Premessa personale: questo non è un sequel del mio articolo di più di un anno fa dal titolo “Sognando Tony Blair”. I seguiti delle opere prime non mi hanno mai appassionato. Sono, salvo rarissime eccezioni, peggiori degli originali. Quindi più che altro questo articolo intende essere un aggiornamento alla luce di eventi che si stanno svolgendo in questo momento e che non sarebbero stati nemmeno lontanamente immaginabili nell’estate del 2013, in cui Mattero Renzi era ancora un rampante sindaco di Firenze che ritentava l’assalto alla carica di segretario del Partito Democratico. Mi duole molto rovinare questa precisa (e vista a posteriori pure abbastanza lungimirante) doppia triade di somiglianze e differenze tra l’ex Primo Ministro laburista britannico e l’attuale Premier italiano, ma devo aggiungere una quarta analogia.
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Infatti Blair e Renzi sono accomunati da un’ulteriore elemento oltre le simpatie per i grandi gruppi industriali e finanziari, gli intenti di riformare radicalmente le istituzioni dei rispettivi paesi e la volontà di guidare i propri partiti al centro. Sono entrambi “politici di visione”. Nel senso che questi ultimi non si limitano ad essere efficienti amministratori e a tentare di vincere le successive elezioni. Ma hanno pure in mente un progetto omogeneo, un’idea articolata o, appunto, una “visione” riguardo alla direzione che devono intraprendere tanto le loro formazioni politiche quanto le nazioni che guidano.
I “politici di visione”, come Renzi e Blair, tendono ad esporre al pubblico questo loro modo di vedere la realtà in termini generali e vaghi. Tuttavia l’assenza di specificità è in parte anche un sottoprodotto della globalità dell’idea stessa. Questi leader carismatici (che hanno comunque poco a che fare con quelli di Max Weber) spesso non si sprecano a parlare di temi molto concreti o a dilungarsi sui dettagli di una policy. Preferiscono d’altra parte enunciare messaggi più generici o ricondurre problematiche circoscritte e contingenti alla loro strada maestra (post-)“ideologica”. Da qui spesso l’utilizzo di discorsi intrisi di retorica e particolarmente enfatici, all’apparenza privi di ogni sostanza. Insomma Renzi non cerca di spiegarci una riforma della legge elettorale, del senato o del mercato del lavoro. Alla medesima maniera Blair non provava a convincere i britannici della necessità di devolvere poteri alle regioni o dell’importanza di investire nell’istruzione. Loro tentano piuttosto di veicolare la loro visione della realtà, della società e, di conseguenza, della politica.
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Nonostante l’esistenza di questa idea complessiva non dipenda dalla sua effettiva realizzazione, una mancata o carente messa in pratica la può mettere in cattiva luce o, addirittura, far dubitare della sua stessa veridicità. Per tale fine un leader “di visione” (perdonate la ripetizione ossessiva del termine) deve circondarsi di persone altamente preparate sui temi specifici. Nel caso in cui sia pure un Capo di Governo tali soggetti dovrebbero essere rappresentati dai ministri e dagli stretti consiglieri. Il team dei governi targati “New Labour”, guidati da Tony Blair, era indubbiamente composto da personale di livello, a partire proprio dagli esperti di comunicazione. Spiccava poi il Cancelliere dello Scacchiere (l’equivalente del nostrano Ministro dell’Economia) Gordon Brown, che soprattutto nel suo primo mandato (1997-2001) ha sapientemente guidato l’economia britannica, mantenendo bassa la disoccupazione e incrementando la crescita. Sinceramente non mi sembra che la squadra di Matteo Renzi abbia ancora mostrato grandissime capacità di concretizzare gli input del Primo Ministro. Sia la riforma della legge elettorale che quella del senato appaiono un po’ raffazzonate; l’economia continua a ristagnare; la politica estera verso l’Unione Europea corre sul filo dell’ambiguità; il Jobs Act è ancora tutto da scoprire. Le attenuanti ci sono sempre ma qualcuno le responsabilità le deve pur condividere con l’ex sindaco di Firenze.
Inoltre i leader di “visione” sono poco inclini a fare i conti con la realtà. Sono invece più propensi a rinnovare continuamente il loro messaggio e ad attirare consenso, di cui si auto-alimentano, attraverso promesse non sempre realistiche. Tuttavia queste promesse si scontrano a volte contro degli ostacoli come, per esempio, i fattori economici. Non deve sorprendere quindi che il rapporto tra il “visionario” Tony Blair e il “pragmatico” Gordon Brown non sia mai stato facile, anche prescindendo dalle ambizioni individuali di queste due personalità politiche. Viene da chiedersi dunque come si svilupperà la relazione tra il nostro Presidente del Consiglio e Pier Carlo Padoan, attuale Ministro del Tesoro, economista di fama mondiale ed ex direttore esecutivo del Fondo Monetario Internazionale. Anche da questo punto di vista sono abbastanza pessimista. Temo infatti che l’assenza delle solide coperture finanziarie, richieste dalle riforme inserite da Renzi nella sua agenda, possa portare a delle frizioni tra i due. Mi pare che alcuni segnali in tal senso già si intravedano.
Detto ciò continuo ad essere molto rammaricato di aver ritoccato il mio articolo precedente. Tre è il numero perfetto. Senza scomodare l’ultraterreno si potrebbe fare riferimento alla filosofia di Hegel. Forse ho fatto l’ennesimo sequel scadente. Spero di attendere meno di un anno e mezzo per trovare la quarta differenza tra Blair e Renzi e pareggiare così i conti. Oddio ma poi sarà un altro sequel.
Ecco ci sto cascando pure io.
Valerio Vignoli
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