Lo scorso 12 ottobre, oltre sei milioni di boliviani sono stati chiamati alle urne per votare il loro Presidente. Le elezioni boliviane sono da sempre oggetto di studi molto approfonditi, e a differenza di molti altri Paesi, come ad esempio l’Italia, vengono prese sul serio.
Ci sono anche delle simpatiche particolarità: nel Paese, dal venerdì prima al lunedì dopo il voto si osserva un ‘periodo di riflessione’ di 72 ore, in cui oltre ad essere vietato ai candidati di apparire sui mezzi di comunicazione e fare comizi, è proibito il consumo e la vendita di alcool, portare armi da fuoco e coltelli, organizzare feste e riunioni. Il giorno delle elezioni è inoltre vietato circolare in auto e viaggiare in aereo (a meno che non si tratti di voli internazionali) e in autostrade.
19 ottobre 2014: con il 61% dei consensi, il leader e candidato del partito di sinistra “Movimento per il Socialismo” ha vinto le elezioni presidenziali in Bolivia per la terza volta consecutiva, sconfiggendo Samuel Doria Medina, esponente del partito di destra “Unità Democratica”.
La schiacciante vittoria di Evo Morales ha una spiegazione molto semplice: ha vinto perché il suo governo è stato il migliore della agitata storia della Bolivia. La natura delle promesse è che queste rimangano tali nonostante i cambiamenti che avvengono, e in questo caso “migliore” significa che ha fatto realtà della grande promessa, tante volte non realizzata di ogni democrazia, e cioè garantire il benessere materiale e spirituale delle grandi maggioranze nazionali, di quella eterogenea massa plebea oppressa, sfruttata e umiliata per secoli.
Non c'è alcuna esagerazione se si dice che Evo è lo spartiacque della storia boliviana; c'è una Bolivia prima del suo governo e un'altra, diversa e migliore, a partire dal suo arrivo al Palazzo Bruciato (sede del governo e del Capo del governo boliviani).
Juan Evo Morales Ayma, per tutti Evo Morales, è nato a Orinoca il 26 ottobre 1959, ed è il presidente della Bolivia dal 22 gennaio 2006. È il leader del movimento sindacale dei cocalero, i coltivatori di piante della coca di Perù e Bolivia.
Quando il governo boliviano, dietro la spinta americana, tentò di spostare le coltivazioni della coca dalla Provincia di Chapare, da sempre territorio adepto a questo tipo di coltura, i cocaleros si riunirono, con scopi rivoluzionari, in vere e proprie organizzazioni sindacali, alla guida delle quali c’era lui, il sindacalista arrivato poi al potere: Morales.
Come leader dei cocaleros venne eletto per la prima volta alla Camera dei Deputati nel 1997, raggiungendo il 70% dei consensi nel Dipartimento di Cochabamba, dove c’erano le più importanti coltivazioni di coca. Alla fine del 2001, Morales venne rimosso dal suo seggio nel Congresso Nazionale con il pretesto di un’accusa di terrorismo legata ad agitazioni contro la politica antidroga del governo allora in carica. Molti pensano che dietro a tutto questo ci fosse la sapiente e lunga mano americana, fatto sta che l’espulsione dal Congresso fu dichiarata anticostituzionale.
Il 27 giugno 2002 erano previste le elezioni presidenziali boliviane, e Morales presentò la sua candidatura come leader del MAS, il Movimento per il Socialismo, da lui stesso creato e fondato il 23 luglio 1987 a La Paz. Il Partito ha da sempre avuto l’obiettivo di rappresentare i diritti dei cocaleros e di opporsi ai governi borghesi che c’erano all’epoca della fondazione.
Il programma fonda i suoi punti principali sull’uguaglianza delle etnie presenti in Bolivia, sulla lotta alla corruzione all’interno delle istituzioni statali, sull’integrazione della Bolivia nel mondo moderno, sul riconoscimento del sacrificio della nazione boliviana nei confronti dell'Europa e del mondo durante la colonizzazione, sull’integrazione del patrimonio culturale e alimentare originale con quello europeo, sulla lotta al neoliberismo e sul rispetto dei basilari diritti umani. I principi ispiratori sono molti, ma secondo Morales “il peggior nemico dell'umanità è il capitalismo statunitense. È esso che provoca sollevazioni come la nostra, una ribellione contro un sistema, contro un modello neoliberale, che è la rappresentazione di un capitalismo selvaggio. Se il mondo intero non riconosce questa realtà, che gli stati nazionali non si occupano nemmeno in misura minima di provvedere a salute, istruzione e nutrimento, allora ogni giorno i più fondamentali diritti umani sono violati.”
Morales accettò di candidarsi come leader della sinistra nonostante le limitate risorse che il Movimento aveva, essendo sostanzialmente un partito minore. Ma la volontà, la tenacia e soprattutto una campagna elettorale a portata del cittadino lo portarono a sfiorare il 21% dei consensi, pochi in meno rispetto al partito che poi vinse le elezioni, e a sedersi all’opposizione. Il crescente malcontento popolare e le dimissioni forzate del Presidente in carica Sanchez de Lozada anticiparono le elezioni al dicembre 2005. Il 22 dello stesso mese, con il 54% dei consensi, Morales divenne il nuovo Presidente della Bolivia e il primo indigeno a guidare lo Stato boliviano, e proprio per questo motivo fu soprannominato “el Indio”.
Sin da subito sostenne la creazione di un'assemblea costituente in grado di trasformare il Paese. Ha proposto l'approvazione di una nuova legge sugli idrocarburi che garantisca il 50% dei relativi redditi alla Bolivia, ma il MAS si è mostrato incline alla completa nazionalizzazione del settore del gas e del petrolio. Morales ha così dovuto assumere una posizione a mezza via, e cioè da un lato sostenere la nazionalizzazione delle aziende del gas naturale, e dall’altro la cooperazione con stranieri in questo settore.
È stato più volte criticato, e forse a ragione (ma non per questo deve essere considerata una critica), di essere stato un fedele di Chavez, in particolare nell’appoggio al desiderio di quest’ultimo di formare il cosiddetto “Asse del Bene”, un accordo tra Cuba, Venezuela e Bolivia in totale disaccordo con l’Asse costituito da Washington e alleati, definito in contrapposizione “Asse del Male”.
Nel marzo del 2006, quattro mesi dopo esser diventato Presidente, el Indio ha promesso l’aumento del 50% del salario minimo, attuato nel febbraio del 2009 quando passò da 440 a 670 boliviani, la moneta corrente. Il governo Morales viene comunque accusato da più parti di aver realizzato una tipica politica populista, fatta di elargizioni di denaro pubblico alla popolazione, senza una reale politica, e senza un reale scopo di miglioramento o una sostanziale modifica strutturale dei servizi. Tale politica populista è accompagnata da un'intensa campagna pubblicitaria sui media nazionali, pubblici e privati. Per l'opposizione è controverso anche che la pensione di 200 boliviani mensili sia stata assegnata non più a 65, ma a 60 anni di età, dimenticando, però, che il popolo boliviano ha una vita media di 65 anni. La pensione, perciò, prima della vittoria di Morales, nella gran parte dei casi, non veniva goduta dai lavoratori, perché non vivevano abbastanza a lungo.
Il 1° maggio 2006, il presidente emanò un decreto che imponeva la nazionalizzazione di tutte le riserve di gas naturale, pronunciando le medesime parole: “lo stato riprende la proprietà, il possesso e il totale e assoluto controllo degli idrocarburi.”
El Indio mantenne quindi la sua promessa elettorale fatta durante le varie guerre del gas.
Lo scopo dichiarato della nazionalizzazione è quello di usare la ricchezza costituita dagli idrocarburi per sostenere le politiche sociali, ma secondo molti analisti la nazionalizzazione degli idrocarburi non ha dato gli effetti sperati. Gli analisti però, a volte, sbagliano.
La presidenza Morales ha portato a significativi miglioramenti in quasi tutti gli ambiti di vita boliviani, e questo può essere visto grazie alla combinazione di risultati economici molto significativi che gli hanno fornito le condizioni necessarie per costruire l'egemonia politica che ieri ha reso possibile la sua trascinante vittoria. Il PIL è passato da 9.525 milioni di dollari del 2005 a 30.381 nel 2013, e il PIL pro capite è balzato da 1.010 a 2.800 dollari negli stessi anni. La chiave di questa crescita senza precedenti nella storia boliviana si trova proprio nella nazionalizzazione degli idrocarburi che, come è già stato detto, è stata criticata e disprezzata in diverse parti del mondo.
Se nel passato la distribuzione della rendita del gas e del petrolio lasciava nelle mani delle multinazionali almeno l'82 per cento di quanto prodotto, mentre lo Stato incassava solo il restante 18 per cento, con Morales questa relazione si è rovesciata. Non sorprende quindi che un paese che aveva cronici e pesanti deficit nei conti fiscali abbia terminato l'anno 2013 con 14.430 milioni di dollari in riserve internazionali (contro i 1.714 milioni di cui disponeva nel 2005).
Con il risultato del 19 ottobre, Evo rimarrà nel Palazzo Bruciato fino al 2020, momento in cui il suo progetto di rifondazione avrà oltrepassato il punto di non ritorno. Alcuni dirigenti del suo partito non hanno nascosto il suo desiderio di cambiare la costituzione per poter essere rieletto in modo indefinito, come ha fatto l’ex presidente venezuelano Hugo Chavez.
Come abbiamo visto, la politica perseguita da Morales in questi anni è sempre stata rivoluzionaria, mutevole, ma mai ferma e conservatrice. Le cose belle della vita non sono le nostre certezze, ma i nostri cambiamenti, ma una certezza di Morales, l’unica cosa che è rimasta immobile, è il maglione a righe che indossa quotidianamente, un maglione tradizionale di lana d'alpaca che si chiama chompa. E’ un abito considerato elegante dagli indigeni boliviani, e fin dal suo primo viaggio diplomatico è diventato il suo simbolo ed è diventato di moda in tutta la Bolivia.
Molti direbbero che l’abito non fa il monaco, ma io preferisco vederla in modo diverso, e cioè che non bisogna mai giudicare un libro dalla sua copertina, anche se un maglione chompa fa sempre un indio.
Giacomo Bianchi
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