Cosa
vi è successo questo venerdì 17? Gatti neri? Malocchio? Libagioni
di sale? Magari una bella apocalisse mattutina? Io sono fiera di
annunciare che non ho ceduto alla tentazione di spaventare mia nonna
aprendo ombrelli in casa o mostrandole fotografie dei cerchi nel
grano. Sono stata, inoltre, tanto matura e provvista di carità
cristiana da evitare di fare partire la musica rituale dell’ISIS durante la sua siesta pomeridiana, nonostante siano settimane che mi
dice che sono ingrassata. Il Regno dei Cieli mi attende: speriamo che
mia nonna si sbagli e che io riesca a passare dai Cancelli Celesti
senza schiacciare San Pietro. Questo venerdì, infatti, si è
verificato un lieto evento, tanto gioioso da scacciare la mala sorte:
è finalmente uscito l’ultimo (capo)lavoro dei Tame Impala, la band
australiana guidata da Kevin Parker che prende il nome da una specie
di antilope africana, l’impala, appunto.
Che
dire dei Tame Impala? Che sono un gruppo incredibile. Che riescono a
unire in un connubio perfetto musica elettronica di
ispirazione anni Ottanta e sontuose armonie psichedeliche, senza mai
risultare banali o meno istintivamente orecchiabili. Che possono
vantare un sound incredibile, psichedelico, originale, coinvolgente,
addirittura scenografico. Il titolo dell’ultima fatica della band
australiana è Currents,
che in inglese significa “correnti”,
inteso come “flussi, corsi d’acqua e d’aria”, non manca di
ricordare anche l’aggettivo “current”, in vigore, attuale:
corrente, appunto. Una sorta di memento, di omaggio allo scorrere
inesorabile, spietato e necessario del tempo, che non si ferma per
nessuno e che alla fine ci porterà via. (Okay, forse mi sono
lasciata contagiare anch’io dall’isteria collettiva del venerdì
17. Ma solo un pochettino).
Fino
a questo ultimo, splendido album, si può tranquillamente dire che le
canzoni dei Tame Impala siano una sorta di equivalente musicale alla
lettura serale degli ultimi capitoli di un romanzo che ci appassiona:
un’esperienza individuale. Piacevole, certo, ma più musica da
cuffia che da festa, non c’è che dire. Currents,
tuttavia, presenta alcune caratteristiche completamente nuove: si
tratta di un tipo di musica che si può ballare, un continuo flusso
di energia libera, vorticosa, trascinante, perfetta per un rave in
spiaggia, o per una nottata passata a guidare.
Se
il precedente Lonerism
(2012) descrive la beatitudine dell’assenza di confronto e di
compagnia, ponendo la solitudine come una sorta di medicina per
l’anima in un mondo costretto alla mondovisione e alla continua,
forzata connessione, Currents parla
della ricerca di contatto e dialogo. Se
in Innerspeaker (2010)
è centrale il tema del terrore della propria esposizione a una massa
indistinta e colossale di persone invisibili, non è l’agorafobia
il concetto focale di Currents,
quanto, piuttosto, la complessità dei rapporti umani, stratificati,
evanescenti e sfuggenti.
In
Love/Paranoia i
sentimenti sono un susseguirsi di martellate al cuore e al cervello:
I've heard those words beforeAre you sure it was nothingCause it made me feel like dying insideNever thought I was insecure, but it's pureDidn't notice until I was in love for realAnd if we're gonna cross the lineJust to find what shit's happeningIf only I could reach your mindOh I'd be fine, I'd be normalNow's my time, gonna do it
Se
non è possibile non identificarsi e non soffrire per le struggenti
parole d’amore, ad un livello più profondo, o quantomeno diverso,
il testo di Love/Paranoia è strettamente psicologico e apertamente
filosofico: si parla dell’umana, umanissima, esigenza di sentirsi
“normali” e venire accettati per quello che si è.
Un
altro, eccezionale, pezzo che espone un dilemma eterno e universale è
lo splendido Cause I'm a man, uscito
come singolo in anteprima:
Cause I'm a man, woman
Don't always think before I do
Cause I'm a man, woman
That's the only answer I've got for you
Cause I'm a man, woman
Not often proud of what I choose
I'm a human, woman
A greater force I answer to
Se
avete voglia di raggiungere livelli olimpici di onanismo
intellettuale, potete qui cogliere un riferimento secondo me chiaro all’Amante di Lady Chatterley di
D.H. Lawrence (1928), nell'interpretazione di Simone De Beauvoir, che nel Secondo
Sesso (1949), dedica pagine infuocate di critica
accurata e meticolosa a quella che definisce “l’orgoglio fallico
di D.H. Lawrence”. Uomini e donne sono separati da un abisso,
binari separati, logiche opposte, incomunicabilità totale. L’unica
speranza di dialogo è quella rappresentata dal contatto carnale,
l’unica forza maggiore in grado di lanciare un appello a cui tutti
noi rispondiamo. Se capita di “non essere sempre orgogliosi di ciò che si
sceglie”, il bivio non si pone, e nemmeno la possibilità di
tornare indietro: la natura umana esiste come regola, l’abisso non
può essere colmato a parole. Ecco perché, sostanzialmente, siamo
fregati: quando ci innamoriamo, se ci innamoriamo davvero, non siamo
più in grado di accettare l’altro/a come insieme delle proprie
generalità di genere, vogliamo disperatamente individuarlo.
Farsi attraversare dal grande fiume della
vita, fatto di distanze, incomprensioni e ansie è qualcosa di
inaccettabile per chi perde la testa. Non è un caso che la canzone
si intitoli Cause I’m a Man e
non Cause I’m a Woman. Secondo
la rappresentazione ancestrale, è la donna a perdere se stessa
nell’altro, tasto dolente reso palese anche dal lessico sessuale
femminile, tradizionalmente passivo: il fiore della verginità “viene
colto”, la donna “viene presa”… Insomma, il solito fallico
protagonismo maschile. Sai che novità.
I Tame Impala si esibiranno in Italia in tre
date: il 25 Agosto a Sestri Levante, il 26 Agosto assieme a Nicholas
Holbrook al Postepay Rock In Roma 2015 e il 28 Agosto al Teatro
Romano di Verona.
Sofia Torre
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