In
questi giorni di attesa del referendum del 5 luglio, la maggioranza
delle analisi è improntata sulle conseguenze economiche che potrebbe
avere Grexit sulla vita della Grecia. È normale, perché il popolo
greco è quello che più di ogni altro subirà sulla propria pelle le
conseguenze di questa eventuale decisione, ma denota ancora la
visione parziale e a breve termine di tutta questa Europa. Si discute
di pro e contro, si fa il tifo per Tsipras o per la Merkel, si vede
il referendum di domenica come ultimo baluardo democratico o come
offesa al concetto di rappresentanza, ma tutto è improntato
sull'idea che quello in discussione sia solo il destino della Grecia.
C'è molto di più invece, c'è l'Europa e i suoi valori fondanti in
discussione. Ci sono quasi settant'anni di faticosa ma condivisa
integrazione. Ci sono sfide mondiali e attori internazionali che
un'Europa che perde pezzi andrebbe ad affrontare come soggetto debole
e declinante. Per quanto possa apparire retorico e astratto, questo
discorso (espresso
anche da un padre dell'UE come Prodi, che non credo avrebbe
lasciato che si arrivasse a questo punto) è in realtà estremamente
pragmatico. Le conseguenze di un'uscita della Grecia sarebbero
devastanti e irreversibili, rischierebbero di essere il primo passo
verso il collasso di questo gigante malato chiamato Europa. Un'Unione
che non riesce a controllare le difficoltà di un paese tanto grande
dal punto di vista storico e culturale quanto minuto in termini
macroeconomici e geopolitici (11 milioni di abitanti, poco più della
Lombardia) è un bersaglio facile per un ISIS o per un Putin e un
soggetto debole e ricattabile per alleati (gli USA con i quali si sta
negoziando il cruciale TTIP) o concorrenti (BRICS o in generale tutti
i paesi emergenti ultra-competitivi) economici.
Il leader greco Alexis Tsipras ! Fonte: chicagotribune.com |
Prima
di Tsipras, che arriva dopo, tutti sappiamo i macroscopici errori e
le gestioni irresponsabili di chi ha governato la Grecia negli ultimi
decenni. Se vogliamo cercare dei responsabili bisogna partire da lì,
ma da un punto di vista europeo non ci si può limitare solo a
scaricare le colpe indifferenti su una nazione malgovernata. La
gestione generale della vicenda da parte dell'UE riflette una tragica
miopia oltre che una cronica mancanza di senso di appartenenza
comune. Difficile individuare un punto di partenza, ma tra tutti i
fattori che hanno portato a questo punto sceglierei come vero e
proprio inizio della fine la mancata adozione della Costituzione
Europea nel 2005. Il lungo percorso pluridecennale dell'Unione verso
l'integrazione era composto da diversi step: commerciale, doganale,
monetaria e infine politica. In quel 2005 è mancato il
raggiungimento dell'ultimo passo verso l'Unione come era stata
concepita. Tolta l'unione politica, tolta la possibilità di avere un
organo di governo sovranazionale, una politica estera comune eun
meccanismo salva-stati è rimasta un'Europa succube degli interessi
nazionali e dei loro Presidenti dotati di potere di veto, interessata
solo ad imporre vincoli economici e numeri sulla base di teorie
rivelatesi fallimentari (austerity) e priva di una visione politica.
In
questo contesto l'UE è arrivata totalmente impreparata alla crisi
economica del 2008/2009. A pagare è stato il suo membro più debole,
la Grecia lasciata sola nelle mani di strozzini, che hanno di fatto
imposto politiche che hanno portato ad una riduzione del PIL pro
capite del 25%, disoccupazione al 28% e vere e proprie crisi
umanitarie, inconcepibili in un continente come il nostro. Inoltre,
governi che hanno preceduto Syriza oltre che applicare questi tagli
indiscriminati non hanno saputo fare le riforme strutturali
necessarie, facendo anzi aumentare i problemi cronici del paese come
evasione fiscale e corruzione, allargando ulteriormente la forbice
tra ricchi e poveri. In tutto ciò, più della metà dei prestiti
generosamente elargiti da FMI e simili servono solamente a pagare gli
interessi sul debito, il che significa che i greci quei soldi che
sembravano così generosamente elargiti quasi non li hanno visti.
In
un paese sclerotico dove Tsipras è dipinto o come un pagliaccio
comunista (provo molta vergogna per la copertina di Panorama) o come
il nuovo salvatore del mondo, preferisco non aderire a nessun fronte.
La cosa che mi interessa e mi rincuora è che in questo lunghissimo e
mai cessato negoziato entrambe le parti sono abbastanza consapevoli
che Grexit sarebbe un danno enorme e forse insostenibile per entrambe
le parti. Tsipras lo sa, come premier è presto per valutarlo ma come
negoziatore ci sa decisamente fare. Comunque vada ha avuto il merito
di rendere evidente che l'Europa non può andare avanti in questa
maniera e di aver quantomeno provato a dare al suo paese un'altra
possibilità, senza lasciarlo morire lentamente dissanguato come
stavano facendo i suoi predecessori. Il referendum va letto
soprattutto in quest'ottica, è un'altra carta, decisamente
azzardata, che il premier ha provato a giocarsi; non è decisiva (le
condizioni del negoziato tra l'altro sono già cambiate), non
significa uscita dall'Euro immediata in caso di no o accettazione
supina delle condizioni in caso di si, non sarà l'ultimo baluardo
democratico contro le tirannie dei potenti ma avrà un forte
significato simbolico, che in caso di vittoria del no non potrà
essere ignorato a Bruxelles.
Nessun commento:
Posta un commento