Le ultime elezioni
amministrative sono state un vero tracollo per il Movimento Cinque
Stelle: nessun comune conquistato, nessun capoluogo di provincia,
nemmeno un ballottaggio e percentuali di voto che faticano a
raggiungere il 15% se non addirittura il 10%.
Va detto subito che si tratta
di un campione parziale della popolazione italiana e che le elezioni
amministrative hanno logiche e dinamiche indipendenti dalle
politiche. Il M5S ha subito un duro colpo ma non è morto: questo
risultato influenzerà certamente le prossime politiche ma non può
sancire un giudizio definitivo. Riassumere in un
solo articolo le cause e le conseguenze di questo flop elettorale
sarebbe pretenzioso, ma a mio avviso ci sono tre punti fondamentali
dietro questo fallimento: l'alto tasso di astensione, il rifiuto di
una linea pragmatica, l'eccessivo peso dato all'interno del dibattito
politico ad argomenti superficiali e non di primaria importanza.
Nonostante il
clima di generale sfiducia, le politiche di febbraio sono state
caratterizzate da un alto tasso di partecipazione. Il merito è stato
principalmente del M5S che è stato capace di attirare una grossa
fetta di ex astenuti, permettendo il salto fino ad oltre il 25%,
quando tutti i sondaggi non andavano oltre il 20%. Gli ex astenuti,
definiti anche “delusi dalla politica”, sono però un elettorato
inaffidabile per definizione: passata l'ondata di protesta, passato
l'effetto novità, molti elettori hanno praticato di nuovo
l'astensione e le percentuali sono calate drasticamente. Inoltre
trattandosi di elezioni amministrative è abbastanza normale
un'affluenza bassa, che questa volta è stata abbassata ulteriormente
da una sfiducia persistente e disillusa. La maggior parte dei
potenziali elettori grillini si trova tra gli astenuti, tra quelli
che non votano alle amministrative perché considerate
superficialmente di secondo ordine, tra quelli convinti tre mesi fa a
forza di “vaffanculo” e di
“tutti a casa”, ma che difettano di sufficiente senso civico per
partecipare alla vita pubblica del proprio comune. La natura
trasversale ed eterogenea che ha permesso l'exploit di febbraio si è
rivelata un'arma a doppio taglio: senza un forte radicamento sul
territorio, senza né un'area geografica, né una classe sociale, né
una fascia d'età di riferimento, il Movimento sembra essere tenuto
unito solo dal senso di rabbia e di protesta, che fa fare il botto
nella singola tornata elettorale come qualche mese fa, ma che rischia
di ridimensionarsi velocemente.
Grillo
ha anche pagato cara la strategia del no a priori. Il M5S è nato in
opposizione a tutti i partiti tradizionali, con l'ambizione di
rivoluzionare il modo di fare politica. Propositi nobili, però ad un
certo punto bisogna anche sapersi “sporcare le mani”. I grillini
non hanno esitato a definirsi i veri vincitori delle elezioni - ed è
difficile dargli torto - ma se ti consideri il vincitore devi
assumerti la responsabilità di governare. Il M5S ha avuto una
splendida occasione ma l'ha rifiutata in modo testardo e abbastanza
incomprensibile. Poteva contrattare col centrosinistra da un punto di
forza, avrebbe trovato la disponibilità ad attuare molti punti del
proprio programma e probabilmente avrebbe anche potuto imporre un
premier che non fosse Bersani, una figura esterna condivisa da
entrambe le forze. Ha preferito isolarsi dal resto del mondo
politico, una scelta sicuramente vincente in campagna elettorale, che
tuttavia non può essere perseguita così ostinatamente all'interno
delle istituzioni. La politica e la democrazia sono essenzialmente
basate sul dialogo e sul compromesso. Una strategia di rifiuto totale
e opposizione perenne può essere fruttuosa per un partito da 10-15%,
ma quello che numericamente è il primo partito italiano deve
assumere una linea propria e cercare di portarla avanti anche a costo
di fare qualche compromesso non disponendo della maggioranza
assoluta. Nel tripolarismo perfetto uscito dalle urne il M5S si è
autoescluso dalle principali dispute con la motivazione di non
volersi mischiare coi partiti tradizionali ma con la colpa, agli
occhi dei propri elettori, di lasciare proprio a questi le scelte più
importanti. Troppo spesso ha scelto la via del non dialogo, che ha
portato a ruoli soltanto passivi. Qualche proposta di legge è stata
fatta, molte sono palesemente irrealizzabili, di stampo utopico e
populista ma ci sono anche idee interessanti, che meriterebbero
quantomeno un dibattito nazionale. Probabilmente non passeranno
proprio a causa della strategia dell'isolamento decisa da Grillo,
siccome è improbabile che altri partiti appoggino le proposte
pentastellate dopo aver ricevuto dei no a priori, spesso conditi da
insulti. È un peccato perché le possibilità di dare una brusca
accelerata al processo di riforma della politica da tanto atteso
c'erano, ma anche qui hanno prevalso gli istinti antipolitici e forse
la consapevolezza che è proprio la malapolitica a produrre il
malcontento e la rabbia che sono la linfa vitale del Movimento. Molti
elettori di febbraio si sono ricreduti proprio perché avevano votato
la speranza di un cambiamento attivo, responsabile e immediato.
Infine la pochezza di certi dibattiti nel mondo grillino: campagne
anticasta, crociate contro gli sprechi della politica (alcune
sacrosante), teorie complottistiche che spaziano dal signoraggio
bancario alle scie chimiche infiammano gli animi in campagna
elettorale e fanno breccia nelle menti più ingenue, ma alla lunga
non devono degenerare nella guerra degli scontrini. Nella settimana
in cui il governo Letta ha discusso della sospensione dell'IMU, i
parlamentari del M5S erano impegnati a discutere della restituzione
della diaria. Senza voler entrare troppo nel merito della questione
(fa bene Grillo a pretendere la restituzione, si gioca la
credibilità), trasparenza e taglio dei costi sono apprezzati e
auspicati da tutti, non solo dai grillini, ma non dovrebbero essere
messi in discussione dopo così pochi mesi e non dovrebbero togliere
troppo tempo ai problemi del paese. Altro dibattito caldo è quello
sulla “lista nera” di giornalisti ai quali i deputati non possono
rilasciare interviste. Quello che emerge è l'assenza di democrazia
interna (già si sapeva) e l'inadeguatezza dei deputati grillini,
figli di un'esaltazione del dilettantismo in politica i cui nodi son
presto venuti al pettine (l'argomento meriterebbe un capitolo a
parte). Del resto, all'elettore del M5S il numero di interviste
rilasciate interessa poco, sia perché il deputato grillino medio non
è un mostro di comunicazione politica, sia perché quando ha votato
non si aspettava lunghi dibattiti o enunciazioni teoriche ma fatti
concreti e tangibili. Chi studia queste cose sa che non è possibile
raggiungere risultati immediati in un così breve periodo di tempo,
ma molti di coloro che avevano votato M5S a febbraio no. A loro era
stato promesso che sarebbe stato possibile. Qualcuno ha iniziato a
sentirsi tradito. C'è anche questo dietro il tracollo delle
amministrative.
Fabrizio Mezzanotte
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