Si fa presto a
dire “divulgazione”. Il termine al giorno d’oggi va per la
maggiore, specialmente come provvidenziale slogan da stampare sulle
fascette che, nelle vetrine delle librerie, urlano ai potenziali
clienti il motivo perché non possono assolutamente perdersi l’ultima
novità editoriale. Di libri “divulgativi” sono pieni gli
scaffali, ma quanti di essi hanno una reale validità? Mi piace qui
ricordare un pensiero del matematico Jean-Pierre Serre: “Non ho mai
scritto un libro di vera divulgazione: è troppo difficile!”. Da
modesto curioso quale sono, ho il singolare (e discutibile) pallino
della fisica, senza naturalmente capirci granché, ma beandomi di
quella diluita sensazione di comprendere che alcuni autori sono in
grado di trasmettere con la loro prosa (naturalmente si tratta di
“prosa”: non sono in grado di comprendere un testo troppo
tecnico). Ne presento qui quattro, in rapida successione,
evidenziandone pregi, difetti e curiosità.
Un necessario
preambolo-il-meno-tecnico-possibile: comune a tutti i testi è un
excursus sulla storia della fisica del ‘900, che comincia, a
grandi linee, dalla teoria della relatività di Albert Einstein, che
descrive, tra le tante cose, il mondo della forza di gravità. Si
prosegue poi descrivendo l’altra grande conquista scientifica del
secolo, la meccanica quantistica, che regola il mondo subatomico. A
questo punto, in tutti i testi, viene introdotto uno spinoso
problema: per motivi troppo complessi perché io possa riportarli
senza sbagliare, le due teorie, entrambe separatamente esatte e
confermate da innumerevoli risultati sperimentali, non possono essere
contemporaneamente corrette, almeno non nella forma in cui oggi le
conosciamo. Anche la meccanica quantistica in sé comporta una serie
di conseguenze non proprio facili da accettare, per esempio il noto
“paradosso del gatto di Schrödinger”: a rigore, in un
particolare tipo di esperimento (solo mentale, non si indignino gli
animalisti!), le regole quantistiche ci impongono di ritenere un
gatto morto e vivo contemporaneamente, il che va
naturalmente contro qualsiasi senso comune (per saperne di più).
I tentativi di
comporre questo apparentemente insanabile conflitto sono molti, e
ciascuno di questi libri esplora un lato della questione.
xkcd.com |
Brian Greene |
Decisamente
diverso è La particella di Dio di Leon Lederman, che pare non
sia più pubblicato nella sua forma originale.
Il titolo originale sarebbe “The God Particle – If the Universe
Is the Answer, What Is the Question?”, ma non chiedetemi per quale
motivo, Mondadori lo ha tradotto con “La particella di Dio” – e
fin qui tutto bene – “Se l’universo è la domanda, qual è la
risposta?”, che cambia completamente il senso dell’originale
inglese. Non credo però che qui sia colpa della meccanica
quantistica. Il celeberrimo nomignolo si riferisce allo sfuggente
“bosone di Higgs”, particella osservata per la prima volta nel
2012 e che, in breve, conferisce massa alla materia. In un certo
senso (ma prendetemi con le pinze) è quello che ci permette di stare
comodamente seduti o sdraiati senza sprofondare nei nostri appoggi
fondendoci con essi, e dovremmo quindi tutti ringraziarlo per questo.
Lederman ha un linguaggio decisamente meno tecnico rispetto ai suoi
colleghi fin qui esaminati: non risparmia analogie calcistiche,
metafore televisive e spiegazioni che si sforzano di essere buffe e
simpatiche (a volte riuscendoci, a volte no, ma si sa che l’umorismo
dei fisici è tutto particolare). A differenza degli altri, non parte
da Einstein bensì dal buon Democrito, tracciando poi una storia
della fisica che passa attraverso Aristotele, Galileo, Newton e
compagnia. Ma cos’ha di speciale il bosone di Higgs, oltre a
permetterci di stare seduti? Il bosone conferma una delle teorie
fisiche che gli ultimi sviluppi davano per defunta: il cosiddetto
“modello standard”. Prima dell’avvistamento del bosone di Higgs
il modello standard stava lentamente morendo: descrive bene tre delle
quattro forze fondamentali della natura, ma non dice drammaticamente
nulla sulla gravità, che non è proprio un buon argomento da
tralasciare. Questa pecca piuttosto grossa stava facendo sprofondare
la teoria nell’oblio, quand’ecco che al Cern di Ginevra è
comparso improvvisamente il bosone di Higgs, riportando in auge il
modello standard e rimescolando ancora le carte di questi enigmi.
L’ultimo dei
testi che voglio presentare è Sette brevi lezioni di fisica
dell’italiano Carlo Rovelli,
appena uscito per i tipi dell’Adelphi. È un libercolo molto
stringato (ha-ha. Un fisico avrebbe riso a questa specie di
battuta), si legge in un modesto viaggio in treno, o in un pomeriggio
con la mente particolarmente propensa ai massimi sistemi. La sua
prosa è meravigliosa, leggera, fluida ma allo stesso tempo non
vuota. Anche lui analizza relatività e meccanica quantistica, per
passare poi a un capitoletto sull’evoluzione della cosmologia,
dalla preistoria ai giorni nostri. Segue una lezione sulle particelle
elementari, e poi una sui buchi neri e sul concetto di “tempo”,
che arriva alla sorprendente conclusione che in realtà… il tempo
non esiste. Leggere per credere. Si parla anche di Hawking, del suo
lavoro che dimostra che un buco nero in realtà emette un debolissimo calore (qualche frazione di grado
sopra i -273°C, decisamente poco anche per lavare i delicati). Ora,
il calore è un fenomeno quantistico che qui viene legato a un altro
fenomeno di natura strettamente gravitazionale (il buco nero): siamo
di fronte a un indizio di una possibile unificazione delle due facce
della medaglia? La strada, suggerisce Rovelli, è ancora molto lunga.
Nell’ultimo capitolo avviene l’ormai assodato salto dalla fisica
alla filosofia, riguardo allo spinosissimo tema della coscienza. Come
è possibile che un agglomerato di cellule, per quanto organizzato,
si percepisca come un’unità e possa dire “io”? Si tratta,
forse, di una delle domande più importanti di tutti i tempi, e pare
situarsi all’incrocio delle traiettorie di discipline estremamente
diverse tra loro, come appunto la fisica e la filosofia, la
neurologia, la psicologia, la matematica.
Carlo Rovelli |
Quattro libri,
quattro diversi approcci allo stesso problema, con l’unico, vitale
obiettivo di non smettere di porsi domande, dall’abusato “chi
siamo? Dove andiamo?” fino a “perché mai e in che modo la
riduzione di simmetria seleziona per l’espansione precisamente tre
dimensioni spaziali?” (Greene, p. 337), e per scoprire che, forse,
la scienza a certi livelli non è quel mostro divoratore di ore
spensierate che ci avevano fatto credere al liceo, ma anche qualcosa
di vitale, appassionante e – perché no? – insospettabilmente
divertente.
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