Oltre
Lampedusa c'è il mare, c'è il mare in qualsiasi direzione che si
perde a vista d'occhio, una sensazione di pace, eppure dietro
l'angolo c'è l'Africa. Sono soltanto 167 i km che separano l'isola
dalla costa tunisina ed in quel tratto di mare si consuma a volte il
raggiungimento di un sogno, a volte il compimento di un incubo.
La
tragedia dei giorni scorsi che è costata la vita a (almeno) 111
immigrati, metà dei quali donne, la maggior parte proveniente da
Somalia ed Eritrea è soltanto l'ultimo segnale che indica che
qualcosa non funziona perché non si può morire ad un passo dalla
riva e proprio questo è stato il punto di partenza dell'incontro
organizzato dalla rivista Internazionale all'interno del suo Festival
con Fabrizio Gatti (giornalista de L'Espresso e autore di “Bilal”),
Andrea Segre (regista, autore di “Mare Chiuso”), Ahmet Içduygu
(professore e ricercatore nell'ambito dei flussi migratori presso la
Koç university di Istanbul), Loris De Filippi (presidente di Medici
Senza Frontiere, Italia) e Lucio Battistotti in rappresentanza
dell'Unione Europea.
La
fila fuori dal cinema Apollo di Ferrara è quella delle grandi
occasioni e sin dalle prime battute “Sulla rotta della speranza”
entra nel vivo del tema dell'immigrazione, forte è l'eco delle
immagini del viaggio finito in tragedia di qualche giorno fa e
proprio da Lampedusa parte Fabrizio Gatti rilanciando la proposta di
candidare l'isola siciliana al premio Nobel per la pace. “Normalmente
servirebbero strumenti, eppure quando si è così disperati tutto
assume significato. Questo Nobel potrebbe diventare un simbolo, un
segno di disperazione, qualcosa che possa servire per portare alla
luce quello che accade sul versante meridionale dell'Europa.” Si
parla tanto di cosa fare per fermare questi flussi migratori, come se
così si potessero evitare tragedie, ma è triste accorgersi
-sottolinea Gatti- che si è rinunciato ad istituire dei corridori
umanitari per aiutare le fughe di queste persone, individui che
scappano da zone di conflitto, dimenticando che avrebbero diritto a
varie forme di protezione (dallo status di rifugiato alla protezione
internazionale). Si fa presto a dire “immigrato”, ma delle 30.000
persone sbarcate a Lampedusa nel 2008, 10.000 sono di origine eritrea
e hanno dovuto lasciare il loro Paese che è retto da una dittatura
dal 2001.
E
una volta in Italia, quale destino attende quei fortunati che
riescono a varcare i confini, via mare e via terra? Secondo Andrea
Segre non smettono mai di essere clandestini, anzi lo diventano ogni
giorno di più. “Mancano luoghi, luoghi per capire, conoscere,
confrontarsi: ci voglio persone, soldi e strutture. E se queste tre
risorse vengono investite soltanto in misure di contrasto, il
risultato è nascondere il fenomeno migratorio, non affrontarlo.”
La retorica politica ha portato soltanto ad un appiattimento dello
status del migrante: come se esistesse soltanto il clandestino, come
se esistesse solo il migrante economico (che per antonomasia è in
Italia per “rubare il lavoro agli italiani”), come se non
esistessero forme di migrazione legali, come se non esistesse un
dovere umano di accoglienza e protezione di coloro i quali scappano
da situazioni che umane non sono più.
È
lecito chiedersi perché queste sfumature non riescano ad essere
trasmesse all'opinione pubblica, senza di essa infatti, secondo il
professor Içduyngu, è impossibile perseguire attività più
efficaci per contrastare l'immigrazione irregolare evitando quel
processo di criminalizzazione dell'immigrazione a tutti i costi che
si è affermato dopo l'attentato alle Torri Gemelle. “Oggi i
politici, l'opinione pubblica e anche gli accademici considerano
l'immigrazione come un tema spinoso tanto quanto secondario. Bisogna
cambiare prospettiva, creando un clima nel quale si può riflettere
sul tema della frontiera. La svolta è cambiare mentalità
analizzando le cause dell'immigrazione clandestina, ponendo la giusta
attenzione su come si compone questo concetto: le entrate infatti
sono minime, sono molti quelli che entrano in un paese con visto
regolare e finiscono poi nella clandestinità e nel dimenticatoio.”
Tocca a Loris De
Filippi il compito di spiegare chi sono i profughi: migranti eritrei,
somali e in numero sempre maggiore siriani, individui che scappano,
come possono, da situazioni drammatiche, salvo trovarsi in situazioni
quasi peggiori. “I campi profughi si stanno espandendo in modo
impressionante, ma non crescono altrettanto gli standard di vita sono
al di sotto degli standard umani del UNHCR. I Turchi stanno gestendo
450.000 profughi da soli, mentre in Italia si fa fatica con qualche
migliaio di arrivi. I numeri parlano chiaro.”
Le
crisi arabe implicano una crescita dagli arrivi, è naturale che i
profughi cerchino di attraversare il Mediterraneo. Di fronte ad un
conflitto è necessario preoccuparsi ed organizzarsi ed è
paradossale che in Italia manchi l'emergency
prepareness,
quella lungimiranza, quella attenzione che permetterebbe di
attrezzarsi per gestire l'accoglienza e il flusso di persone che
hanno bisogno di cibo, coperte, un tetto sotto al quale dormire.
È bello che gli abitanti di Lampedusa, così come di altre città costiere partecipino all'accoglienza, ma De Filippi ricorda come l'Italia non rispetti dal 1998 gli standard minimi europei per quanto riguarda la ricezione dei profughi: chi arriva in Sicilia dovrebbe poter richiedere lo status di rifugiato e, in attesa di conoscere l'esito della domanda, godere dei diritti e degli standard riconosciuti al richiedente asilo. “In Italia queste cose non si sanno, come non si sa per esempio che il senatore Luigi Manconi, presidente della Commissione Diritti Umani, ha visitato il Cie di Gradisca d'Isonzo, insieme alla presidente della Regione FVG Debora Serracchiani: tutti dicono che bisogna chiudere il Cie e tutti ignorano questa notizia che non è stata nemmeno ripresa sui media nazionali. Perché? L'unica notizia che passa sull'immigrazione in Italia è quella che riporta i fischi contro Balotelli o le schermaglie tra la Lega e la Kyenge. Chi denuncia? Chi ce la fa? Chi riesce a far conoscere? Ci vuole militanza, imponendo le notizie sui migranti in prima pagina. Anche noi abbiamo sbagliato, abbiamo abbassato la guardia, ma ora torniamo alla voglia che avevamo 10 anni fa di far cambiare le cose!”.
È bello che gli abitanti di Lampedusa, così come di altre città costiere partecipino all'accoglienza, ma De Filippi ricorda come l'Italia non rispetti dal 1998 gli standard minimi europei per quanto riguarda la ricezione dei profughi: chi arriva in Sicilia dovrebbe poter richiedere lo status di rifugiato e, in attesa di conoscere l'esito della domanda, godere dei diritti e degli standard riconosciuti al richiedente asilo. “In Italia queste cose non si sanno, come non si sa per esempio che il senatore Luigi Manconi, presidente della Commissione Diritti Umani, ha visitato il Cie di Gradisca d'Isonzo, insieme alla presidente della Regione FVG Debora Serracchiani: tutti dicono che bisogna chiudere il Cie e tutti ignorano questa notizia che non è stata nemmeno ripresa sui media nazionali. Perché? L'unica notizia che passa sull'immigrazione in Italia è quella che riporta i fischi contro Balotelli o le schermaglie tra la Lega e la Kyenge. Chi denuncia? Chi ce la fa? Chi riesce a far conoscere? Ci vuole militanza, imponendo le notizie sui migranti in prima pagina. Anche noi abbiamo sbagliato, abbiamo abbassato la guardia, ma ora torniamo alla voglia che avevamo 10 anni fa di far cambiare le cose!”.
È
tempo, quindi, di andare oltre Lampedusa, di ripartire
dall'informazione, dalla conoscenza, dal dibattito affinché sia
possibile contrastare la retorica xenofoba dell'immigrazione
criminalizzata e affrontare il problema in ogni sua parte,
cominciando dalla tutela dei richiedenti asilo, aprendo corridoi
umanitari in modo da togliere i profughi dalle mani delle mafie che
gestiscono le attraversate. La politica del “dobbiamo essere
cattivi!” (cit. Roberto Maroni) non ha dato i suoi frutti e si
dimostra ancora poco lungimirante e affinché non ci troviamo
costretti a dare ragione all'anonimo writer genovese che ha lasciato
un appello agli immigrati “Non lasciateci soli con gli italiani!”,
è necessario andare oltre.
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