The Bottonomics - Dopo l'ouzo, il baijiu: è esplosa la bolla finanziaria cinese

Quando ci riprenderemo dalla sbornia greca, ci sarà da pensare alla Cina. Tranquillo Salvini, non c’è in corso un'invasione di profughi cinesi. No, il problema sono i mercati finanziari dalle parti di Shanghai, crollati del 31% a partire dal 12 giugno scorso. Proprio ieri, mentre Tsipras citava Sofocle e tutti gli altri democratici erano pronti a condividere il discorso del liberale Verhofstadt, la borsa cinese perdeva il 6% e più di 1400 titoli (più di metà delle società quotate) venivano sospesi. Insomma, la bolla era scoppiata. Una bolla che aveva portato una crescita del 130% del listino azionario cinese a partire dal settembre 2014 fino ai primi di giugno di quest’anno. A quanto pare, il botto sarebbe dovuto, come spesso accade, alla vendita massiccia da parte degli investitori per paura che il momento di crescita fosse arrivato al culmine. Un timore introdotto nel mercato da un provvedimento restrittivo sulla margin finance, ovvero, per farla breve, quell’attività per cui si comprano titoli facendosi prestare denaro.

Una spiegazione interessante ce la fornisce Buttonwood, la famosa column dell’Economist, che richiama il lavoro del 1978 di Charles Kindleberger sulle crisi finanziarie, “Manias, Panics, and Crashes: A History of Financial Crises”. Secondo Kindleberger, la creazione e l’esplosione di bolle finanziarie sarebbe un processo suddiviso in cinque fasi: spostamento, boom, over-trading, repulsione, tranquillità. In sostanza, le crisi finanziarie seguono periodi di grande innovazione (tecnica o finanziaria), che creano nuove opportunità finanziarie per gli investitori, che l’autore chiama “displacements” (spostamenti) delle aspettative degli investitori. E la Cina ha seguito esattamente questo ciclo ed ora si trova nella quarta fase, quella della “repulsione”, che si traduce nella massiccia vendita di titoli. Infatti, quel +130% era stato trainato dall’indice tecnologico cinese, ChiNext, un po’ come successo nei primi anni 2000 con la bolla del dot-com.
E quindi, c’è da preoccuparsi? Io un minimo in ansia ci starei. Ora, la fine del mondo non è vicina, però se vacilla la Cina son dolori. Al di là di ciò, il caso cinese è piuttosto peculiare. In primo luogo, il peso del governo sui mercati è fortissimo. Un secondo dopo lo scoppio della bolla già era partito il “whatever it takes moment” cinese, con la promessa di misure per favorire la liquidità. Misure che secondo il Wall Street Journal sarebbero fallimentari, anche se le acque paiono essersi un po’ calmate, con i listini cinesi oggi già in ripresa. La seconda peculiarità è data dalla massiccia presenza di piccoli investitori, i così detti retail investors (o mom-and-pop investors), che rappresentano il 90% del tournover giornaliero, mentre nei mercati dei paesi sviluppati, la maggior parte degli investitori è istituzionale. Tale caratteristica rende i mercati della Repubblica Popolare molto volatili. Tuttavia, e qui ecco la terza peculiarità, il mercato azionario rappresenta una piccola parte dell’economia cinese (40% del PIL contro oltre il 100% segnato dai paesi ricchi) e degli investimenti delle famiglie (15%).

Dunque, da un lato, il mercato finanziario è piuttosto slegato dall’economia reale (che era in calo durante il boom e ora sembra essere in ripresa) e, dall’altro, il crollo non dovrebbe incidere troppo sui consumi. Detto ciò, l’effetto principale della fine dell’età dell’oro della finanza cinese sembra essere sulle materie prime, poichè gli investitori sono ora in cerca di liquidità. Settore già in difficoltà quello delle materie prime, visto il crollo dei prezzi che aveva seguito lo stop dell’economia cinese con un surplus della bilancia dei pagamenti generato non dalla crescita delle esportazioni, ma da un forte stop alle importazioni. Capite che lo stop alle importazioni, da parte di quella che è ormai considerata la prima economia mondiale, qualche problema lo crea. Quindi, sotto questo punto di vista, evviva le peculiarità dei mercati finanziari cinesi che, per ora, azzerano il rischio di contagio.

Roberto Tubaldi 
 @RobertoTubaldi

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