Neville Chamberlain è stato Primo Ministro del Regno Unito tra il 1937 e il 1940. La sua importanza nella storia è indiscussa: è infatti l’immagine iconografica della resa di fronte alla presa di potere di Adolf Hitler in tutta Europa, con la firma degli Accordi di Monaco, che consegnavano i Sudeti (regione della Cecoslovacchia) alla Germania nazista. Essere definiti un Chamberlain, soprattutto in Britannia e Stati Uniti, suona come un insulto. Ed è proprio così che Rob Lowe, attore americano, ha definito Hollywood, dopo l’estremamente discusso blocco di The Interview, film di James Franco e Seth Rogen, riguardante un tentativo di omicidio di Kim Jong Un, leader della Corea del Nord. Blocco chiesto dalla Sony dopo un attacco informatico e rimosso dopo l’intervento diretto del Presidente degli Stati Uniti Barack Obama, oltre dall’intero circo mediatico e nazional-popolare. Il film è dunque stato proiettato il giorno di Natale, permettendo alla Sony di ridurre le perdite, comunque consistenti. I teorici del complotto hanno subito gridato alla macchinazione, per far ottenere al film, giudicato da più parti mediocre, una notevolissima pubblicità basata sull’inesauribile orgoglio americano. Ma qual è la vera storia di The Interview?
Partiamo dai fatti. Il 13 dicembre, tutti i sistemi della Sony hanno subito un ingente attacco da parte del gruppo di hacker GOP (“Guardians Of Peace”). Gli schermi dei computer della sede giapponese della Sony si sono tutti oscurati, mostrando solamente la scritta “Hacked by #GOP”. Una volta che i tecnici sono riusciti a venire a capo dell’attacco, hanno scoperto il furto di file per un danno di milioni di dollari. Tra i files rubati infatti ci sarebbe l’intero film “Fury” con Brad Pitt, la sceneggiatura di Spectre, il nuovo film di James Bond, e alcune parti di The Interview. Subito la Corea del Sud ha accusato i vicini nordisti, utilizzando come prova un attacco subito qualche tempo prima con identiche modalità. E il fatto che tra i film hackerati ci fosse anche The Interview ha subito fatto pensare ad una vendetta personale di Kim Jong. Ma ai fatti sono seguite le minacce, sempre firmate dai GOP, di attacchi terroristici (dall’FBI considerate completamente false) alle sale che avrebbero proiettato il film. E questa è stata la vera botta economica alla Sony: il film, che non era stato rubato dagli hacker e che quindi era potenzialmente ancora vendibile, è stato rifiutato dalle sale cinematografiche, costringendo la Sony a cancellare la distribuzione di The Interview.
Ma la Sony non aveva fatto i conti con gli Stati Uniti d’America. Il paese nato come nazione degli uomini liberi non poteva accettare che un dittatore straniero imponesse o causasse la censura nella terra delle libertà, ed è quindi insorto. Il mondo dello spettacolo, dei media, le persone comuni, i politici, tutti insieme hanno protestato contro questa decisione. Perfino il presidente Obama, in conferenza stampa ufficiale, ha parlato della questione. “We cannot have a society in which some dictator in some place can start imposing censorship in the United States.” (Non possiamo avere una società in cui un qualche dittatore in un qualsiasi posto possa cominciare ad imporre la censura negli Stati Uniti). La Sony ha provato a spiegare i fatti, cioè che il rifiuto di distribuire la pellicola non era stato causato dall’attacco hacker, ma dal contemporaneo rifiuto delle sale cinematografiche. Ma ormai non c’era più nulla da fare, il mondo (con informazioni errate) si era apertamente schierato contro questa decisione. Gli stessi cinema si sono dichiarati da sempre disponibili a proiettare il film, e la Sony si è vista costretta a ritrattare una decisione mai presa e distribuire il film. Sull’onda dell’orgoglio americano, la prima (in trecento sale indipendenti, o su piattaforme online) è stata un successo spaventoso. In quattro giorni, The Interview ha guadagnato la bellezza di 15 milioni di dollari, nonostante un ulteriore buco nella sicurezza che ha fatto perdere circa due milioni di potenziali acquirenti.
Franco e Rogen in una scena del film |
Un film quindi che prima veniva definito mediocre, dopo un affronto alla stessa natura degli Stati Uniti è stato visto da tutti. Ma il giudizio non è cambiato. E questa è la base delle teorie cospirazioniste che ne hanno seguito il successo. Sostanzialmente, l’idea che sta alla base del complotto sarebbe far leva sul patriottismo a stelle e strisce. L’attacco degli hacker sarebbe stato ordito proprio da Franco e Rogen, prevedendo la reazione di orgoglio patrio, il successivo passo indietro della Sony e i successivi guadagni. Oppure sarebbe stato ordito dalla Sony stessa, che pur di guadagnare con The Interview avrebbe perso milioni di dollari dagli altri progetti. La cosa certa però è che Seth Rogen e James Franco hanno guadagnato un bel po’ di dollari, mentre la "povera" Sony ha fatto la parte della debole e ha perso anche parecchio denaro. Il governo degli Stati Uniti ha fatto la parte del leone, mentre la Corea del Nord quella del nemico delle libertà che viene sconfitto. A proposito, la Corea all’inizio ha risposto alle accuse in modo ambiguo, salvo poi respingerle tutte al mittente. Ma, con un palese errore di tempistica, pochi giorni fa la Commissione Nazionale di Difesa della Corea settentrionale ha dichiarato che Obama è “il principale colpevole che ha forzato la Sony Pictures Entertainment a distribuire indiscriminatamente il film. Obama” prosegue la Commissione “è spericolato con le parole e le azioni, come una scimmia in una foresta tropicale.” Non proprio sagge parole, soprattutto se quello paragonato ad una scimmia è il Presidente degli Stati Uniti d’America, e al momento chiunque negli Stati Uniti d’America vede la Corea come un nemico giurato. Beh, James Franco e Seth Rogen esclusi.
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