“Mi accingo al mio secondo mandato, senza illusioni e tanto mento pretese di amplificazione salvifica delle mie funzioni. Manterrò tale carica fino a quando la situazione del Paese e delle istituzioni me lo suggerirà.”
Con questo discorso Giorgio Napolitano si presentò alle Camere riunite il 22 aprile 2013, dopo la rielezione a Presidente della Repubblica per la seconda volta, successivamente ai tentativi falliti con Franco Marini e Romano Prodi.
Fu un discorso programmatico del tutto sconosciuto alla Costituzione e alle democrazie parlamentari, tipico dei discorsi della Corona e dei capi delle repubbliche presidenziali, un discorso che lasciò il segno per la durezza espressa nei confronti dei parlamentari, un discorso che cercò di riportare l’attenzione sull’importanza e delicatezza di quel difficile momento storico.
È stata la prima volta nella storia della Repubblica italiana che un capo dello stato sia rieletto per un secondo mandato della durata di sette anni. Era un clima di grande emozione, in cui quasi tutti i parlamentari applaudirono con entusiasmo. Il presidente uscente aveva cominciato a fare i bagagli, ma ha risposto positivamente all’appello delle forze politiche alle prese con la trappola dell’immobilismo.
Napolitano ha dato sin da subito un’energica lezione di disciplina ai partiti politici, criticando le loro contrapposizioni, le lentezze e le esitazioni. Così come pose l’accento sulla temporalità del proprio mandato, durato alla fine 21 mesi.
Le annunciate dimissioni avvenute durante il discorso finale del 2014 non sono importanti solo per il tanto discusso e già iniziato “toto-Quirinale”, ma anche e soprattutto perché segnano la fine di un’era politica.
Cossiga, Segni, Togliatti, Berlinguer, Fanfani, Moro e altri ancora.
Napolitano è stato l’ultimo esponente di una classe politica molto spesso criticata e troppo presto dimenticata, di cui oggi, forse, si pensa con rammarico e malinconia; una classe, o meglio una generazione, nata e cresciuta nel culto del primato della politica, dove la sola cosa importante era fare attività politica, e non averla fatta.
Una grandissima differenza con chi ci governa oggi, un gap sottolineato proprio dallo stesso Presidente nel suo discorso inaugurale alle Camere, il giorno seguente la sua rielezione, quando apprezzò la fiducia datagli da una generazione distante, anagraficamente e no, dalla sua.
In questi ultimi 21mesi il Presidente Napolitano è stato bombardato di critiche da destra e da sinistra, additato come servo dell’Europa, nemico della democrazia e amico del Partito Democratico. La rielezione di Napolitano ha invece devastato il PD e ha rafforzato la possibilità di una grande coalizione tra destra e sinistra, invocata da Berlusconi dopo che le elezioni avevano creato un’impasse politica.
Negli otto anni da Presidente, Napolitano è stato invece l’unico e vero difensore delle istituzioni, quella figura super partes che ha permesso continuità e che ha garantito la sopravvivenza di uno Stato e di un Paese ormai sull’orlo del baratro. Si è assunto responsabilità che non avrebbe mai voluto, ma che anzi sono state date da altri, ha avuto coraggio e senso dell’equilibrio, uno sguardo lucido al passato e uno attento al futuro.
Dopo aver condotto magistralmente le dimissioni di Berlusconi e l’incarico di formare un nuovo governo a Mario Monti, è passato dalle forche caudine dei 101 “traditori” del Partito Democratico in occasione della nomina del suo successore, ha nominato, dopo Pier Luigi Bersani, Enrico Letta capo di un governo delle larghe intese, ponendo le sue mani su quelle dell’allora neo premier e lanciando così un messaggio ieratico, quasi sacerdotale, per chiarire che il Presidente della Repubblica è il protettore delle istituzioni, e non uno stupratore di esse.
Napolitano ha inoltre nominato cinque giudici della Corte Costituzionale: nel 2009 Paolo Grossi, nel 2011 Marta Cartabia, nel 2013 Giuliano Amato e nel 2014 Daria De Pretis e Nicolò Zanon. Ha anche nominato cinque senatori a vita: Mario Monti, Renzo Piano, Carlo Rubbia, Elena Cattaneo e Claudio Abbado.
Ha dato un’immensa prova di forza anche davanti alla richiesta di grazia da parte di Silvio Berlusconi, chiudendo di fatto e con fermezza la carriera politica del leader di Forza Italia.
E infine è arrivato Matteo Renzi, nei confronti del quale ha mostrato inizialmente incertezza, perfino negazione, ma dinnanzi ad una immobilità sul fronte delle riforme si vide costretto a cambiare idea.
Oggi Napolitano sembra puntare tutto sul premier, così lontano da lui per origine, spirito e cultura. Una cosa però li accomuna: l’idea del primato della politica.
Entrambi sono nemici dichiarati dell’anti-politica, non solo quella formata dal Movimento 5Stelle, ma anche da altri attori disturbanti il normale corso degli eventi politici. L’anti-politica, secondo il Presidente, è un’altra concezione della politica, un’idea che non prevede l’equilibrio tra poteri, non vede un cambiamento nella continuità.
Il totem anti-politico è indubbiamente Beppe Grillo, l’ex-comico che in quest’ultimo anno ha contato più sconfitte che capelli in testa, da sempre in prima linea a criticare e ad additare Napolitano come il maggior responsabile del crollo italiano.
Il secondo maggior critico, non anti-politico in questo caso, del Presidente della Repubblica è stato Matteo Salvini, segretario della Lega Nord, il quale tra una costina di maiale e un piatto di polenta taragna o un attimo di tempo libero, non perde mai occasione di accusare e criticare il nostro Presidente. Il nostro, non il suo. Viste le numerose assenze che Salvini ha collezionato prima a Palazzo Marino, quando era consigliere del Comune di Milano, e ora a Strasburgo, dove è europarlamentare, di tempo ne ha avuto e ne ha in abbondanza per lanciare critiche e accuse.
Parole di riconoscenza e di ammirazione sono arrivate invece da personaggi molto più illustri.
Barack Obama, già nel luglio del 2009, in occasione del G8, aveva speso parole importanti: “Napolitano ha una reputazione meravigliosa e merita l’ammirazione di tutto il popolo italiano, non solo per la sua carriera politica, ma anche per la sua integrità e gentilezza: rappresenta al meglio l’Italia.” Parole riprese pochi giorni fa in occasione dell’annuncio delle dimissioni in cui il Presidente americano gli ha rinnovato amichevoli riconoscimenti per il suo operato come capo dello Stato e per la sua azione nell'ambito delle relazioni tra Italia e Usa.
Ora siamo tutti concentrati sul successore al Quirinale, ma per un momento sarebbe più giusto e riconoscente ricordarsi che quel poco di orgoglio italiano che ancora ci è rimasto ha un nome e un cognome: Giorgio Napolitano.
Lunga vita a Re Giorgio, l’ultimo uomo di una politica che ormai, purtroppo, non c’è più.
“Napolitano merita l’ammirazione di tutto il popolo italiano, non solo per la sua carriera politica, ma anche per la sua integrità e gentilezza.”
RispondiEliminaBravo Bigia!
RispondiEliminaBell'articolo!!
Ottimo articolo. Grazie, Presidente.
RispondiEliminabell'articolo per un grande presidente che come italiano ringrazio di cuore
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