“È un’illusione che
le foto si facciano con la macchina….
si fanno con gli occhi,
con il cuore, con la testa.”
Solitamente non mi occupo
di arte, mi limito a cercare musei e gallerie nelle città in cui mi
trovo, a scoprire le mostre più importanti, ad immergermi poi tra le
opere, soprattutto quando si tratta di fotografia. Il tutto
rigorosamente all'ultimo giorno disponibile, o quasi, per visitare
l'esposizione.
Perciò capita proprio di
rado che io possa parlare di una mostra prima della sua conclusione.
Tuttavia questa volta ho davanti un'occasione impossibile da non
cogliere. Dal 26 settembre e fino al 25 gennaio, l'Ara Pacis a Roma
ospiterà la più ampia retrospettiva mai realizzata dedicata al
maestro della fotografia francese Henri Cartier-Bresson. La mostra,
curata da Clément Chéroux, è stata presentata per la prima volta
la scorsa primavera presso il Centre Pompidou a Parigi in occasione
dei dieci anni dalla morte dell'artista. Il mosaico di opere,
disegni, film e stampe è stato assemblato per mettere in luce
l'evoluzione della vita e del lavoro dell'artista, svelando le mille
sfumature del fotografo del secolo.
Sarebbe facile
consigliare una visita alla mostra perché si tratta di
Cartier-Bresson, perché è stato il primo foto-reporter della
storia, perché, insieme alla sua inseparabile Leica, ha testimoniato
l'intero secolo breve.
Questa esposizione non si
può perdere perché è una passeggiata, un immenso periplo in
compagnia di uomo che ha saputo osservare gli uomini come pochi
altri. Per l' “occhio del secolo” non vi è distinzione tra il
viaggio e il racconto, tutto è un stile di vita, diremmo oggi, una
malattia direbbe l'altrettanto contagiato reporter Kyzard Kapuscinski
che scrive, nel suo capolavoro In viaggio con Erodoto, che “un
viaggio non inizia nel momento in cui partiamo né finisce nel
momento in cui raggiungiamo la meta. In realtà comincia molto prima
e non finisce mai, dato che il nastro dei ricordi continua a
scorrerci dentro anche dopo che ci siamo fermati. È il virus del
viaggio, malattia sostanzialmente incurabile.”
Visitare la mostra di
Cartier-Bresson è esattamente questo: intraprendere un viaggio. Un
viaggio che condurrà il visitatore in giro per tutti i continenti,
dall'Africa dei viaggi giovanili fissata nella pellicola in maniera
più che istintiva, fino all'Europa mediterranea, colta con estrema
sincerità. Sarà anche possibile stupirsi di fronte alle illusioni e
ai giochi visivi che il grande fotografo è stato capace di imprimere
sulla pellicola, risalenti al periodo, attorno al 1926, nel quale era
un assiduo frequentatore degli incontri parigini del gruppo dei surrealisti.
Passeggiando tra le sale sarà poi naturale essere colpiti dalla
maturazione politica dell'artista che, negli anni Trenta, si avvicinò
molto al comunismo, adottandone valori e messaggi che emergono
esplicitamente in alcune delle foto più intense dell'intera carriera
di Cartier-Bresson. E' stato un fotografo capace di essere ovunque. C'era in Spagna durante la guerra civile, a
Londra all'incoronazione di Giorgio VI, in India ai funerali di
Gandhi, in Cina ai tempi di Mao, in Russia così come a Cuba quando
quei Paesi sembrava esistessero solo nei discorsi dei potenti della
terra.
Soltanto dopo sceglierà
il fotoreportage: soltanto una fotografia, capace di esprimere una
situazione. “Noi fotografi non spieghiamo niente. Semplicemente
suggeriamo”, una vera e propria suggestione visiva che colpisce lo
spettatore coinvolgendolo e lasciando quella sottile necessità di
conoscere un briciolo di mondo e di storia in più di prima. Sempre
con un punto di vista originale, Cartier Bresson ha la capacità di
fermare il tempo, così come il passo sospeso del misterioso uomo con
bombetta in testa che salta una pozzanghera e sembra volare. Ma anche
il talento speciale di saper cogliere il lato umano della Storia,
come negli occhi dei bambini spagnoli durante la Guerra Civile che
giocano tra le macerie che diventano inconsapevoli cornici nelle
composizioni del Maestro.
Una mostra per
appassionati e per profani, tra le 500 opere esposte, tra fotografie,
filmati, ritagli di giornali, sarà impossibile non perdersi e non
farsi cullare dalla suggestione di un viaggiatore per passione che ha
fatto della fotografia la sua way of life. È una mostra dove si
sorride, si riflette, ci si stupisce e si esce con il dolce desiderio
di ricominciare da capo, di tornare alla prima sala e rivivere tutto
dal principio.
Angela Caporale
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