Straniero, io penso che noi siamo un animale domestico,
ed ammetto pure l’esistenza della caccia agli uomini
Platone, Sofista
E’ ripartita la caccia all’uomo. Questa volta prende il nome di Mos maiorum l’immensa operazione di polizia voluta da 25 paesi dell’area Schengen per combattere l’immigrazione “clandestina”. Ventimila poliziotti saranno impegnati a “identificare, fermare ed espellere” il più alto numero possibile di uomini e donne sprovvisti di quel maledetto foglio di carta. Questa operazione nasce come un’attività di “prevenzione, repressione e analisi” di un fenomeno sempre meno leggibile. La macchina “sovrana” europea vuole sapere per far fronte ad un vero e proprio vuoto di conoscenza reale del problema. “Dove e a che ora sono stati intercettati i clandestini. Eventualmente su quali mezzi di trasporto si trovavano. Quali nazionalità dichiarano. L’età, il sesso e quando è attraverso quale frontiera sono entrati in Europa». E ancora: «Bisogna specificare se i clandestini hanno esibito documenti falsi-falsificati di viaggio poi sequestrati. O se hanno chiesto asilo».
Stando a quanto si legge nel documento, gli obiettivi dell'operazione sono principalmente due: combattere le organizzazioni criminali che favoriscono l'immigrazione clandestina e ottenere informazioni sulle principali rotte migratorie. Fin dal principio, quindi, il documento associa in un unico binomio i concetti di immigrazione e criminalità, così da alimentare e offrire un terreno fertile alle politiche xenofobe che i singoli paesi dell'area Schengen stanno mettendo in atto.
Nella pratica Mos maiorum sarà una vera e propria “caccia al migrante illegale” istituzionalizzata. Verranno quindi sguinzagliati ventimila poliziotti per “controllare le principali rotte dell’immigrazione irregolare” e ridimensionare l’allarme clandestini. Tutti verranno schedati.
Come fa qualcuno ad essere illegale? Ecco che di fronte alla deriva xenofoba che si sta diffondendo a macchia d’olio in tutta Europa dobbiamo rivendicare, come un urlo di battaglia, che nessuno è illegale.
Appunto “Nessuno è illegale”, è molto più di uno slogan diffusosi con la campagna Kein mensh ist illegal, un’iniziativa di alto profilo dell’attivismo sui confini e sulle migrazioni. Dalla metà degli anni 70 quando i “boat people” dal Vietnam sono apparsi come per magia sull’orizzonte globale, è emersa una nuova figura sullo sfondo di profonde trasformazioni delle politiche di asilo e migratorie: il migrante illegale. Ecco che assistiamo all’illegalizzazione, se mi si passa il termine un po’ cacofonico, del migrante. È dunque facile vedere come questo “processo di illegalizzazione del migrante” altro non è che una violenta operazione di confinamento, tra inclusione ed esclusione, del soggetto migrante. Assistiamo ad una formidabile produzione legale di soggetti illegali. Ecco che il migrante “illegale” viene inventato dalle burocrazie statali e codificato nei rispettivi sistemi giuridici.
Ciò che caratterizza questa figura prodotta dal potere politico è il fatto che l’etichetta di illegalità si estende alla sua soggettività incarnata, ovvero alla sua persona, e non fa riferimento solamente a ciò che i sistemi giuridici tendono appunto ad etichettare come illegali, ovvero specifici atti o condotte.
La sfida è dunque non solo quella di contestare l’etichetta di illegalità attraverso la reazione ai pregiudizi, talvolta microscopici, che l’attraversano, ma anche quella di svelare e mettere radicalmente in discussione i meccanismi legali che hanno prodotto la figura del migrante illegale.
Quel che sorprende, almeno a mio avviso, è vedere come dietro il velo istituzionale di questa “grande operazione di prevenzione” si celi lo spettro inquietante del potere cinegetico, ovvero della caccia all’uomo.
Fin dall’alba dei tempi l’uomo si è sempre dilettato nella caccia di altri uomini; dalla caccia al “bue bipede” nella Grecia antica a quella degli schiavi fuggiaschi nelle piantagioni del sud degli Stati Uniti, passando per i pellerossa e i neri, fino ad arrivare alla caccia degli ebrei e degli immigrati. Insomma il potere ha fin dalle sue origini intessuto un legame strettissimo con la caccia. Le cacce all’uomo non sono dunque una novità ma hanno accompagnato la storia e le trasformazioni del potere politico. Oggi quel potere è andato progressivamente razionalizzandosi fissandosi negli apparati polizieschi moderni; la polizia, scrive Chamayou nel suo splendido libro Cacce all’uomo. Storia e filosofia del potere cinegetico, costituisce «l’istituzione venatoria, il braccio cacciatore dello Stato, incaricato per suo conto di braccare, arrestare e imprigionare». Corpi in movimento, elusivi e sfuggenti, piuttosto che soggetti di diritto: questi sono i “bersagli” della polizia. E non stupirà allora leggere in Balzac che «l’uomo della polizia prova tutte le emozioni del cacciatore».
Ma quali uomini sono “l’oggetto” della caccia? Il potere deve produrre uomini cacciabili, prede. Dunque, quali uomini? La caccia ha bisogno di tracciare confini tra gli esseri umani per sapere chi può essere cacciato e chi no. Gli “uomini cacciabili” abitano proprio quei confini: dagli “schiavi per natura” evocati da Aristotele fino ai migranti illegali bersagli delle politiche razziste le più becere.
Come non vedere, oggi, quello spettro della caccia all’uomo dietro la “straordinaria operazione europea anti-clandestini” che porterà ventimila poliziotti ad “identificare, fermare ed espellere” il maggior numero di persone illegali presenti sul suolo europeo?
La sottrazione dall’ordine e dalla legalità rende il soggetto migrante, costruito in quanto illegale, vulnerabile. Abbiamo visto come la produzione legale di soggetti illegali ci consente di svelare lo strettissimo legame che corre tra la sottrazione dalla legge e la caccia all’uomo e come questo pone il migrante “illegale” al centro dei rapporti predatori interumani.
Non dimentichiamoci però che la storia che intreccia potere e caccia è anche, e soprattutto, la storia delle lotte di resistenza contro assoggettamento e dominazione. E allora, attenzione a che le prede non diventino cacciatori rovesciando il rapporto predatorio.
Davide Cattarossi
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