Viva la libertà
di Roberto Andò
con Toni Servillo, Valerio Mastandrea, Valeria Bruni Tedeschi, Michela Cescon
Reduce da eccessi alla Luhrman, frammenti di brillante cinema francese e sconcertante Ryangosling-mania, decido di parlare, nella mia prima recensione, di un film che si è già palesato sullo schermo da qualche mese, ma che a mio avviso merita una particolare considerazione.
Viva la libertà è l'ultima opera cinematografica di Roberto Andò, 94 minuti di film costruiti sul romanzo premio Campiello "Il trono vuoto", scritto da Andò stesso. Al centro della scena ritroviamo il tema del doppio (un tema antico e caro a tutta la cultura occidentale) e della politica italiana, una politica che necessita sempre più di un restauro e che per rialzarsi sembra aver bisogno di, niente meno che, un po' di cinema e di follia.
Per riportare in scena queste tematiche Andò affida il ruolo del protagonista (o "dei protagonisti") a un grande Toni Servillo che già aveva dato prova della sua bravura sotto le direttive di Sorrentino.
Enrico Olivieri (Toni Servillo, appunto) è il segretario del principale partito di opposizione italiano. Più volte contestato e sconfitto decide improvvisamente di fuggire dal claustrofobico ambiente politico a cui appartiene lasciando il partito senza una guida e rifugiandosi a Parigi. Andrea Bottini (Valerio Mastandrea), suo affezionato collaboratore, rimasto a Roma senza avere inizialmente idea di come gestire la situazione con i media e con il resto dei colleghi di partito, decide di affidarsi a Giovanni Ernani, gemello di Enrico. La sinistra italiana viene così messa, inconsapevolmente, nelle mani di un professore di filosofia da poco uscito da un ospedale psichiatrico, folle e sognante che porta la stessa faccia della vecchia politica, ma un cuore nuovo. Una politica che torna a parlare alla gente ("Io sono qui per far sì che domani non si dica: i tempi erano oscuri perché loro hanno taciuto!") tramite Brecht, haiku e svolazzanti ironie. Nel frattempo Enrico in fuga da se stesso, si ritrova in un'amante di tanti anni prima (Valeria Bruni Tedeschi, unico pugno allo stomaco del film) e nella grande passione per il cinema che era stato portato ad abbandonare.
Il partito raccontato da Andò è un partito che implode in sé stesso colto da una crisi interna e da un forte sentimento di inadeguatezza. Il regista non si è astenuto dal far notare come nell'istinto di fuga e di autodissolvimento di Olivieri si riveda quel Veltroni che aveva tentato di prendere le redini del Partito Democratico, scivolando in un completo fallimento. E proprio nel momento in cui il potere diventa angoscia e indecisione, sembra che solo Fellini e la filosofia siano in grado di gettare nuove basi per una nuova politica.
Il pessimismo originario del romanzo dato dal vuoto e dalla mancanza di una figura leader dominante, nel film lascia il passo a un gentile e deciso messaggio di speranza: gentile e deciso come la regia di Andò, come i due volti della recitazione di Servillo, come lo sguardo di Mastandrea, che calza le scarpe del personaggio che è solito interpretare. Deciso e gentile come quel fantastico tango di Ernani con la cancelliera tedesca e come l'ouverture della Forza del destino di Verdi, che è inevitabile canticchiare una volta usciti dalla sala.
Fedra Galassi
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