Dopo innumerevoli, noiosi e, francamente, alquanto fastidiosi
contrasti interni tra poco più di un mese il Partito Democratico eleggerà
attraverso lo strumento delle primarie il suo nuovo segretario. Nonostante gli
immancabili tribolamenti dovuti all'altissimo coefficiente di frammentazione in
correnti e correntine legate alle differente personalità nel panorama del
centrosinistra, l'8 dicembre il PD, riconfermerà il suo status di unico grande
partito democratico e inclusivo in Italia. Da qualche giorno sono state rese
note anche le candidature ufficiali. Quattro contendenti per il posto che fu
del dimissionario Bersani: Matteo Renzi, Giuseppe Civati, Gianni Cuperlo e
Gianni Pittella. Le regole sono chiare e, bene o male, sono state accettate da
tutti i protagonisti.
Insomma si preannuncia un'altra grande opportunità per il
Partito Democratico per autocelebrare la sua “eccezionalità”(riaffermando una
sorta di superiorità culturale rispetto ai partiti personali e padronali),
recuperare il contatto con la propria base e, più in generale, con l’elettorato
italiano e ottenere le luci della ribalta mediatica per qualche settimana.
Fermi tutti! Non è tutto oro quel che luccica. Permettetemi
una breve riflessione.
Qual è lo scopo di queste primarie? Risposta facile, giusto?
L’ho affermato qualche riga fa. Il senso di queste primarie consiste
nell’elezione di un nuovo segretario, coinvolgendo iscritti e simpatizzanti.
Perfetto, dunque al termine dell’elezione di questa carica monocratica, ad urne
chiuse, il vincitore dovrebbe godere di un notevole e predominante peso
specifico all’interno del partito, derivante da questa peculiare investitura
popolare. Una legittimazione che lo rende qualcosa di più di un primus inter
pares, qualcosa di più di un semplice coordinatore delle attività politiche,
qualcosa di più di un “rappresentante politico, garante dell’ordinamento e
responsabile del programma” come è scritto nello statuto. Ovviamente la nozione
di democrazia interna implica anche il rispetto e, soprattutto, l’ascolto del
dissenso e delle differenti opinioni. Rifuggo assolutamente dal sostenere
un’interpretazione della legittimazione popolare radicale ed estrema e l’abuso
di quest’ultima per perorare la propria causa di fronte all’avversario (tanto
per chiarirci, la manipolazione e distorsione berlusconiana del concetto).
Tuttavia non si possono non prendere in considerazione le preferenze del
milione di persone che si reca nelle sedi del PD per questo appuntamento e,
perciò, non attribuire un potere “speciale” e risolutivo alla figura del
segretario.
Beh, voi direte, ma infatti è proprio così. Il segretario è
la figura di riferimento del partito e, in accordo con gli altri organi
principali, ne detta la linea politica.
A me non pare affatto e il caso di
Bersani mi sembra emblematico.
Pierluigi Bersani era stato eletto a segretario del PD nel
2009, attraverso lo strumento delle primarie aperte. Nonostante ciò, all’alba
delle ultime elezioni nazionali, al fine di ottenere una rinnovata e autoimposta
fonte di legittimazione, si è rimesso in discussione, indicendo nuove primarie
per scegliere il candidato della coalizione di centrosinistra per Palazzo
Chigi. È risultato vincitore anche in questa tornata. Addirittura, per
rinforzare ulteriormente la sua posizione (che evidentemente anche lui sapeva
non essere così solida), si è inventato un assurdo maggioritario a doppio turno
con all'incirca lo stesso elettorato e sapendo di poter contare sui voti dei
contendenti esclusi.
Nonostante ciò soltanto qualche settimana più tardi la sua
figura si è rivelata fragilissima. Dapprima sono emersi svariati malumori non
proprio velati riguardo il suo tentativo di inseguire il Movimento 5 Stelle per
formare un’alleanza di governo. Successivamente mi sembra che sia stato
evidente quanto, nella vicenda dell’elezione del Presidente della Repubblica,
Bersani abbia perso il timone del partito, preda delle divergenti correnti (di cui lui,
probabilmente, era meramente il compromesso), smentendo la sua strategia
precedente e scivolando in una serie di surreali figuracce.
Se concordate con questa lettura, qual è stato il senso delle
scorse primarie e di quelle precedenti? Eleggere democraticamente un leader?
Decidere una personalità in grado di guidare il PD? Ne siamo sicuri? Non è che
forse le primarie sono uno specchietto per le allodole? Non è che magari gli
obbiettivi latenti delle primarie sono altri? Per esempio fare in modo che il
proprio partito ottenga per un periodo prolungato i riflettori dei principali
media nazionali. Oppure l’allargamento del selettorato (ovvero il particolare
elettorato per eleggere cariche di partito)
è un tentativo disperato del PD per recuperare un rapporto, in un certo
senso compromesso definitivamente, con il proprio bacino elettorale ed,
eventualmente, andare alla caccia di nuovi voti.
In conclusione, ritengo che le primarie siano uno strumento
importante per tutti i soggetti politici per dare voce e possibilità di
esprimersi a tutti coloro che si identificano in tali organizzazioni. Ma questa
voce deve essere (e)seguita. Questa voce non può essere una tra le tante.
Questa voce deve essere più forte e più rilevante dell’opinione dei singoli
dirigenti nazionali, dei parlamentari o dei gerarchi che nelle retrovie, senza
apparenti incarichi, continuano a plasmare a loro piacimento il PD. Altrimenti
le primarie inclusive, aperte, non hanno senso. Oppure ne hanno degli altri.
P.S. Qualcuno sicuramente obbietterà che, nel caso (molto
probabile) in cui Renzi, ottenendo la suddetta legittimazione popolare,
diventerà segretario, si impadronirà totalmente del partito, trasformandolo
radicalmente. A parte che questa ipotesi è tutta da verificarsi, ciò
significherebbe che il grado di potere politicamente coercitivo del segretario
dipende dal carisma e dalla dirompenza delle sue proposte. Credo sinceramente
che anche questa versione dei fatti svilisca lo strumento delle primarie e ne
trasli il significato autentico.
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