L’ anno da poco iniziato ha già visto alcuni eventi che avranno ripercussioni durante tutto il 2015 e che probabilmente ricorderemo per molto tempo.
La strage di Parigi del 7 Gennaio ha inaugurato una nuova stagione all’insegna della ritrovata paura nei confronti del terrorismo di matrice islamica, un evento che ha una valenza ancor più ampia se lo si guarda dal punto di vista della libertà d’espressione, di stampa e di satira, di quei valori che caratterizzano la Francia laica della libertè, ègalitè, fraternitè e ancora di più dei valori fondanti dell’Europa Unita scritti nei suoi trattati istitutivi.
Ricorderemo la risposta della rete che ha reagito con una forza inaspettatamente compatta agli avvenimenti di Charlie Hebdo con lo slogan “JesuisCharlie”, ricorderemo la manifestazione di Parigi che ha visto più di due milioni di manifestanti riaffermare il diritto di libertà e di pensiero insieme alla vicinanza al popolo musulmano che si è fortemente dissociato dalla pazzia di un gruppo di estremisti.
Ricorderemo Place de la Republique e il discusso gruppo di leader mondiali confluiti a Parigi per esprimere vicinanza alla Francia; queste immagini però riportano in mente un altro elemento che vorrei far emergere, i manifestanti di Parigi di Place de la Republique cantavano “Bella Ciao”, il canto dei partigiani italiani che ritorna ad essere protagonista della resistenza dei francesi contro gli attentati di Parigi.
Bella Ciao è stata riaffermata come simbolo di resistenza e di lotta anche in Grecia nelle ultime settimane, trasmessa dagli altoparlanti durante i comizi di Tsipras e cantata dagli anziani e dai giovani greci che con il loro voto hanno dato un segnale di rottura verso anni di politiche di austerity.
Bella Ciao era stata intonata anche in Turchia nel 2013 durante le manifestazioni di Gezi Park ad Istanbul che si sono trasformate in una lotta di “resistenza” contro le politiche conservatrici del partito AKP guidato da Erdogan.
La nuova primavera del canto partigiano, nato a Reggio Emilia nel 1940, è caratterizzata da un impressionante numero di traduzioni in diverse lingue, ha ritrovato nuova linfa nelle piazze di tutto il mondo che manifestano e resistono contro quell’ “Invasor” che ha assunto i tratti più disparati.
Sembra proprio che Bella Ciao abbia finalmente perso quell’anatema che l’Italia repubblicana gli aveva impresso, ovvero quello di essere un canto politicizzato, anti fascista quindi comunista, anticlericale e in certi casi anche anti democratico. Negli ultimi vent’anni la sorte di Bella Ciao è stata non meno sfortunata, come ricorda Giovanna Marini su Repubblica, i leghisti al governo in alcune città del Nord Italia vietarono di suonarla il 25 Aprile nello stesso periodo storico nel quale Berlusconi proponeva di abolire la festa della liberazione dal nazifascismo sostituendola con la festa di liberazione da tutte le dittature.
Sempre nello stesso periodo, per l’anniversario dei 150 anni dell’Unità d’Italia, a Sanremo venne suonata Bella Ciao ma per par condicio fu intonata anche Giovinezza, canzone che è stata inno fascista, a dimostrazione della valenza fortemente comunista che veniva ancora attribuita al canto.
Bella Ciao è tornata ad essere canzone della resistenza, canzone di libertà che prescinde da un distinto colore politico, è tornata ad essere quell’inno che riuniva il fronte antifascita italiano che era fatto da cattolici, da comunisti, da liberali, da atei e anche da preti. Quella lotta contro l’invasore che unisce i popoli da migliaia di anni porta con sé parole italiane, parole simbolo del nostro paese come “Bella” e “Ciao”, ma in Italia sembra essere ancora difficile affidare a quelle strofe un significato super partes così come avviene in questi giorni nel resto d’Europa.
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