soprattutto nel caso dell'ex ministro francese delle finanze di centro-sinistra
Pierre Moscovici, che era stato indicato da Juncker come “Commissario Europeo
per gli Affari Economici e per gli Affari Monetari”. Inizialmente Moscovici era
stato rimandato dalla maggioranza di centro-destra come monito per la
successiva audizione del falco finlandese Jyrki Katainen. Insomma, tutti giochi
di palazzo. In Italia, senza troppe esitazioni, li definiremmo “inciuci da
Prima Repubblica”.
Grillo e Farage |
Tuttavia, rovistando in qualche volume sul tema, mi sono reso conto che
la causa dell’attuale impopolarità del progetto d’integrazione europeo non è la
insufficienza di quella che, in termini tecnici, viene definita accountability.
Essa ci si è sempre stata. Anzi, è drasticamente diminuita nel tempo. Basti
pensare che solo nel 1979, ben ventidue anni dopo l’atto costitutivo della CEE
a Roma, si sono svolte le prime elezioni per il Parlamento Europeo. Prima il
processo di integrazione era totalmente gestito dalle élite politiche
continentali e i cittadini non avevano alcuna possibilità di esprimersi su di
esso, se non indirettamente. Inoltre bisogna sottolineare che una fetta
consistente dell’opinione pubblica continentale non è a conoscenza delle
intricate dinamiche organizzative e decisionali della UE. Dubito fortemente che
la casalinga di Voghera, l’operaio della Volkswagen di Wolfsburg e il
coltivatore di vini della Borgogna (perdonate l’uso massivo di stereotipi) si
siano interessati agli eventi descritti in precedenza. Quindi perché in questi
ultimi anni la fiducia nei confronti delle istituzioni di Bruxelles è calata
così vistosamente, anche in paesi fin dal principio considerati europeisti come
il nostro?
Vladimir Putin |
Per capirlo è necessario ricordare gli obbiettivi iniziali di questa
incredibile avventura politica che va avanti da più di mezzo secolo. Perché ci
siamo messi insieme? Solamente a causa del “ricatto” statunitense di non
fornirci gli aiuti previsti dal Piano Marshall? No, non solo. Abbiamo unito le
nostre forze per perseguire i due obbiettivi che hanno spinto tutti i piccoli
stati nella storia moderna a federarsi: sicurezza e prosperità. Oggi,
purtroppo, entrambi questi elementi nel nostro continente sono messi in
discussione. Da una parte il terrorismo islamico, prima con Al Qaeda e ora con
lo Stato Islamico, l’espansionismo russo sotto la guida del Presidente Putin e
i flussi di immigrazione dal Nord Africa e dal Medio Oriente fanno sentire i
cittadini europei vulnerabili ed indifesi, evocando paure che sembravano
dimenticate. Dall’altra, l’aumento della disoccupazione, la mancanza di
crescita sostanziale del PIL nei singoli stati membri e il progressivo
sgretolamento dei sistemi di tutele sociali inibiscono le aspettative
individuali di benessere economico. In poche parole, in Europa oggi ci si sente
più insicuri e più (relativamente) poveri. L’ insoddisfazione e le ansie della
popolazione si riversano dunque inevitabilmente sulle istituzioni nazionali e
sovrannazionali, che vengono inquadrate come responsabili, o quanto meno
passivi spettatori, di questi sviluppi. Ovviamente, non occorre essere degli
abili statisti per cavalcare l’onda di questo malcontento ed aumentare il proprio consenso elettorale (vedi Salvini).
Tuttavia per riconquistare la sicurezza e la prosperità e, di conseguenza,
i cuori dei propri cittadini, l’Unione Europea deve rappresentare un esempio
virtuoso di apertura, trasparenza, democrazia, efficienza, competenza e
coesione. Non è solo questione di forma e lo devono capire tutti, a partire dai
tecnocrati chiusi nei loro confortevoli grattacieli. È piuttosto un mezzo per
ridare slancio ad una costruzione che, altrimenti, rischia di cadere a pezzi.
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