Fonte: europaquotidiano.it |
Il Sole 24 Ore, in un approfondito articolo
pubblicato il 24 settembre, illustra le
proposte al vaglio del governo Renzi, tutte concentrate sul forte sostegno agli stipendi dei lavoratori dipendenti
allo scopo di rilanciare i consumi, ormai stagnanti da tempo. Secondo il
quotidiano economico milanese il Governo punta a inserire nella legge di stabilità, che sarà presentata in parlamento il prossimo 10 Ottobre, un
provvedimento che prevede la liquidazione immediata della metà della quota del Tfr
accumulate dai lavoratori dipendenti, lasciando solo la restante parte alle
imprese. Questa ipotesi allo studio dei tecnici di “via
XX Settembre” non è di certo una svolta innovativa, ma rischia di essere l’ennesima
inaugurazione di una nave che doveva salpare anni fa e invece è ancora
ormeggiata. L’ultimo tentativo in ordine cronologico di
mettere mano al Tfr in Italia risale al Governo Berlusconi IV , per mano del
ministro dell’ economia Giulio Tremonti. L’impianto ad oggi vigente risale
perlopiù invece alla riforma del ministro Padoa-Schioppa (Governo Prodi II) nel 2007.
Fonte: ilsole24ore.com |
Interessante è passare velocemente in rassegna
le motivazioni dei sostenitori e dei detrattori di questa riforma. Coloro che vogliono mettere mano al Trattamento di Fine Rapporto sostengono che
esso sia uno strumento finanziario troppo rigido e rappresenti un anomalia nel panorama europeo, in
particolare per quel che riguarda la natura coatta dell’ accantonamento, la
quale non concede nessuna autonomia al lavoratore. Questa critica è certamente
fondata, ma elementi di flessibilità sono già previsti dalla normativa vigente.
Un esempio è la possibilità dopo 8 anni di servizio presso lo stesso datore di
lavoro di richiedere un anticipo sulla liquidazione del capitale fino al 70%
maturato per spese straordinarie.
Proprio qui sta un punto di rottura
importante tra il sistema attuale e la proposta di riforma del Governo.
Nell’idea del legislatore il Tfr ha sempre rappresentato un capitale accantonato negli anni per
affrontare in maniera serena gli anni del pensionamento (o in tempi di
precariato, la ricerca di un nuovo impiego), caratteristica particolarmente
importante in un paese come l’Italia con un sistema di welfare non
universalistico e squilibrato. La flessibilità attualmente concessa riguarda
solo la possibilità di finanziare investimenti
di medio-lungo periodo, quali sono ad esempio l’acquisto della prima
casa o l’istruzione superiore dei figli. Liquidandolo anticipatamente in rate
di piccoli importi il governo non nasconde di mirare a rilanciare i consumi,
volendo dilapidare così questo piccolo patrimonio individuale e lasciando i
lavoratori in balia della loro cronica miopia intertemporale, che probabilmente
li porterà a rinunciare ad una importante forma di assicurazione.
Altro aspetto positivo non trascurabile di un
eventuale ripresa dei consumi è l’aumento del gettito Iva per le casse dello
stato, che darebbe una boccata di ossigeno ai conti pubblici. Tuttavia anche
qui molti autorevoli economisti (tra cui
Daniele Fano su lavoce.info) evidenziano che il prezzo da pagare per i contribuenti
sarebbe molto alto. La liquidazione in busta paga del Tfr li assoggetterebbe
infatti al pagamento di un aliquota più alta su quella quota di reddito; si passerebbe
ad una aliquota rappresentante la media dei salari degli ultimi cinque anni
(dovuta al momento della liquidazione) all’aliquota marginale (certamente più
alta della precedente). Volente o nolente, si tratterebbe di un effettivo
dirottamento di debito pubblico verso il settore privato. Il tutto dando per
scontato che una quota rilevante di questo aumento di salario sia destinato ai
consumi e non al risparmio, cosa su cui i gli studi econometrici dell’Istat
sull’impatto degli 80 euro sul gettito iva portano a sollevare legittimi dubbi.
Fonte: ilfattoquotidiano.it |
“Last but not least”, questa riforma sarebbe realizzata a spese delle aziende con meno di 50 dipendenti, colpendo il cuore del tessuto industriale italiano. Esse infatti trattengono l’intero ammontare di Tfr fino alla cessazione del rapporto di lavoro, rendendolo così una importante fonte di finanziamento, spesso e volentieri, anche per le spese correnti.
Se la proposta andasse in porto, più del 97% delle aziende italiane (fonte CGIA di Mestre) si ritroverebbe ad affrontare un maggior costo del lavoro da un anno all’altro per un ammontare complessivo, secondo i dati diffusi da Unimpresa, di circa 5,5 miliardi di euro. Alla luce di ciò, è piuttosto facile prevedere quale posizione Confindustria prenderà in merito a questa ipotesi.
Diverso è il discorso per quel che riguarda le aziende sopra i 50 dipendenti, che a differenza dei loro competitori di taglia inferiore trattengono una quota minore di Tfr, continuando a destinare la restante parte alla gestione accentrata dei relativi fondi INPS. Esse risentirebbero molto meno di questa minore disponibilità di cassa, tuttavia a fronte di una riduzione di liquidità sul mercato finanziario italiano sarebbe più difficile reperire questi fondi in maniera diretta.
Se la proposta andasse in porto, più del 97% delle aziende italiane (fonte CGIA di Mestre) si ritroverebbe ad affrontare un maggior costo del lavoro da un anno all’altro per un ammontare complessivo, secondo i dati diffusi da Unimpresa, di circa 5,5 miliardi di euro. Alla luce di ciò, è piuttosto facile prevedere quale posizione Confindustria prenderà in merito a questa ipotesi.
Diverso è il discorso per quel che riguarda le aziende sopra i 50 dipendenti, che a differenza dei loro competitori di taglia inferiore trattengono una quota minore di Tfr, continuando a destinare la restante parte alla gestione accentrata dei relativi fondi INPS. Esse risentirebbero molto meno di questa minore disponibilità di cassa, tuttavia a fronte di una riduzione di liquidità sul mercato finanziario italiano sarebbe più difficile reperire questi fondi in maniera diretta.
Il dibattito è acceso in questi giorni e tutte
le parti sociali chiamate in causa dalla riforma prendono la loro legittima
posizione. Rimangono comunque molti dubbi nei confronti di questo
provvedimento. Anche i suoi detrattori, nell’eventualità di una sua adozione,
auspicano il suo inserimento in un contesto di complessivo ammodernamento del
sistema di welfare e di educazione finanziaria dei lavoratori, cosa alquanto
difficile da realizzare entro il prossimo
10 Ottobre.
Andrea Mangino
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