Guillermo Cano Isaza fu assassinato il 17 dicembre 1986
nella città di Bogotà, davanti alla sede del giornale El Espectator, dove lavorava
come giornalista dal 1952. La condanna a morte la firmò lui stesso quando
qualche settimana prima aveva lanciato, con un suo editoriale, una campagna di protesta contro l’influenza dei cartelli della
droga sul governo colombiano. Erano gli anni di Pablo Escobar, del “plata o
piombo” (soldi o piombo), dell’ attacco alla Corte Suprema e decidere di non
stare alle regole poteva costare caro. Nel
1997 l’Unesco decise di istituire un premio a suo nome per dare riconoscimento
a quegli individui, organizzazioni o istituzioni che si battevano o si erano
battuti per la libertà di stampa. La decisione ebbe il giusto eco e il 20
dicembre 1993 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite proclamò il 3 maggio (il
giorno in cui viene consegnato il premio Unesco) Giornata mondiale per la
libertà di stampa. L’intento era ed è ancora, quello di sensibilizzare circa la
libertà di stampa e di ricordare ai governi il dovere di rispettare e sostenere
il diritto alla libertà di espressione sancito dall'articolo 19 della
Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo.
Sono passati vent’anni. Alla rapidità con cui si è
sviluppata la trasmissione delle notizie si contrappone la lentezza riguardo il
rispetto dell’informazione e dell’informatore. Dallo sfruttamento nelle redazioni
con contratti in nero, al rischio di incarcerazione: per ogni latitudine il
giornalismo soffre ancora di molte malattie.
19 morti e 174 arresti, questa la lista nera dei giornalisti
per il 2013 e mancano ancora otto mesi alla fine dell’anno. Troppi morti e poca
informazione, la classifica sulla libertà di stampa presentata da Reporters sans frontières non è confortante. La fiducia che era stata riposta nei cambiamenti
politici dello scorso anno, che avevano creato molti sali-scendi nella graduatoria,
è stata frenata dai dati 2013 caratterizzati da un sostanziale “ritorno alla
normalità”. A guidare la classifica sono
gli stessi Stati dell’anno scorso (in ordine: Finlandia, Olanda e Norvegia) e
purtroppo stessa cosa vale anche per gli ultimi tre Turkmenistan, Corea del
Nord ed Eritrea. Tra i paesi che perdono più posizioni troviamo il Mali, a seguito
del recente colpo militare, la Tanzania, il Sultanato dell’Oman (dove sono
sotto processo circa 50 internauti e blogger) ma anche Israele e Giappone. Segnali
positivi invece da Malawi, Costa d’Avorio, Afghanistan e Birmania.
Per quanto riguarda l’Unione Europea la situazione rimane
quasi invariata, 16 paesi membri sono ancora nella “top 30”. Tuttavia a destare
le maggiori preoccupazioni sono l’ Ungheria, che sta ancora pagando il prezzo delle sue
riforme legislative repressive e la Grecia dove i giornalisti sono esposti alla
condanna pubblica e alla violenza, sia dei gruppi estremisti che della polizia.
L’Italia guadagna tre posizioni, ma
rimane al 57 posto compresa tra Ungheria e Hong Kong. A preoccupare, secondo
gli analisti di RsF, sarebbe il fatto che “la diffamazione deve ancora essere
depenalizzata e le istituzioni ripropongono pericolosamente leggi bavaglio”.
Il Premio
Isaza 2013 è stato assegnato a Reeyot Alemu, giornalista Etiope condannata a
cinque anni di reclusione. C’è ancora molto da fare e la strada è tutta in
salita ma nel nostro piccolo tutti possiamo fare qualcosa: scegliere bene
come informarci.
La campagna per il 3 maggio di Reporters sans Frontieres
Campagna : BETC Paris
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