“Sono in guerra con la cravatta. Mai l’ho messa e mai la metterò”.
Sobrietà è la sua parola d’ordine, un modus vivendi che non è imposto né per convenienza né tantomeno per opportunismo, ma che è invece naturale, innato, da sempre con lui.
Josè Alberto “Pepe” Mujica Cordano è nato a Montevideo il 20 maggio del 1935 da Demetrio Mujica, di origine basche, e da Lucia Cordano, di famiglia ligure. Per molti è un eroe, per altri è invece un tipo stravagante, qualcuno lo vede come un radicale, altri ancora addirittura un populista.
Pepe Mujica ha, in ogni caso, fatto parlare sempre di sé.
Negli anni sessanta, durante la dittatura, aderisce al Movimiento de Liberaciòn Nacional, i cosiddetti Tuparamos, un gruppo armato di sinistra ispirato alla rivoluzione cubana con il compito e l’onore di combattere il regime uruguaiano.
Dopo il colpo di Stato militare, nei primi anni Settanta, Mujica viene incarcerato per quasi 14 anni, di cui due, in completo isolamento, in un pozzo sotterraneo.
“Peggio della solitudine c’è solo la morte. E quando si resta a lungo soli, come lo sono stato io, bisogna difendersi dalla pazzia. Mi hanno tenuto otto anni senza leggere un libro. Visto che avevo delle allucinazioni ho chiesto di avere dei volumi di scienza, chimica, fisica. Permettermi di studiare era per loro più conveniente di curare un pazzo. Si può dire che mi sono salvato grazie alle loro necessità economiche.”
Pepe non ha paura a raccontare le sofferenze che ha visto e vissuto, conscio della mortalità e dei limiti umani, il “nonno” degli uruguaiani ha sempre affrontato di petto le situazioni e gli ostacoli che gli si sono frapposti lungo il suo cammino e li ha accolti e sconfitti con la lucidità e la fame che ancora oggi lo contraddistinguono.
Nel 1985, una volta ristabilita la democrazia costituzionale, Pepe viene liberato grazie ad un’amnistia, così da poter riprendere la carriera politica interrotta dagli anni di prigionia. Nel 1994 è eletto deputato nella circoscrizione di Montevideo, nel 1999 senatore e il 1° marzo del 2005, dopo essersi sposato con la senatrice e leader storico del MPP Lucia Topolansky, diventa Ministro dell’Allevamento, all’uruguagia “Ministro de Ganaderia, Agricultura y Pesca”. Ricopre la carica fino al 2008 e, in questi tre anni di mandato, si contraddistingue per la sua popolarità grazie al carisma e alla vicinanza alla gente.
Resta fino al 2009 leader del raggruppamento politico “Movimento di Partecipazione Popolare”, settore maggioritario del Fronte Ampio, partito politico di sinistra fondato il 5 febbraio del 1971. Nel 2009 lascia appunto la guida del suo movimento per candidarsi alle elezioni presidenziali, ritenendo che il candidato dovesse rappresentare non un settore specifico, bensì la totalità del partito.
Il 25 ottobre dello stesso anno, al primo turno delle elezioni per la carica di Presidente, ottiene il 48% dei voti, contro il 29% di Luis Alberto Lacalle, leader del Partido Nacional. Il 29 novembre successivo, al ballottaggio, Mujica conquista il 52% delle preferenze, diventando così Presidente dell’Uruguay.
Entra ufficialmente in carica il 1° marzo 2010, e per prima cosa, decide di rinunciare ai privilegi dati dalla sua posizione per vivere in una modesta casa, o meglio fattoria, a Rincòn del Cerro, nella periferia di Montevideo.
Dei dodici mila dollari, stabiliti dalla legge e destinati al Presidente, ne dona il 90% a favore di organizzazioni non governative e a persone bisognose.
Ciò che gli rimane sono 1.500 dollari mensili, dato che “questi soldi mi devono bastare perché ci sono molti Uruguaiani che vivono con molto meno".
L’Uruguay è uno Stato che conta poco più di tre milioni di abitanti, è principalmente agricolo, e se non fosse per i due campionati del mondo di calcio vinti, soprattutto quello del 1950 in casa del Brasile, non sarebbe sulla bocca di tanti.
Pepe Mujica, facendo parlare di sé, è riuscito ad attirare l’attenzione anche sul proprio Paese, mettendo a conoscenza l’opinione pubblica dei problemi che da sempre lo affliggono. Da Presidente, Pepe, ha portato una profonda innovazione sui temi dei diritti civili, istituendo il matrimonio tra persone dello stesso sesso, legalizzando l’uso della cannabis dopo una lunga e difficile battaglia in parlamento.
Ha lottato contro gli sprechi del governo, dando per primo l’esempio, e ha introdotto un’interessante e ovviamente giusta campagna contro l’uso delle armi, molto diffuse in Uruguay e nell'intera America latina. Ha proposto che a chi avesse consegnato un fucile sarebbe stato dato o una bicicletta o un pc, quest’ultimi simboli della sensibilità alla natura, da sempre pallino del Presidente, e della tecnologia, fattore indispensabile nel mondo odierno.
Ma ci sono anche delle forti critiche nei confronti del suo operato.
La prima riguarda la pochezza fatta a livello socio-economico, con nessuna manovra fiscale ed economica degna di nota. Viene anche criticato per non aver contrastato fino in fondo le politiche liberiste dei precedenti governi, e di non aver attuato le minime, indispensabili e necessarie riforme strutturali che aveva paventato prima del suo insediamento al Palazzo del Governo.
Mujica si difende parlando di “umanizzazione del capitalismo”, escludendo così una strada economica, politica, sociale, filosofica e di vita totalmente differente da quella dei governi passati, perché “Yo no miro atras, pero no puedo imponer a los ciudadanos mi manera de ser.” In sostanza Mujica non guarda indietro, al passato, ma al tempo stesso non può e non vuole imporre il suo modo di essere ai cittadini. Sono frasi profonde, toccanti, non solo per l’effetto astratto che esse hanno dentro di loro, ma anche perché, pensandoci, corrispondo alla verità. Per una volta siamo davanti ad una dimostrazione, al fatto che qualcuno porti l’esempio, senza urlarlo e ventilarlo.
Mujica non disconosce la funzione positiva del capitalismo, sapendo che esso serve a produrre ricchezza, e quindi tasse, utili per i servizi di cui anche i poveri si avvantaggiano. Mujica ha deciso di tagliare gli sprechi, e per primo, si è tagliato lo stipendio, senza aspettare che qualcun altro lo facesse.
La sua idea guida presuppone che è comunque errato promettere la felicità per il futuro sacrificando la generazione del presente: occorre muoversi con una visione gradualista che abbia come obiettivo reale e immediato l'eudemonia, e cioè quello di riporre il bene nella felicità, piuttosto che un improbabile edonismo dove il bene è riposto nel piacere.
Alla BBC, in una recente intervista ha dichiarato: “Mi chiamano il presidente più povero, ma io non mi sento povero. I poveri sono coloro che lavorano solo per cercare di mantenere uno stile di vita costoso, e vogliono sempre di più. E’ una questione di libertà. Se non si dispone di molti beni allora non c’è bisogno di lavorare per tutta la vita come uno schiavo per sostenerli, e si ha più tempo per se stessi.”
Dire che Pepe Mujica sia un politico rivoluzionario non è semplice, anche perché oggi un politico può essere definito rivoluzionario nel caso in cui faccia solo il politico, e nient’altro, ma è innegabile che il suo stile sobrio, spartano e semplice abbia in sé un profondo senso di cambiamento, un esempio da seguire e soprattutto da rispettare.
Giacomo Bianchi
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