John Ellis è un uomo
d'affari ed politico statunitense nato nel 1953 nell'arida terra dei
cowboy, il Texas. Suo padre George è un discendente di una facoltosa
ed influente famiglia dell'aristocrazia finanziaria della costa est
che, al ritorno dal servizio militare durante la seconda guerra
mondiale, decise di accrescere il proprio patrimonio grazie ai
giacimenti petroliferi. John è il terzo di sei fratelli, il secondo
maschio dopo George Walker. Nel 1974 sposa Columba Garnica Gallo, che
ha avuto i suoi natali oltre la frontiera, a Leon, Messico. Per
questa ragione John parla correntemente lo spagnolo. Si convertirà
anche al cattolicesimo in seguito, per motivi elettorali più che
spirituali o sentimentali probabilmente. La coppia ha tre figli. La
sua carriera personale si sviluppa nell'afosa e vivace Miami,
Florida, dove si trasferisce con moglie al seguito. Con il supporto
del padre e di un socio milionario di origine cubana di nome Armando
Codina, si lancia nel settore immobiliare con cui ben presto accumula
ingenti capitali. Questa però è solo la rampa di lancio per John
che vuole candidarsi come governatore dello stato della Florida per
il Partito Repubblicano nel 1994. Il suo sfidante democratico è il
governatore in carica, tale Lawton Chiles. La campagna elettorale è
senza esclusione di colpi, la battaglia per i voti è serrata, John
fa una gaffe parlando ad una platea di afroamericani e perde la corsa
per una manciata di schede. Ci riprova nel 1998. Questa volta vince.
Viene poi riconfermato fino al 2007. A causa di una legge della
Florida che vieta più di due mandati consecutivi per la carica di
Governatore non si può più ricandidare. Torna perciò ai suoi
redditizi business.
Nessuno però lo conosce
negli Stati Uniti come John o John Ellis. Tutti invece lo conoscono
con un acronimo: Jeb. John Ellis Bush.
Ormai è qualcosa di più
che un rumour: il prossimo candidato repubblicano alla Casa Bianca
alle presidenziali del 2016 potrebbe essere un Bush. Un altro, il
terzo dopo le esperienze del padre George, schiacciato dall'eredità
ingombrante di Ronald Reagan e protagonista del collasso della
minaccia sovietica, e, più recentemente, del suo primogenito George
Walker, il comandante in capo risoluto e fiero tra le macerie di
Ground Zero ma anche il fautore truffaldino e sciagurato
dell'invasione all'Iraq di Saddam (ancora l'oro nero che spinge i
Bush nelle loro avventure e si intreccia ai loro destini).
In realtà era Jeb il
prescelto in famiglia. W. era considerato troppo impulsivo, irruento
e in passato aveva sperimentato il vizio dell'alcool. Jeb invece è
più pragmatico, brillante, freddo, carismatico. Qualità essenziali
per uno statista. Il padre aveva disegnato per lui un futuro
luminoso. La sua preferenza per il secondo maschio si è palesata nel
giorno in cui George vinceva in Texas e Jeb perdeva in Florida. “La
nostra Gioia è in Texas ma i nostri cuori sono in Florida”
dichiarò l’ex presidente USA dall’ ’88 al ’92. Sarebbe
dovuto essere quindi proprio Jeb a raccogliere la sua eredità
politica, la sua legacy e a continuare la dinastia (termine che se
associ ai Kennedy o ai Bush trasmette autorevolezza e tradizione ma
se lo associ ai Berlusconi assume una connotazione farsesca e
ridicola), non il fratello maggiore.
Il passato è passato
però. Il presente è una storia tutta da scrivere. La sfida delle
primarie repubblicane si avvicina. Il partito sembra essere molto
diviso e frammentato. In tanti potrebbero farsi avanti e partecipare
alla competizione interna il prossimo anno. Per lo più personalità
relativamente giovani, come Paul Ryan o Rand Paul, che tenteranno di
presentarsi come repubblicani di una nuova generazione. Ci sarà
anche Jeb Bush forse. Sì, perché alcuni dicono che sia ancora
indeciso. Ma i sondaggi lo vedono già tra i favoriti qualora
scendesse in campo. Realisticamente parlando,
quante chance ci sono di vedere un altro Bush candidato a guidare gli
Stati Uniti d'America, magari in uno scontro all'insegna di cognomi
pesanti contro Hilary Rodham Clinton, la moglie dell'uomo che ha
spodestato il padre vent'anni fa?Abbastanza ma non troppe
direi. Ci sono fattori che giocano a suo favore e altri contro.
Innanzitutto Jeb potrebbe
godere del supporto degli stessi finanziatori che sono stati vicini
prima al padre e poi al fratello e quindi mobilitare somme di denaro
inarrivabili per altri contendenti alle primarie. In secondo luogo,
l’ex governatore della Florida ha mantenuto profondi legami con
l’establishment del Partito Repubblicano e anche con le fazioni più
radicali vicine alla chiesa evangelica. Nonostante ciò è anche
percepito all’interno del Grand Old Party (come viene
soprannominata la formazione politica a cui appartenne anche Abramo
Lincoln tra gli altri) come un riformatore che potrebbe svecchiare
l’immagine del partito. Jeb potrebbe riconquistare il voto Latino
perso sotto l’amministrazione Obama, grazie alla credibilità che
si è costruito presso la comunità ispanica e alle sue posizioni
aperte in tema di immigrazione che lo distinguono dal mainstream
repubblicano. Infine potrebbe essere percepito sia dalla base che dai
vertici del partito come una sorta di federatore di una coalizione
conservatrice sempre più frastagliata e incapace di esprimere
talvolta una voce unica e coesa sui temi salienti di politica
domestica e internazionale.
Molteplici sono anche gli
elementi di criticità in una sua candidatura alle primarie. In primo
luogo la memoria degli errori compiuti da George W. forse è ancora
molto fresca, troppo fresca, nelle coscienze collettive dei cittadini
statunitensi. Due guerre estenuanti e concluse con una ritirata più
che una vittoria definitiva sul campo hanno messo alla prova il
proverbiale patriottismo americano e la loro fiducia nelle
istituzioni federali di Washington. Il cognome Bush potrebbe
risultare come uno svantaggio anche in un altro senso. In un’America
sempre più lacerata dalle disuguaglianze economiche e sociali, Jeb
potrebbe pagare a caro prezzo l’essere membro di una famiglia così
abbiente ed abituata a frequentare le stanze del potere della
capitale. Da questo punto di vista le critiche provengono anche dalla
frangia più estrema del suo schieramento, ovvero il movimento
populista e ultraconservatore del TEA party (TEA è acronimo
anch’esso e sta per Tax Enough Already in italiano “già
abbastanza tasse” oltre ad evocare il rovesciamento delle barche
piene di thè inglesi che ha dato avvio alla guerra d’indipendenza
nel 1773). Inoltre il suo riformismo attrae e stuzzica parte dei
repubblicani ma allo stesso tempo preoccupa chi teme l’abbandono
dell’elettorato medio repubblicano: bianco, tendenzialmente di
sesso maschile, cattolico praticante, residente negli stati centrali
o meridionali e privo di un alto livello di istruzione. C’è anche
chi lo accusa di non essersi esposto a sufficienza contro le riforme
di Obama negli ultimi anni, standosene in disparte.
In conclusione, sempre
nel caso in cui l’ex governatore decidesse di candidarsi alle
primarie, vedremo se aveva ragione il vecchio Bush Sr.. Verificheremo
con in nostri occhi se Jeb è davvero un predestinato ad essere un
grande leader o se si rivelerà soltanto un altro Bush.
Valerio Vignoli
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